Esiste un islam moderato?

Cecilia M. Calamani



Esiste un islam moderato? La domanda spunta prepotentemente fuori dopo ogni attentato terroristico di matrice islamica e divide in due fazioni distinte chi afferma che i musulmani non sono tutti fondamentalisti e chi sostiene che l’islam è una religione di guerra, e come tale ogni suo seguace è implicitamente colpevole della barbarie perpetrata dai suoi bracci armati. Da qui il dibattito si allarga fino a giungere al problema dell’integrazione culturale e al cruciale paradosso di Karl Popper sulla tolleranza.
Difficile trovare risposte senza sconfinare nelle due retoriche contrapposte della discriminazione di stampo razzista e dell’accoglienza a tutti i costi. Ma capire, o almeno cercare di capire, l’islam e la sua deriva dell’orrore sembra l’unica strada per affrontare un fenomeno che sta esplodendo in tutta la sua violenza anche in Occidente.

Un ottimo spunto lo fornisce il breve saggio “L’Islam e il futuro della tolleranza”, un dialogo tra Sam Harris, saggista statunitense noto per le sue posizioni critiche sulle religioni, e Maadjid Nawaz, inglese di origini pakistane, ex fondamentalista islamico e oggi presidente di Quilliam, un’organizzazione mondiale contro l’estremismo di cui è co-fondatore. Scritto nel 2015, il dialogo è stato tradotto e pubblicato in Italia nel 2017 da Nessun Dogma. Un confronto tra un ateo e un musulmano che delinea un quadro allo stesso tempo sintetico e analitico di una religione che rigetta, almeno per la maggioranza dei suoi adepti, i diritti umani e la libertà, imponendo la shari’a per via politica quando non con la violenza più efferata della guerra santa.

I due autori forniscono una interessante schematizzazione dell’assetto delle comunità musulmane suddividendole in cerchi concentrici. I jihadisti, coloro che vogliono diffondere l’islam nel mondo con la forza, ne costituiscono il centro; un’esigua minoranza ma la più potente e organizzata, come sta dimostrando lo Stato Islamico. A seguire si delinea il gruppo degli islamisti, che possono essere suddivisi in politici e rivoluzionari. I primi cercano di imporre la loro versione dell’islam dall’interno attraverso la partecipazione politica (ad esempio i Fratelli musulmani in Egitto); i secondi, più vicini ai jihadisti, vorrebbero cambiare il sistema dall’esterno con un colpo di Stato. Anche il cerchio degli islamisti, secondo le stime di Harris e Nawaz, costituisce una minoranza attestabile a non più del 20 per cento. Il cerchio successivo, in cui rientra gran parte dei musulmani, è costituito dai conservatori. La differenza tra questi ultimi e gli islamisti è che pur essendo entrambi ortodossi, i conservatori rifiutano che sia lo Stato a imporre per legge la religione. Non certo per una sorta di ideale laico, quanto piuttosto perché vogliono riservarsi il diritto di applicarla nella loro versione  (l’islam, come tutte le religioni, ne comprende diverse). Se da una parte costoro potrebbero essere alleati preziosi per la lotta all’islamismo e al jihadismo, dall’altra rifiutano i principi di diritto, libertà e uguaglianza dei Paesi democratici in linea con gli insegnamenti del Corano. L’ultimo cerchio – di cui fa parte lo stesso Nawaz – è quello molto più ristretto dei musulmani liberali e riformisti, che propongono interpretazioni rinnovate dei testi sacri nel rispetto dei diritti umani.

Ecco, per tornare alla domanda inziale (esiste un islam moderato?), Nawaz afferma che l’aggettivo “moderato”, riferito all’islam, non ha senso: «Con l’avvento dello Stato Islamico, persino al-Qaeda sembra un movimento “moderato”. Il termine è talmente relativo, in un contesto di atrocità sempre peggiori, che ormai ha perso di significato. Non dice nulla sui valori di una persona. Per questo preferisco utilizzare parole che denotano valori, come musulmano “islamista”, “liberale” o “conservatore”».  
Già tutto ciò fornisce una chiave di lettura interessante delle complesse sfaccettature dell’islam. Altrettanto interessante, seppur di problematica applicazione, è la proposta per il futuro che Nawaz porta avanti anche attraverso Quilliam.  L’idea, in sintesi,  è che non esiste alcuna lettura corretta di una scrittura sacra perché tutte le conclusioni cui si arriva sono solo interpretazioni. In mancanza, quindi, di una versione univoca, «il pluralismo è l’unica opzione. E il pluralismo porterà al laicismo, alla democrazia, ai diritti umani». Il riferimento è alle contraddizioni, a volte evidenti, tra il Corano e gli hadith (i detti attribuiti a Maometto) su alcuni questioni base come l’apostasia, lo sterminio degli infedeli, l’inferiorità della donna. Nawaz propone una visione contestualizzata della fede che tenga conto degli aspetti giuridici, linguistici, filosofici, storici e morali nell’interpretazione dei testi sacri. Da musulmano riformista, questa è secondo lui l’unica strada per garantire la tolleranza e la pacifica convivenza tra i popoli. «Il problema – ribatte Harris – è che i moderati di tutte le fedi sono impegnati a reinterpretare, o ignorare completamente, le parti più pericolose e assurde delle loro scritture di riferimento». Ma proprio quelle parti, le più barbare, possono essere sempre impugnate dai fondamentalisti, che ne danno in effetti l’interpretazione più coerente. «Quando i moderati affermano di trovare all’interno della scrittura il fondamento della loro etica moderna – continua Harris – danno l’impressione di auto-illudersi. La verità è che la maggior parte dei nostri valori moderni sono antitetici agli specifici insegnamenti dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam».

Il dibattito resta aperto, e gli interrogativi tanti. Ma come rimarca anche Harris, c’è un fatto su cui ragionare: nonostante l’encomiabile sforzo di Nawaz di trovare una metodologia interpretativa che renda “moderna” una religione come l’islam, i precetti religiosi non si cambiano dall’interno perché scolpiti nelle scritture di ogni monoteismo. Dettati direttamente dal dio del caso, i testi sacri sono indiscutibili sul piano razionale e renderli passibili di interpretazione demolisce i pilastri stessi su cui poggiano le religioni. Certo, si può arrivare a una sorta di ipocrisia, una fede faidaté come il cattolicesimo odierno, di cui i seguaci “moderati” accettano o rigettano i precetti a seconda delle loro personali inclinazioni o convinzioni, ma la pretesa di assoluta verità insita in ogni religione costituisce l’humus da cui può in ogni momento germogliare e proliferare la follia sanguinaria del fondamentalismo.

(18 ottobre 2017) 



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.