Essere fermento, fare movimento, costruire rinnovamento. Le sfide delle Comunità di Base

Valerio Gigante

, da www.adistaonline.it

“Strutture clericali: il Concordato come strumento di potere contro la liberazione del popolo di Dio, contro l’unità delle masse operaie e contadine, contro la giustizia nel mondo” (Roma, 1971); “Comunità, Bibbia e lotte di liberazione” (Roma, 1973); “Fede cristiana: impegno nella liberazione” (Torino, 1985); “Laicità nella società, nello Stato, nella Chiesa. Autonomia di giudizi e coscienza critica nei problemi di oggi contro la gestione autoritaria del sacro” (Firenze, 1987); “La diversità ci fa liberi: percorsi di speranza nell’era della globalizzazione, come riconoscerli e come costruirli” (Chianciano Terme, 2001); “In un tempo di sopraffazione e di precarietà. Date ragione della speranza che è in voi” (Borgaro Torinese, 2010).

A scorrere i titoli degli incontri nazionali e dei convegni delle Comunità di Base italiane si ritrovano tutte le ansie e le speranze, le attese e le istanze, i temi e le prospettive di vasti settori della Chiesa italiana postconciliare e della sinistra cristiana. Le Comunità di Base le hanno, nei loro 40 anni di vita, intensamente vissute, rielaborate, comunicate e trasformate in pratiche quotidiane e di lotta per una società ed una Chiesa più democratiche ed evangeliche. Per questo, ogni incontro nazionale delle CdB rappresenta un “termometro” importante sullo stato di salute e sull’agenda della parte più avanzata del nostro tessuto ecclesiale.

Del prossimo appuntamento, a Napoli, dal 28 al 30 aprile, sul tema “Donne e uomini credenti per una cittadinanza consapevole. Nuovi processi di liberazione e partecipazione nella Società e nella Chiesa” (qui il programma), abbiamo parlato con Stefano Toppi, della CdB di San Paolo (Roma) e coordinatore della Segreteria Tecnica nazionale.

Il titolo ed il programma dell’Incontro richiamano la necessità di un impegno a livello generale, nella società e nella Chiesa, per promuovere democrazia e partecipazione, che si coniughi con l’azione concreta sul territorio. Spesso le due opzioni si escludono. Chi scegli il “locale” spesso trascura la dimensione “globale”. E viceversa. Come pensate di continuare a coniugarle assieme?

Mi sembra che le comunità cristiane di base abbiano sempre cercato di avere attenzione ai problemi di dimensione globale e periodicamente i nostri incontri nazionali hanno avuto presente questo riferimento; così ad esempio, nel 2001 ci siamo interrogati sui problemi derivanti dalla globalizzazione, ed eravamo a un paio di mesi prima del G8 di Genova; nel 2008 ci siamo confrontati con l’idea di realizzazione di una società “sobria, equa e solidale” e in linea con uno sviluppo ecocompatibile. Ma il modo di affrontare questi problemi globali è stato sempre quello di partire dal basso, confrontandoci con altre realtà di base che agiscono nella società affrontando problemi concreti spesso in un ambito locale. Del resto anche le persone delle comunità, più spesso a livello individuale ma anche a volte in gruppo, sono abituate a trovare spazi di azione in iniziative di volontariato in un ambito per forza di cose locale.

Qual è oggi lo stato di salute delle comunità? Le ragioni per cui sono nate e attraverso le quali si sono sviluppate trovano oggi nel ricambio generazionale nuove “gambe” su cui camminare?

