Euro19, De Magistris accelera ma Colau e Podemos si potrebbero sfilare
Giacomo Russo Spena
Il sindaco di Napoli, in collaborazione con Diem25 di Varoufakis, sta lavorando per una lista alle prossime elezioni di Strasburgo: un progetto transnazionale che vada contro le destre e oltre la sinistra tradizionale. Ma in Europa ci sono spaccature tra europeisti e sovranisti e le forze spagnole, quelle forse più consistenti elettoralmente, rischiano di non essere della partita. Ecco perché.
e Steven Forti
Giusto il tempo di leccarsi le ferite e riorganizzarsi che, a sinistra, già si ragiona sulle elezioni Europee 2019, voto che si terrà a fine maggio con un sistema elettorale proporzionale – con sbarramento al 4 per cento – e quindi più benevolo per le forze più piccole. Nel 2014 la lista L’Altra Europa con Tsipras ce la fece per poco ed elesse tre europarlamentari. Adesso si cerca di rimettere insieme i cocci.
A giocare di anticipo sono stati Luigi de Magistris e Yanis Varoufakis che per il 2019 stanno lavorando alla nascita di un nuovo soggetto politico transnazionale che presenterà un’unica lista di candidati, con un unico programma in tutto il continente. Un qualcosa che vada ben oltre ai confini della sinistra tradizionale. “Contro le destre ed oltre la sinistra classica”, ripete da mesi il sindaco di Napoli che alle scorse elezioni è rimasto fuori dalla mischia. “Liberare l’Europa dalle politiche liberiste ed oligarchiche è un obiettivo politico necessario per garantire i diritti e soddisfare i bisogni del popolo europeo” ha specificato De Magistris.
Il 10 marzo, a Napoli, c’è stato il lancio del progetto con Diem25 (nelle persone di Varoufakis e Lorenzo Marsili) e con altre personalità – vedi Benoit Hamon, già candidato alle presidenziali francesi e, fuoriuscito dal partito socialista, fondatore del movimiento Génération-s – e forze progressiste provenienti da Germania (Budnis25), Polonia (Razem), Danimarca (Alternativet), Grecia (MeRA25) e Portogallo (LIVRE), nonché osservatori da Croazia, Slovenia, Romania e da parte del Partito Verde Europeo e del Partito della Sinistra Europea.
Se in Italia il progetto nazionale di de Magistris ha possibilità di crescita, quel che ancora mancano sono partner europei di rilievo. Partiti con consensi che giungono a doppie cifre. Tra l’altro, va ricordato, che la sinistra europea sta vivendo una fase tumultuosa. Dopo la resa di Alexis Tsipras in Grecia, l’idea di cambiare l’Europa dall’interno inizia a vacillare e il fronte sovranista – quello che chiede la rottura con l’Unione Europea – capeggiato dal leader francese Jean-Luc Mélenchon sta spaccando il fronte del Gruppo confederale della Sinistra Unitaria Europea (Gue). Lo scorso 31 gennaio il transalpino ha chiesto formalmente al partito della Sinistra europea di “buttare fuori” Syriza. "Per il Parti de Gauche, come senza dubbio molti altri partiti dell’EMP, è effettivamente diventato impossibile stringere le spalle, nello stesso movimento, a Syriza di Alexis Tsipras", sono state le parole di Mélenchon che in Italia ha avuto rapporti con Potere al Popolo, ma ha incontrato anche Luigi de Magistris. La richiesta di esclusione di Tsipras, però, non è stata gradita dal tedesco Gregor Gysi, presidente della Sinistra Europea, che ha risposto picche: "Criticare la governance di Syriza in Grecia è legittimo e le opinioni su questo argomento sono diverse anche per la sinistra europea – ha risposto -. Ma la politica del governo di Syriza è in gran parte contrassegnata dal ricatto della troika e del governo tedesco. Il nostro punto di forza è ammettere i conflitti, promuovere dibattiti, non espulsioni".
Ma sia sovranisti che europeisti chiamano in causa la Spagna, dove forse esistono le esperienze più interessanti: Podemos e Barcelona en Comú. Si tirano per la giacchetta i rispettivi leader Pablo Iglesias e la sindaca Ada Colau. Il loro appoggio, in chiave di una ipotetica lista europea, è importante. Lo sa bene de Magistris che con la Barcellona di Colau ha stretto in questi mesi un legame politico, gemellando le due città in nome di un neomunicipalismo incompatibile con quella gabbia dell’austerity imposta da Bruxelles. Però la Spagna, forse, non sarà della partita. O lo sarà in maniera molto marginale.
