Er Batman e il tardivo “discernimento” della Cei

Fabrizio Tassi

Le analisi del cardinale Angelo Bagnasco non sono quelle di uomo qualsiasi, per quanto fortunato, savio e giustamente rispettato. Sono quelle di un «Pastore» (lo scrivono così, con la P maiuscola) che grazie al «discernimento» (con la d minuscola), «sapientemente usato per andare in profondità», può arrivare a «carpire la traccia del pensiero di Cristo su questa situazione» (citiamo dalla prolusione che ha aperto il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana). Roba da far tremare i polsi anche al più dotato e ispirato degli analisti, che forse si accontenterebbe di carpire il pensiero di un John Locke o un Friedrich Engels, se non addirittura di penetrare nei meandri della mente di un Cicchitto, un Casini, una qualsiasi Santanché, che sarebbero forse più utili nel tentativo di comprendere “er Batman”.

La situazione di cui sopra ha a che vedere, tra le altre cose, con «il reticolo di corruttele e scandali» che emerge «anche dalle Regioni» (e sottolineiamo anche, e segnaliamo l’uso del plurale), «l’immoralità e il malaffare», tanto da chiedersi come è possibile che «l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato» (non sta parlando un antipolitico…).

Ma attenzione, concentratevi su queste parole: serve «un rinnovamento reale e intelligente delle formazioni politiche e il loro irrobustirsi con SOGGETTI NON CHIACCHIERATI». Tutti sappiamo quanto siano misurate le parole di queste prolusioni. E tutti sappiamo cosa significhi in italiano “non chiacchierati”. Quindi lasciamo a chi legge qualsiasi considerazione sugli ultimi 20 anni di vita italiana e su chi l’ha governata, senza che la Chiesa si premurasse di segnalare “chiacchiere” del genere.

«Non è la prima volta, nell’Italia moderna, che si debbano affrontare prove dure e inesorabili». Lo sanno bene i cardinali, che ci hanno messo qualche lustro a evocare anche il più blando dei rimproveri per quell’uomo politico che si chiama Silvio Berlusconi e per alcuni dei suoi più stretti collaboratori, che fossero senatori o governatori (il discernimento si era incagliato nelle secche del politichese vaticanista).

Rimane quel “peccato originale” che funesta le scelte dei vescovi, quaggiù sulla Terra, luogo del compromesso, dove la verità e l’opera della Chiesa, per continuare a fare del bene, hanno bisogno di governi amici e aperti su questioni come la “libertà di istruzione” (leggi: finanziamento alle scuole cattoliche), la difesa dei “valori non negoziabili” (sulle questioni etiche decidiamo noi), un regime fiscale pensato per chi aiuta il prossimo, e via discorrendo. Tutte cose che anche il politico più chiacchierato è in grado di assicurare.
E non saremo certo noi a ricordare a Bagnasco quanto la Chiesa si sia spesa a Roma perché non venisse eletta l’anticrista Emma Bonino, visto che dall’altra parte c’erano partiti, come il Pdl, che assicuravano più simpatia alle parole d’ordine e alle urgenze cattoliche. Magari c’erano anche tanti credenti e pure praticanti.

Su una cosa siamo d’accordo con il presidente della C.E.I. «La cittadinanza è più avanti di quanto si pensi. I colpi della vita inducono, infatti, ad essere meno superficiali, a diventare più riflessivi, a riscoprire i valori veri». Sarà per questo che la maggioranza delle persone (cattolici compresi) non la pensa come la Chiesa e i suoi vescovi sul "fine vita" e sulle “unioni civili” (se non crede ai sondaggi, può andare a domandare in qualche parrocchia).

Bagnasco ci informa, di nuovo, che la famiglia non è solo «una rete di amore», ma deve essere ancorata «al dato oggettivo della natura umana – un uomo e una donna», altrimenti «la società, come già si profila in altri Paesi, andrebbe al collasso. Perché non si vuole vedere?». Già, proprio così: perché si ostinano a non vedere? Di quale società parlano? Di quelle in cui è permesso il matrimonio omosessuale, come le arretrate Svezia, Norvegia, Danimarca? O quelle che si accontentano delle unioni civili, come Francia, Germania, Regno Unito? Ed evitiamo di citare Brasile, Canada, Australia, società notoriamente collassate. Potremmo fare il giochino di rapportare il dato sulla libertà di unirsi civilmente a chi cavolo pare, a cose come la cultura media della popolazione (e di chi la governa), la “coesione sociale”, “l’indice di sviluppo umano”, il FIL, il PIL, il GPI e tutto quello che volete, compreso il benessere percepito dagli abitanti dei rispettivi Paesi. A meno che la riuscita di una società si misuri in base al numero di leggi gradite alle gerarchie vaticane.

Anche qui serve un «acuto discernimento». Basta che non sia lo stesso utilizzato per la politica italiana in questi anni o per spingere la legge truffa sul fine vita che espropria i cittadini dalla libertà di scegliere davvero (hanno il coraggio di dire che ci sono problemi più importanti delle unioni civili in questo momento, ma la legge sul fine vita, quella sì, quella deve essere approvata entro la legislatura!).

Lasciamo ai vaticanisti e ai conoscitori di cose ecclesiastiche il compito di rilevare “aperture”, notare “snodi interessanti”, sottolineare i messaggi sottili lanciati qua e là nella prolusione. A noi interessano le parole per quello che dicono. E dicono almeno un’altra cosa su cui siamo d’accordo. «Non è vero che la maggioranza della gente rifiuta il sacro e le sue narrazioni, anzi ne ha fame e nostalgia». Il problema è che magari vorrebbero cambiare i narratori, ma non possono, perché quelli si scelgono da soli, tra di loro. Sì, certo, ci sono tante brave persone dentro la Chiesa, bravi preti, bravi credenti (la maggioranza… silenziosa). Ma per ogni Carlo Maria Martini, c’è un vescovo che dà dell’assassino a Beppino Englaro, un vicario che non concede la messa alle esequie di Piergiorgio Wellby, un monsignore che durante l’omelia spiega che i gay sono malati da curare e avere un figlio omosessuale è una disgrazia. Poi lo chiamano discernimento.

(25 settembre 2012)



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