Ergastolo ostativo, Colombo: “La sentenza della Consulta è in accordo con la Costituzione”

Rossella Guadagnini

intervista a Gherardo Colombo

Le questioni sul tappeto sono due: l’ergastolo ostativo e la recentissima sentenza della Consulta. Compongono una specie di distico della giustizia sul fine pena. Hanno scatenato accese polemiche che ricordano quelle sul pentitismo. L’ergastolo è una pena detentiva a carattere perpetuo, inflitta a chi ha commesso un delitto ed equivale alla reclusione a vita, il cosiddetto fine pena mai. Una sentenza della Corte Europea dei diritti umani nel 2013 ha stabilito che esso vìola i diritti umani nel caso la scarcerazione sia espressamente proibita, oppure non sia previsto nell’ordinamento che il condannato possa chiedere a un organismo indipendente dal governo una revisione della sentenza o un alleggerimento di pena. Il che significa un superamento dell’ergastolo, lasciare un varco, una prospettiva, nel caso si verifichi un cambiamento.

In Italia con l’ergastolo ostativo la possibilità di accedere ai benefici penitenziari è stata fino adesso legata alla sola ipotesi di collaborazione con la giustizia, una scelta del reo che spesso, per varie ragioni, in realtà non era tale. Lo Stato, in un momento di necessità e urgenza, aveva deciso di non esercitare un proprio potere e dovere, cioè infliggere una pena in linea con i principi della Costituzione che si riferiscono alla rieducazione e risocializzazione del condannato. Ma ora è arrivata la sentenza della Corte Costituzionale che, pur essendo in accordo con quanto stabilito anni fa dalla Corte Europea dei diritti umani, fa discutere per le sue possibili conseguenze.

Ne abbiamo parlato con Gherardo Colombo, ex magistrato del pool di Mani Pulite, che ha condotto inchieste celebri, come la scoperta della Loggia P2, l’omicidio dell’avvocato Ambrosoli, i fondi neri dell’Iri. Dopo aver lasciato la magistratura, ha fondato nel 2010 l’associazione “Sulleregole”, che si occupa di riflessione pubblica sulla giustizia e di educazione alla legalità. Perché se è vero che le sentenze non si commentano e che bisogna comunque attendere la pubblicazione delle motivazioni, è anche vero che sulla giustizia si può (e si deve) ragionare.

Lei dottor Colombo che ne pensa, ergastolo ostativo sì o no?

In primo luogo occorre ricordare che ci sono norme sovraordinate e norme sottordinate: la Costituzione sta in alto, tutto il resto viene dopo. Prima c’è la nostra Carta, poi viene l’ordinamento giudiziario. L’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario [1] afferma che alle persone che hanno commesso i reati ivi elencati, tra cui quelli di mafia e di terrorismo, non possono essere applicate misure premiali o alternative alla detenzione, se non avessero collaborato efficacemente. Al contrario di tutti gli altri detenuti, dunque, c’era una preclusione, mentre ora si è uniformata la previsione legislativa. Sta al giudice, anche per loro, valutare se abbiano diritto o meno alla liberazione condizionale o alle altre misure.

Quindi al centro, oltre al detenuto e ai suoi diritti, c’è anche il giudice.

C’era una preclusione assoluta rivolta al giudice di valutare una persona che ha commesso questi ed altri gravi reati, che era in contrasto con la Costituzione. Quando più avanti potremo leggere le motivazioni della sentenza della Corte vedremo le ragioni che reggono la sentenza. Secondo la mia opinione, l’articolo 4 bis è in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, oltre che con l’articolo 3. Restiamo al 27 che dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La decisione della Consulta riguarda soltanto la possibilità (certo non il dovere) del giudice di concedere i permessi premio: è lui che decide; chi non ha fatto un percorso riabilitativo, non risulta che abbia reciso i vincoli associativi, si può prevedere che possa riallacciarli, cioè chi è ancora pericoloso non può averne. Senza questa precisazione si equivoca. Anche le affermazioni di alcuni miei ex colleghi fanno pensare che questa decisione della Corte Costituzionale renda automatica la concessione di questi benefici. Invece non è così, è il contrario.

Ci spieghi meglio.

Prima era automatico il divieto di concedere questi benefici a coloro che – essendo condannati per quei reati – non avessero collaborato. Adesso, invece, non è più automatico. È divenuta una circostanza che va valutata dal giudice, come succede per tutti gli altri reati che non rientrino nel 4 bis. E’ stato fatto un percorso che rende concedibili i permessi premio. La regola diventa uguale per tutti i condannati, sia per quelli che collaborano, che per quelli che non collaborano.

Alcuni sostengono che, con questa decisione, si indebolisce la normativa antimafia. Che da Cosa Nostra non si esce a proprio piacimento.

Facciamo l’esempio di un ragazzo che a vent’anni ha commesso un solo reato di mafia e ha vissuto in carcere fino a 50. Sono passati trent’anni, si possono sciogliere anche i matrimoni ben prima che passino trent’anni. E poi c’è partecipazione e partecipazione alla mafia: non tutto è un ‘patto di sangue’, e anche i patti di sangue si possono sciogliere senza per questo collaborare. Per alcuni succede. E d’altra parte chi garantisce che chi collabora sia davvero ‘uscito’ dalla mafia? Succede nei fatti che chi collabora a volte rimane mafioso o ricostituisce i legami con la mafia. Bisogna guardare la vicenda personale di ognuno, seguire il suo percorso rieducativo.

Cosa ne dobbiamo concludere?

Certe affermazioni apodittiche vanno evitate. La collaborazione può essere strumentalizzata per l’esistenza di contrasti e conflitti interni alla mafia (ci sono state vere e proprie guerre intestine, con centinaia di morti, per dire). In definitiva, l’articolo 4 bis era incostituzionale. E la sentenza della Consulta lo ha espulso dall’ordinamento giuridico, per quel che riguarda i premessi premio, per questo motivo. Spero che altrettanto succeda, presto, per l’ergastolo ostativo (che, mi pare di poter dire, implicitamente subisce la stessa valutazione del divieto dei permessi premio).
NOTE

[1] Dispositivo dell’articolo 4 bis Legge sull’ordinamento penitenziario

1. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell’articolo 58 ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 416 bis e 416 ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600 bis, primo comma, 600 ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609 octies e 630 del codice penale, all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni.

1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, secondo comma, del codice penale.

1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 600 bis, secondo e terzo comma, 600 ter, terzo comma, 600 quinquies, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all’articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all’articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all’articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 del medesimo codice, e all’articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609 bis, 609 quater e 609 octies del codice penale e dall’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.

1-quater. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 609 undecies del codice penale solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall’articolo 609 bis del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata.

1-quinquies. Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 600 bis, 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600 quater 1, 600 quinquies, 609 quater, 609 quinquies e 609 undecies del codice penale, nonché agli articoli 609 bis e 609 octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’articolo 13 bis della presente legge.

2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.

3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.

3-bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.

(25 ottobre 2019)





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