Europee 2019: nella debacle della sinistra francese travolti anche i gilet gialli
Marco Cesario
Debacle è dir poco. Perché se il dato saliente venuto fuori dalle urne francesi è che il partito di Marine Le Pen, il Rassemblement National (RN), con il suo 23,3% dei voti è il primo partito di Francia (superando anche la lista europeista del presidente Macron che regge all’urto ma si ferma al 22,4%), l’altro dato importante è che la sinistra francese è stata spazzata via a discapito dei Verdi che diventano il terzo partito di Francia (EELV 13,1%). La France Insoumise di Mélénchon infatti ottiene solo il 6,6% delle preferenze così come il Partito Socialista (PS-Place Publique) ed entrambi scivolano addirittura dietro a Les Républicains (LR 8,6%). La debacle della sinistra trascina con sé anche le due liste risultanti dal movimento di protesta sociale che ha causato maggiori grattacapi al governo di Emmanuel Macron: i gilet gialli.
Diaspora gialla e Rassemblement National
“Alliance jaune”, guidata dal cantante Francis Lalanne, ha ottenuto solo lo 0,5% mentre ‘Evolution citoyenne’, guidata da Christophe Chalençon, ha ottenuto un misero 0,01%, un risultato ben lontano dalla soglia del 5% necessaria per inviare rappresentanti eletti al Parlamento europeo. Per tutta risposta Chalençon (ramo della destra sovranista all’interno del variegato movimento dei gilet gialli), ha accusato le autorità francesi di brogli e annunciato di voler fare ricorso. Al di là delle farneticazioni deliranti di Chaleçon, che aveva anche incontrato alcuni mesi fa il vice premier Luigi Di Maio e aveva auspicato un intervento dell’esercito per rimuovere il presidente Macron, pare che una grande maggioranza di voti “gialli” abbiano rinpinguato le casse politiche del Rassemblement National di Marine Le Pen. Questo almeno se ci si attiene al risultato del sondaggio Ifop pubblicato venerdì scorso che vede addirittura un 44 % di voti dei gilet gialli confluire nel RN mentre uno striminzito 4 % sarebbe andato a La République en Marche. Secondo Jérôme Sainte-Marie, presidente di PollingVox, l’unica valvola capace di dare uno sfogo politico al movimento dei gilet gialli è il partito di “Blue Marine”.
Ma non tutti sono di questo avviso. Va detto infatti che una parte del voto dei gilet gialli è confluito anche in altri partiti tra i quali l’UPR e addirittura il PCF (entrambi infatti hanno rivendicato la presenza di gilet gialli nelle proprie liste elettorali). Thierry Paul Valette, che aveva cercato di fondare una lista prima di ritirarsi, ha fatto per esempio endorsement per Emmanuel Macron prima di astenersi mentre Ingrid Levavasseur, che una volta era sulla lista Alliance Jaune, ha deciso di votare per i Verdi. Altri rappresentanti eccellenti dei gilet gialli hanno fatto scelte diverse: Jacline Mouraud ha messo nell’urna una scheda bianca mentre Hervé Giacomoni, portavoce dei gilet gialli dell’Aube, si è addirittura schierato con l’UPR per sostenere il ‘Frexit’ (il Brexit in salsa francese). Insomma si può chiaramente parlare, dal punto di vista elettorale, di “diaspora gialla” in mancanza sia di una chiara intenzione di voto da parte degli esponenti di maggior spicco del movimento e con l’aggravante della presenza di liste non gradite perché chiaramente autoimposte e mai votate dalla maggioranza della base nel corso delle assemblee generali dei gilet gialli che hanno avuto luogo in questi mesi. In questo scenario difficile anche quantificare l’impatto del voto dei gilet gialli sulle elezioni europee in Francia.
Astensionismo dei gilet gialli e ‘antipolitica’
La questione di una traduzione politica ed elettorale del movimento, molto forte ai suoi inizi nel novembre scorso e poi pian piano scemato, si è posta sin dagli inizi. Uno studio sociologico sui gilet gialli per conto del quotidiano le Monde (effettuato da oltre 60 ricercatori del CNRS e dell’INRA specializzati in sociologia, geografia, scienze politiche) aveva evidenziato il dato che circa un terzo dei gilets gialli non ha militanza politica. Nel computo di coloro che si dichiarano politicamente (il restante 67%) la sinistra è di gran lunga maggioritaria (42%), anche l’estrema sinistra è presente (15%). La destra è solo al 12% mentre l’estrema destra è largamente minoritaria (4,7%). Ma è ancora così dopo il voto? Alcuni specialisti effettivamente fanno entrare in gioco altri fattori: l’astensionismo ad esempio. Molti sedicenti gilet gialli hanno fatto appello ad annullare la propria scheda, a votare bianco, ad astenersi, a fare il dito medio a Macron e addirittura c’è chi ha bruciato (documentando tutto sui social) il proprio bollettino di voto. Ma c’è anche altro. I gilet gialli sono un movimento spontaneo che nel corso dei mesi ha assorbito le istanze più varie e disparate, tenute insieme dalla coesione delle manifestazioni di piazza del sabato in cui sono confluite sinistra extraparlamentare, anarchici, sindacati indipendenti ma anche estrema destra, sovranisti e spesso la battaglia per il controllo dei cortei è stata serrata. Il dato che emerge è che il movimento dei gilet gialli è legato alle rivendicazioni sociali, al contingentismo del corteo in funzione dell’ottenimento di risultati tangibili per le classi popolari e non nel respiro politico di lunga durata.
Basta ricordare le loro rivendicazioni più importanti. Oltre al rifiuto della famosa tassa sul carburante (la goccia che ha fatto traboccare il vaso), poi accantonata da Macron, c’erano rivendicazioni del tipo: salario minimo a 1300 euro netti, previdenza sociale uguale per tutti, pensioni non al di sotto di 1200 euro, proteggere l’industria francese vietando delocalizzazione, la fine della politica di austerity che grava sulle classi più deboli, lotta all’evasione fiscale, favorire politica d’integrazione, trattare le richieste d’asilo, aumentare aiuti agli handicappati, inserire referendum popolare nella costituzione, pensioni a 60 anni, fine delle indennità presidenziali a vita, fine del prelievo alla fonte. Un programma, che se guardato dall’esterno, poteva sembrare un programma di una sinistra storica. Eppure ciò non si è mai tradotto in programma politico vero e proprio. Con l’avvicinarsi delle elezioni, i problemi sono iniziati. Diverse figure del movimento hanno cercato di creare liste ma poi hanno dovuto prontamente rinunciare. Altre istanze dell’antipolitica hanno preso il sopravvento, l’antimacronismo generico ma anche il rifiuto della politica come mestiere o anche il rifiuto di passare per le vie parlamentari che ha spinto una parte del movimento alle violenze alle quali abbiamo assistito sugli Champs Elysèes. Ma ciò che unisce tutte queste componenti frammentarie del movimento è la sfiducia nei confronti delle “rappresentazioni del politico” ed è stato proprio il tentativo di strutturazione del movimento, attraverso possibili liste elettorali, a far emergere tutte le divisioni, essendo fondamentalmente un movimento anti-sistema. Ed è quello che ha sottolineato candidamente Yacin Chebad, altro esponente di spicco dei gilet gialli: “Dobbiamo restare all&
rsquo;opposizione della politica e tornare alle nostre origini: il blocco delle rotatorie”. Il sabato delle proteste non è ancora finito, i gilet gialli sono nati per stare sulle strade non nelle aule parlamentari.
@marco_cesario
(28 maggio 2019)
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