Ada Colau, infatti, è concentrata sulla sua città. A maggio 2019 a Barcellona – così come in tutti i municipi spagnoli – si rivota e lei punta alla riconferma come alcaldessa. Dopo le elezioni regionali di dicembre in Catalogna, dove la lista da lei promossa, Catalunya en Comú-Podem, è andata male – ha raccolto solo il 7,5% dei voti e 8 deputati su 135 –, c’è il rischio che Barcelona en Comú non riesca a mantenersi alla guida del Comune. Tutti gli scenari sono aperti in questo momento in un contesto di enorme instabilità in Catalogna – a tre mesi dalle elezioni non si è formato ancora un governo e dopo l’arresto di Puigdemont si è riaccesa la crisi catalana – e in Spagna – con un Pp indebolito e superato ormai in tutti i sondaggi da Ciudadanos. C’è chi scommette addirittura su una vittoria del partito di Albert Rivera che nelle ultime elezioni catalane ha sfondato nella Ciudad Condal. È pur vero che si è trattato di un voto segnato dalla fortissima polarizzazione dopo le vicende catalane dell’autunno e che in Catalogna è prassi ormai quella del voto disgiunto – molti votano in un modo alle regionali e in un altro alle politiche e alle comunali –, ma c’è da tenere conto che la concomitanza con le Europee potrebbe dare un plus a Ciudadanos che sta cercando un candidato forte per guidare la lista all’Europarlamento – la Spagna è un singolo collegio elettorale – e sta lavorando ad un’alleanza con Macron (che potrebbe coinvolgere anche Renzi).
E non è da escludere nemmeno una possibile vittoria indipendentista, soprattutto nel caso in cui si formi una lista unica delle diverse forze, tanto di sinistra come di destra (Esquerra Republicana de Catalunya e il Partit Demòcrata Europeu Català), che difendono l’indipendenza della Catalogna. È stata già lanciato un ballon d’essai in questo senso con la candidatura di un indipendente, Jordi Graupera, che per ora non sembra avere molte possibilità, anche se la situazione catalana è estremamente incerta e tutto potrebbe accadere, soprattutto dopo la stretta della magistratura spagnola contro i dirigenti del processo indipendentista che rischiano pene di 30 anni con l’accusa di ribellione. Anche perché dal 2015 per l’indipendentismo Ada Colau è la “nemica” da battere, una figura scomoda che toglie visibilità alla causa. La conquista di Barcellona per l’indipendentismo è il principale obiettivo perché cambierebbe la correlazione di forze esistente nella regione.
La situazione è dunque difficile per Colau, per quanto la cittadinanza di Barcellona giudichi positivamente l’operato della Giunta in questi quasi tre anni di governo e la sindaca mantenga ancora un importante capitale politico. Un capitale che all’estero è forse ancora più grande, come si è visto venerdì scorso con la partecipazione di Colau a Propaganda Live di La7 riguardo al sequestro della nave di Open Arms che si occupava del salvataggio di migranti nel Mediterraneo. Ma il governare in minoranza (11 consiglieri su 41) in un contesto di grande frammentazione nel Consiglio Comunale e di estrema polarizzazione dovuta alla questi
one indipendentista non facilita le cose. Soprattutto dopo l’Ottobre catalano in cui il ruolo dialogante di Colau è stato messo a dura prova e le ricadute sulla stessa politica comunale sono state ben visibili con la rottura dell’accordo di governo con i socialisti. Anche perché tutti sono già in campagna elettorale e risulta difficilissimo arrivare a degli accordi per completare alcune politiche importanti in ambito cittadino, come quella, molto sentita, della costruzione di una linea di tram che colleghi la parte nord e sud della città. Nessuna delle opposizioni cede con l’obiettivo di indebolire Colau che, quindi, si sta focalizzando sulla remuntada elettorale, da qui a maggio del 2019. Nel suo futuro, insomma, non c’è molto tempo per pensare alle Europee anche se, in un recente incontro a Barcellona con emissari di Diem25 e DemA, avrebbe deciso che, indipendentemente dalla lista elettorale europea, parteciperà alla stesura del programma per quanto riguarda i temi del municipalismo e dei beni comuni.
