Eutanasia neonatale: qualche parola di verità
Eduard Verhagen
Qual è la differenza morale tra l’eutanasia e la sospensione di idratazione e nutrizione artificiale? Nei casi di bambini nati con gravissime malformazioni, in cui ogni ora e ogni giorno rappresentano uno strazio per loro e per i loro genitori, perché l’eutanasia non dovrebbe rappresentare il percorso più umano? A queste domande prova a rispondere il pediatra che in Olanda, nel 2005, ha messo a punto il primo protocollo per l’eutanasia neonatale.
*, da MicroMega 9/2013
È ampiamente risaputo che i Paesi Bassi sono stati il primo paese al mondo a legalizzare l’eutanasia per gli adulti. Le condizioni necessarie per contemplarla sono la richiesta esplicita da parte del paziente (autonomia) e la valutazione del medico che attesta la prognosi incurabile e le sofferenze insopportabili. Ciò che è meno conosciuto, anche dagli stessi olandesi, è che nei Paesi Bassi è legale, in circostanze attentamente definite, anche l’eutanasia per i neonati gravemente malati. Anche se un cambiamento legislativo di tipo formale, in questo senso, ancora non ha avuto luogo, lo sviluppo della giurisprudenza si è spinto sufficientemente in là da consentirci di identificare con ragionevoli margini di sicurezza qual è il quadro normativo in materia nei Paesi Bassi [1]. Una delle ragioni di questo sviluppo giuridico è la grande fiducia degli olandesi nel fatto che la legge possa e debba servire da misura di controllo della pratica medica. La pratica medica, a sua volta, è stata in parte influenzata dalla convinzione, coerente e ben radicata nei medici e nell’opinione pubblica olandesi, che nei neonati malati non tutte le opzioni di trattamento debbano sempre essere usate [2]. In altre parole, alcuni bambini potrebbero essere lasciati morire se, per esempio, le loro prospettive di vita risultassero molto cupe. E anche l’eutanasia neonatale potrebbe essere ammissibile in tali situazioni.
In questo articolo, l’evoluzione graduale di questo approccio nell’ultimo decennio è descritta ponendo particolare attenzione agli sviluppi riguardanti l’eutanasia neonatale. Questa descrizione può essere di particolare rilevanza visti i recenti dibattiti internazionali e il clamore suscitato sui media da un articolo che trattava di aborti postnatali [3]. Gli autori sostenevano che se l’aborto, su richiesta dei genitori, è ritenuto ammissibile in determinate circostanze, allora anche l’infanticidio dovrebbe essere consentito in circostanze significativamente simili. Dato che nessun altro paese ha legalizzato l’aborto e l’eutanasia neonatale in certe (ristrette) circostanze, l’esperienza degli olandesi può essere utile agli altri e contribuire al dibattito.
Spesso si usano come sinonimi termini ed espressioni – come interrompere o sospendere i trattamenti di sostegno vitale, cure terminali, procedure di fine vita, eutanasia attiva, interruzione della vita, neonaticidio o infanticidio, aborto postnatale ed eutanasia neo¬natale – che invece veicolano a medici, pazienti, famiglie e a tutti gli altri significati molto diversi. Questi significati differenti possono suscitare fraintendimenti non intenzionali al capezzale dei malati, tra professionisti sanitari, nei media e nel dibattito internazionale, e possono avere conseguenze potenzialmente dannose. Lo staff medico si affida alle parole e, perciò, l’uso coerente della terminologia predefinita è molto importante in questioni molto delicate quali le decisioni di fine vita riguardanti i neonati gravemente malati.
In questo articolo, per decisioni di fine vita si intendono le decisioni mediche il cui (probabile) effetto è provocare o accelerare la morte. Includono la decisione di interrompere o sospendere i trattamenti di sostegno vitale, la decisione di somministrare farmaci con l’effetto potenziale di abbreviare la vita per alleviare il dolore e le sofferenze e la decisione di interrompere deliberatamente, mediante farmaci letali, la vita di neonati fisiologicamente stabili che altrimenti non morirebbero. Per quest’ultima decisione si usa il termine «eutanasia neonatale».
Decisioni di fine vita nei neonati: la situazione prima del 2005
Il processo decisionale che porta all’eutanasia neonatale nei Paesi Bassi è stato studiato approfonditamente negli ultimi 10-15 anni. Due indagini nazionali nel 1995 e nel 2001 hanno mostrato che la maggioranza (65 per cento) dei bambini deceduti in età inferiore ai 12 mesi erano morti perché i trattamenti di sostegno vitale erano stati interrotti o sospesi [4]. Nel 60 per cento dei casi la decisione era stata presa poiché i neonati erano affetti da malattie incurabile e la morte era inevitabile. Nei rimanenti, la decisione era stata presa per motivi legati alla qualità della vita e riguardava pazienti che, se il trattamento non fosse stato interrotto o sospeso, avrebbero potuto sopravvivere. Quegli stessi studi hanno anche mostrato che nell’1 per cento dei casi erano stati somministrati farmaci con l’intenzione esplicita di favorire la morte. In base a questi dati è stato stimato che ogni anno si verificano almeno 15-20 casi di eutanasia volontaria. Al tempo non erano disponibili molti dettagli su quei neonati, a parte il fatto che non erano sottoposti a trattamenti di sostegno vitale da interrompere o sospendere. Sebbene i medici fossero vincolati a segnalare casi di questo tipo e due processi avessero stabilito che dare farmaci per favorire la morte fosse talvolta la cosa più umana da fare, tra il 1997 e il 2005 sono stati segnalati e riesaminati soltanto tre casi di eutanasia neonatale all’anno [5]. Abbiamo analizzato quei casi in modo retrospettivo e abbiamo scoperto che tutti riguardavano neonati affetti da complesse malformazioni congenite inoperabili (principalmente spina bifida) in concomitanza con altre complicazioni e/o anomalie cromosomiche.
