Espressionista con sentimento

Mariasole Garacci

Al museo di Roma in Trastevere per scoprire Marianne Werefkin, visionaria amazzone dell’arte del Novecento.

Il Museo di Roma in Trastevere dedica a Marianne Werefkin (1860-1938), figura importante ma poco nota in Italia della scena artistica di primo Novecento, una mostra con 50 tempere, 12 disegni, 20 quaderni di schizzi e un diario. Donna colta e indipendente, amica di Wassily Kandinsky, Gabriele Münter, Franz Marc, Erma Bossi e Paul Klee, partecipò alla nascita della “Neue Künstlervereinigung München” e del “Blaue Reiter”. Influenzata dall’impressionismo e neo-impressionismo francese, da Gauguin e Van Gogh, dai Nabis e soprattutto da Munch per la pennellata fluente e pastosa e per l’uso simbolico e antinaturalistico del colore, si avvia ben presto verso un espressionismo vibrante di lirismo, declinando in una dimensione profondamente spirituale e intima le riflessioni artistiche contemporanee.

“L’arte del futuro è l’arte emozionale”, proclamava la pittrice, e a questo credo è ispirata tutta la sua produzione, sempre fedele al figurativo. “L’arte è un sentimento che prende forma”, non un resoconto di un’impressione esterna, fosse anche la percezione di un motivo formale trasfigurato in intuizione estetica, e il sentimento che la realtà delle cose procurava alla pittrice, la risonanza dolorosa di un contatto – “la mia sofferenza a contatto della realtà è fisica” – esigeva di essere espressa in un linguaggio narrativo, umanamente condivisibile. Il mancato passaggio all’astrazione pura è in qualche modo emblematico dell’emarginazione artistica e umana cui la Werefkin era avviata, ma soprattutto è il frutto di una individuale e profondamente sentita riflessione sul rapporto tra realtà, sentimento ed espressione artistica: l’opera d’arte è tale se espressione di un sentimento, di una visione interiore. E’, per usare le sue parole, “creazione proveniente dall’interno”.

La mostra romana presenta una serie di pitture a tempera, opere vicine all’espressionismo tedesco per la visionarietà e la violenta forza evocativa, per l’uso antinaturalistico di luce e colore e per la pennellata carica e pastosa di colori primari; è inoltre possibile avvicinare alcuni degli innumerevoli taccuini di schizzi della Werefkin, piccoli studi in cui tutta l’energia della sua pittura è racchiusa in poetiche annotazioni visive. L’allestimento del percorso espositivo non segue con criterio didattico l’evoluzione del linguaggio figurativo dell’artista (un difetto che non pesa eccessivamente nell’ambito della piccola mostra) e solo alla fine si trova un autoritratto giovanile della Werefkin in cui si palesano le radici artistiche della pittrice, allieva di Ilja Repin e influenzata da Victor Borisov-Muratov.

Pregio dell’esposizione è di recare un duplice tributo alla memoria di un pittrice ingiustamente trascurata dalla critica e dal mercato quando era ancora in vita (morì in povertà nella cittadina di Ascona, sul Lago Maggiore) e dalla storiografia artistica poi, nonché di una donna forte e coraggiosa, che seppe affrontare con energia e vitalità una condizione esistenziale tormentata. Utile e ben curato è il documentario introduttivo; per chi volesse conoscere meglio Marianne Werefkin si consiglia inoltre il catalogo della mostra Marianne Werefkin. Il fervore della visione tenuta nel 2001 a Reggio Emilia (Skira) con un saggio, tra gli altri, di Mara Folini, ora tra i curatori della mostra romana.

Marianne Werefkin. L’amazzone dell’avanguardia
25 novembre 2009 – 14 febbraio 2010
Roma, Museo di Roma in Trastevere – Piazza Sant’Egidio 1/b
Orario: da martedì a domenica, 10.00 – 20.00
www.museodiromaintrastevere.it

(22 gennaio 2010)

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