Discorso simile per Podemos che si gioca moltissimo alle elezioni del 2019. Non si voterà infatti solo per le Europee, come si accennava precedentemente, ma anche in tutti i comuni spagnoli e in tredici regioni (su diciassette). In ballo non vi è dunque solo il Comune di Barcellona, ma tutte le città amministrate dalle confluenze del cambio che nel 2015 hanno rivoluzionato la geografia politica iberica: Madrid, Cadice, Valencia, Saragozza, La Coruña, Santiago de Compostela… Tutto il progetto delle “città ribelli”, di cui Podemos è una componente essenziale, affronterà una prova cruciale il prossimo anno. O si vince e dunque si consolidano queste esperienze di buon governo basato sulla partecipazione della cittadinanza o si perde, il che implica la fine di tutto. Tertium non datur. E lo stesso dicasi in ambito regionale visto che in diverse Comunità Autonome il partito di Pablo Iglesias è al governo o appoggia esternamente gli esecutivi socialisti. O in altre regioni dove spera di portare a casa una vittoria, come a Madrid governata da un Pp in estrema difficoltà per diversi scandali di corruzione e per la falsificazione di un titolo di master della presidentessa Cristina Cifuentes. Qui il candidato dovrebbe essere il “moderato” Íñigo Errejón, apprezzato anche dall’elettorato socialista. Un risultato al di sotto delle aspettative – molti sondaggi prevedono in generale un calo rispetto ai risultati del 2015-2016 – potrebbe segnare il declino di Podemos e la fine di governi regionali progressisti, con il ritorno di una destra a trazione Ciudadanos. Dopo l’Ottobre catalano, infatti, la Spagna sta virando a destra. Questa è la percezione, non solo frutto dei sondaggi.
Aggiungasi poi che Podemos al suo interno è comunque diviso tra sovranisti ed europeisti. È pur vero che a parte la componente minoritaria che fa capo ad Izquierda Anticapitalista dell’eurodeputato Miguel Urbán, che era molto vicina al progetto di Varoufakis – organizzarono i primi incontri di Plan B a Madrid nel 2016 – e che ora flirta con il sovranismo alla Mélenchon, la maggioranza del partito difende una posizione di un europeismo critico, ma senza tentennamenti sovranisti. La scelta è dunque quella di focalizzarsi sul terreno nazionale, anche per evitare possibili spaccature al proprio interno in un momento delicato, mantenendo una posizione non vincolante sull’Europa. Però, come analizzano César Rendueles e Jorge Sola, autori del libro Le sfide di Podemos (appena uscito per Manifestolibri), è ancora aperto lo scontro nel partito tra pablisti ed errejonisti, dopo la vittoria di Iglesias nel congresso di Vitalegre II nel febbraio 2017. Fazioni che, secondo alcuni, avrebbero posizioni divergenti anche sull’Europa. Per questo l’idea di eclissare sul tema. "La strategia di Podemos non può rinchiudersi nel quadro dello Stato-nazione. Il futuro della Spagna è subordinato all’Unione Europea – scrivono nel testo i due professori -. Eppure non si è discusso a sufficienza in Podemos che ha teso a rimuovere i suoi aspetti più spinosi, come il futuro dell’euro o la sconfitta di Syriza. Senza dubbio un’alternativa di cambiamento politico realista deve tenere in conto, dopo il braccio di ferro perso da Tsipras, sia dell’insostenibilità del sistema monetario attuale come delle difficoltà per difendere la posizione di rifiuto di pagare il debito considerato illegittimo".
Tenendo conto di tutto ciò si può capire come Barcelona en Comú e Podemos non vedano come una priorità le Europee. Almeno per il momento. Tutto è molto volatile di questi tempi, tutto potrebbe cambiare nei prossimi mesi. L’Europa potrebbe anche convertirsi in uno strumento importante o in un’arma insostituibile per mantenersi al governo delle “città ribelli” e per conquistare alcune regioni della penisola iberica. Non è da escludere nemmeno questo. Dipende quale sarà la riflessione che Iglesias e Colau faranno nei prossimi mesi. Anche perché, si ragiona, che anche in Europa sia giunto il momento di uscire dai confini angusti della Sinistra europea. Alleanze trasversali con forze progressiste e anti-establishment, non coinvolte in questi anni con la costruzione di questa Unione Europea. Di fatto il M5S ha vinto senza avere partner europei e senza far parte di nessuna famiglia. In fondo, è l’idea che hanno in mente anche Diem25 e de Magistris.
(27 marzo 2018)
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