Direi che lo stato di salute è buono e, con una espressione abusata, che abbiamo “un grande futuro alle nostre spalle”. È buono perché nonostante il tempo passato, più di quarant’anni, e le tante persone preziose che non sono più con noi, il “movimento” è ancora vivo e lo dimostra con la capacità di organizzare incontri nazionali, mediamente ogni anno e mezzo, con una struttura organizzativa molto esile e basata tutta sulla buona volontà dei singoli di incontrarsi e fare. Poi non si può nascondere che il fervore degli anni post concilio e post ’68 non è più lo stesso da tempo. Un ricambio generazionale le CdB non l’hanno mai cercato. E anche il lavoro che in alcuni periodi è stato fatto con i giovani era finalizzato più ad una ricerca da fare insieme ed un racconto da fare a loro che alla volontà di assicurarsi una “successione”. Di fatto, la generazione dei giovani che ruota ancora attorno alle nostre comunità, dov’è presente, è più interessata ad impegni concreti nel sociale che a partecipare alle nostre assemblee liturgiche. E così vediamo, ad esempio, ragazze e ragazzi della CdB del Cassano di Napoli impegnati nell’insegnamento dell’italiano agli immigrati presso la “Scuola di Pace”, quelli di Roma a portare avanti l’esperienza delle cene domenicali insieme ai profughi afghani nei locali della comunità.

Ratzinger ha da poco compiuto 85 anni e “festeggiato” 7 anni di pontificato. La Chiesa del dopo-Wojtyla ha ricevuto qualche beneficio da questo papa?

Mah, non saprei. Di positivo vedrei la sua presenza un po’ meno mediatica di quella del predecessore e la sua denuncia, anche se tardiva, del problema della pedofilia nel clero. Per il resto, rimane tutta la preoccupazione di mantenere un’unità monolitica della Chiesa, con ampie disponibilità ed aperture solo verso l’ala conservatrice e i lefebvriani, e una netta chiusura alle istanze che sempre più frequentemente si levano dal popolo di Dio.

Nonostante la gerarchia, nel tessuto ecclesiale, anche istituzionale, non mancano i fermenti e sommovimenti. Recentemente, sta facendo molto discutere (riscuotendo adesioni in mezzo continente) la lettera dei preti austriaci che chiedono riforme radicali nella Chiesa, comprese le donne prete. So che il collettivo europeo delle CdB (22/4) ha trattato le prospettive future del movimento. Come pensate che le CdB possano collegarsi a questo movimento ed interpretare le esigenze di rinnovamento che vengono dal corpo ecclesiale?

Personalmente credo che le CdB non debbano mancare l’occasione di seguire da vicino e partecipare ovunque sia possibile a tutte le iniziative che sia in campo nazionale che a livello europeo si sviluppano nella direzione di richieste di cambiamento nella struttura della Chiesa. Devo dire che non tutte e tutti tra di noi sono d’accordo su questo. Molte e molti di noi non credono più nella possibilità di rinnovamento e riforma della struttura ecclesiastica. Ma io sono convinto che invece sia utile portare anche in questi ambienti, che da noi abbiamo chiamato “del disagio”, il racconto della nostra storia e delle nostre esperienze. In Europa poi spesso sono più avanti di noi. In Olanda per esempio ho avuto occasione di conoscere una grossa comunità ecumenica di Amsterdam, composta da cattolici ed evangelici di varie provenienze, dove ho avuto la sensazione che, almeno la parte cattolica, stanca delle limitazioni e delle involuzioni imposte al cammino della Chiesa dopo il Concilio, abbia deciso di fare da sé e di vivere serenamente questa esperienza di vita comunitaria ecumenica fuori delle regole imposte.

Quest’anno si festeggiano i 50 anni dall’apertura del Vaticano II. E le CdB sono una delle punte più avanzate della stagione conciliare. Cosa resta oggi di quella fase storica vissuta dalla Chiesa?

Difficile sintetizzarlo in poche battute. Certo il volto della Chiesa non &eg
rave; più quello ante Concilio, di cui, pur molto giovane, ho avuto esperienza ed ho memoria. Ma nelle CdB da tempo si ha la consapevolezza che si siano volute tarpare le ali a grandi speranze di cambiamento. Sarà interessante, tornando a quanto dicevo prima, confrontarsi su questo argomento proprio con tutte le realtà del cattolicesimo italiano che potremmo definire “democratico”, “critico” e “del disagio”, con cui nel prossimo settembre realizzeremo un incontro, a Roma, nel cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II.

(27 aprile 2012)



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