Eurogruppo: il cannone e la carotina

Alessandro Somma



A tarda sera, quando le pagine dei quotidiani erano oramai composte, i Ministri delle finanze dell’Eurozona hanno concluso la riunione che doveva approvare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Da più parti si era chiesto di bloccarla, e da questo punto di vista non si può che registrare con soddisfazione quanto riportato nel comunicato ufficiale del Presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno: “la nostra attenzione è interamente concentrata sul coronavirus, per cui completeremo la riforma in un momento più appropriato”.
Seguono affermazioni che dovrebbero testimoniare sensibilità politica e umana: “il nostro impegno a fornire supporto nell’ora del bisogno è illimitato” e a tal fine “faremo qualsiasi cosa e di più”. Innanzi tutto sosteniamo gli sforzi dei Paesi che “stanno adottando vasti programmi di sostegno ai sistemi sanitari” e fornendo “supporto alle imprese e ai lavoratori colpiti”.
Questa è la carota, anzi la carotina, dal momento che le altre decisioni sono pensate per armare il bastone, o meglio il cannone, della politica economica europea così com’è e come, par di capire, sempre sarà.
Si era chiesto di sospendere il Patto di stabilità e crescita, ovvero l’insieme delle regole europee che ci hanno portato a massacrare il welfare e i sistemi sanitari in testa, a privatizzare i servizi pubblici, a partire da quelli indispensabili in momenti come questi, a scatenare una rovinosa competizione tra imprese, a impoverire i lavoratori e rendere precarie le loro esistenze. Quel Patto andrebbe buttato a mare, e invece non è stato neppure sospeso. Il Presidente dell’Eurogruppo dichiara candidamente che esso già “possiede tutta la flessibilità necessaria a fronteggiare la situazione” e ad “adottare le misure di vasta portata necessarie a combattere questa crisi”. Non solo: va bene sostenere le imprese, ma occorre farlo “nel rispetto delle regole sugli aiuti di Stato”, quindi senza intaccare più di tanto il principio di concorrenza.
L’Eurogruppo ha poi incaricato il Mes, la cui riforma verrà a questo punto solo rinviata ma non certo ripensata, di “esplorare modi di affrontare le sfide poste dal coronavirus nell’ambito del suo mandato”. Per i Paesi che non rispettano i parametri di Maastricht, primi fra tutti l’Italia con un debito più che doppio rispetto a quanto consentito, questo significa la possibilità di richiedere linee di credito, sottoposte tuttavia a “condizioni rafforzate”: accordate in cambio dell’impegno a realizzare le riforme in linea con quanto preteso dal Patto di stabilità e crescita.
Insomma, l’Europa darà una mano ai Paesi in difficoltà, tuttavia nel rispetto dei dogmi contemplati dalla religione del mercato, e soprattutto limitatamente a questo momento di crisi. Poi si torna sui binari del rigore e dell’austerità, come se nulla fosse successo. Nel solco di quanto accaduto dopo la crisi economica e finanziaria del 2008, affrontata concedendo qualche zerovirgola di flessibilità in più, tuttavia condizionata alla realizzazione delle riforme volute da Bruxelles: tra queste il Jobs Act e secondo alcuni anche la revisione della Costituzione voluta da Renzi e rifiutata dagli elettori.
Si dice che i momenti di crisi offrono lo spunto per poi ripartire, arricchiti dall’esperienza e liberati dagli errori del passato. L’Europa può cioè dimostrare di avere la capacità di riformarsi, di non essere un dispositivo concepito per attribuire ai mercati la forza di disciplinare gli Stati e i loro cittadini, e per neutralizzare qualsiasi politica di altro segno. Oppure può continuare lungo la sua strada, come un’auto in corsa e senza freni diretta contro un muro. Il muro della rabbia delle popolazioni impoverite e imbarbarite dalla virulenza dei mercati, che non si potrà certo fermare con le carotine di Bruxelles.

(17 marzo 2020)





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