“Épilogue”: ovvero dell’autogestione della propria vita
Giona A. Nazzaro
Se c’è un titolo che ha suscitato un’emozione forte, a tratti incontrollabile, tra i numerosi presentati in concorso nell’ambito della 17esima edizione di Visions du réel, questo è stato senz’altro Épilogue di Manno Lanssens, un film che rilancia con grande coraggio e determinazione il dibattito sul testamento biologico che in Italia continua a essere ostaggio di pregiudizi e ricatti confessionali.
Senza ridursi a pamphlet o schierarsi in maniera propagandistica a favore di una scelta piuttosto che di un altra, il regista Lanssens ha seguito nel corso dell’ultimo anno della sua vita una donna belga, Neel, ammalata terminale di cancro, che a fronte dell’implacabile venire meno del suo corpo, ha deciso di morire confortata dalla presenza dei suoi cari.
Film di una adesione assoluta al corpo e al tempo stesso di una tenerezza insostenibile, caratterizzato da un pudore che si tiene sempre distante dal ricatto emotivo, Épilogue mette in scena un dramma semplicemente inconcepibile in Italia: l’autogestione del proprio corpo a fronte di un processo degenerativo inesorabile.
Più volte su queste pagine si è intervenuti sulle problematiche inerenti al testamento biologico e quindi per una volta le daremo per acquisite concentrandoci sulla dignità umana intesa come vero e proprio plusvalore di un film che osa mettere in scena non la morte, ma la possibilità di affrontarla laicamente, da liberi cittadini, senza ricatti politici, religiosi o culturali.
Épilogue, in questo senso, è davvero una grande lezione di cinema morale, per quanto emotivamente situata ben al di là del sostenibile. Proprio perché il film pone al centro il valore ineludibile della vita, Lanssens fonda il suo lavoro come ultimo rifugio, casa ultima, della famiglia attraversata dal dolore, dalla perdita che sarà tentando di capire come affrontare il lutto inevitabile. Cinema come atto di solidarietà.
Sarebbe un atto di malafede inqualificabile anche solo sospettare che il film si schieri dalla parte della morte. Perché c’è un’abissale differenza fra lo scegliere la morte e desiderarla. Neel non desiderava morire. Pensarlo sarebbe offendere la sua straordinaria forza e il suo incredibile coraggio. Neel voleva stare al fianco del marito e dei suoi figli. Ma il suo corpo distrutto da tumori e metastasi non le permetteva più di vivere. E qui entra in gioco una decisione che non può essere preda di politici o religiosi. E nella qualità della risposta che l’uomo offre alle domande delle sue ultime ore che risiede il senso ultimo di un’intera esistenza.
Lanssens questa cosa la intuisce istintivamente e attraverso il suo film costruisce una rete di solidarietà e affetto tale da permettere a noi che restiamo non di giudicare o di inorridire ma semplicemente di fermarci a pensare.
Ciò che sconvolge positivamente del film è proprio la sua capacità di restare al di là e al di qua degli schieramenti come sguardo che si interroga ma che evita di offrire risposta. Il pudore è anche un silenzio. Non quello della rimozione, ma della partecipazione attiva alla vita.
La morte in Épilogue torna a essere un fatto sociale, nel senso che la qualità delle nostre risposte coinvolge in profondità coloro che restano.
Lanssens, interrogato sulle sue modalità di lavoro con Neel, ha rivelato di avere dato alla famiglia la facoltà di potersi ritirare in qualunque momento dal progetto del film. Eppure nessuno si è ritirato. Anche i membri più vulnerabili della famiglia hanno preferito offrire una testimonianza positiva, attiva piuttosto che il silenzio che occulta il dolore e un processo di decisione di sovrumana difficoltà.
Probabilmente Épilogue non sarà mai visto in Italia, se non in qualche festival particolarmente coraggioso. Eppure se c’è un film che andrebbe mostrato ovunque, con tutto il rispetto dovuto ai familiari superstiti di Neel, è proprio questo.
Épilogue è una lezione terribile su quanto coraggio costi essere umani sino in fondo. Morire fa male. Épilogue strappa la morte al non visto e la colloca nuovamente sulla scena del dibattito politico, umano, filosofico, etico.
Film schiettamente filosofico, straziantemente aporico, Épilogue ci ricorda che la morte ci riguarda tutti. E non attraverso lo schermo delle confessioni o delle ideologie, ma come esseri umani uniti nella finitezza.
Ed è questo guardare all’uomo nella sua infinità nudità a fare di Épilogue un film ineludibile al di là di qualsiasi barriera o discorso.
Lezione civile altissima, omaggio alla vita, Épilogue si offre umilmente come compagno di viaggio.
(20 aprile 2011)
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