Poiché solo il 15-20 per cento del numero stimato dei casi era stato segnalato, è ragionevole concludere che la pratica dell’eutanasia neonatale esistesse chiaramente prima del 2005 ma non fosse affatto trasparente.
Il protocollo di Groningen per l’eutanasia neonatale
Il nostro gruppo ha sviluppato una procedura per identificare le situazioni in cui l’eutanasia neonatale può essere contemplata e ha pubblicato il protocollo nel New England Journal of Medicine nel 2005 [6]. Questo protocollo, conosciuto come «Il Protocollo di Groningen per l’eutanasia neonatale» (GP), contiene cinque criteri principali di ammissibilità dell’eutanasia: 1) diagnosi e prognosi devono essere certe, 2) devono essere presenti sofferenze incurabili e insopportabili, 3) si deve ottenere una seconda opinione di conferma da parte di un medico indipendente, 4) entrambi i genitori devono dare il consenso informato e 5) la procedura deve essere eseguita con attenzione, in ottemperanza agli standard medici.
L’impulso a redigere il protocollo, al tempo, ci venne dall’enorme dilemma in merito al miglior intervento da adottare per una neonata affetta dalla forma più grave di una malattia cutanea letale chiamata epidermolisi bollosa [7]. Questa malattia provoca dolori e sofferenze strazianti. I genitori chiesero l’eutanasia e i medici concordarono che le sofferenze erano intollerabili e perciò la richiesta comprensibile. Il timore di poter essere perseguiti legalmente per omicidio doloso, tuttavia, ci costrinse a rifiutare la richiesta. Ritrasferimmo la paziente in pediatria. Quando ci fu riferito come la bambina era morta tre mesi dopo, de
cidemmo di creare un protocollo che ci aiutasse a stabilire in futuro in quali casi l’eutanasia potesse essere la scelta appropriata. Inoltre volevamo che il protocollo contribuisse a disciplinare la pratica dell’eutanasia neonatale e renderla più trasparente. La sua pubblicazione generò immediatamente un forte dibattito internazionale 8 e costrinse i medici ad analizzare le differenze tra i metodi esistenti nelle cure palliative comuni in molti paesi, come interrompere o sospendere i trattamenti di sostegno vitale o la somministrazione di alte dosi di narcotici per alleviare le sofferenze, e l’approccio olandese di somministrare farmaci espressamente letali.
Uno degli argomenti principali sollevati contro il Protocollo di Groningen era quello del «piano inclinato»: il Protocollo è il primo passo su un piano inclinato che avrebbe fatto precipitare verso un ricorso sempre più ampio all’eutanasia neonatale (erosione delle norme). Inoltre, è stato sostenuto che porre fine alla vita di un neonato sarebbe una violazione del ruolo del medico come difensore della vita e concedere ai medici di farlo avrebbe un impatto negativo sulla percezione della professione [9]. Quelli a favore del Protocollo di Groningen hanno affermato che esso consentiva ai medici di essere apertamente responsabili delle loro decisioni di fronte a tutti i membri della società. La trasparenza del processo di riflessione e azione richiesto dal Protocollo serve come meccanismo di rafforzamento della fiducia del paziente rispetto al proprio medico [10]. La legalizzazione è un modo efficace per disciplinare la pratica dell’eutanasia e renderla più trasparente [11].
La maggior parte delle persone sarebbero forse concordi nell’affermare che le evidenze dei pro e dei contro sono molto difficili da ottenere. Alcune domande importanti, tuttavia, alle quali pensavamo fosse possibile trovare una risposta in modo relativamente facile sono: quale previsione si è avverata? L’eutanasia neonatale è aumentata o diminuita dopo l’applicazione del Protocollo? I casi sono stati tutti segnalati? Per rispondere a queste domande abbiamo analizzato i dati dei due studi che riportavano i decessi dei neonati nelle unità di terapia intensiva neonatale (Tin) nei Paesi Bassi in seguito alla pubblicazione del Protocollo di Groningen e abbiamo passato in rassegna tutti i casi di eutanasia segnalati tra il 2001 e il 2010.
La situazione dopo il 2005: da che parte pendeva il piano inclinato?
L’interruzione o la sospensione dei trattamenti di sostegno vitale era la causa della morte del 95 per cento dei pazienti deceduti nelle Tin [12]. Il 60 per cento dei casi riguardava neonati instabili con una morte inevitabile mentre nel restante 40 per cento si era intervenuto su neonati stabili per ragioni legate alla qualità della vita. Un neonato affetto da osteogenesi imperfetta di tipo II venne incluso nella casistica di eutanasia neonatale [13]. Dopo che fu evidente che le sofferenze intollerabili del paziente non potevano essere alleviate altrimenti, il medico curante aumentò intenzionalmente la somministrazione di morfina fino a indurre la morte. Rilasciarono un certificato che dichiarava la morte naturale del bambino. L’équipe medica riesaminò il caso alcune settimane dopo la morte del neonato e concluse, a posteriori, che quell’intervento costituiva in effetti un’eutanasia volontaria. Il caso non fu segnalato alle autorità legali.
Il riesame dei casi segnalati di eutanasia ha rivelato che, in seguito alla pubblicazione del Protocollo di Groningen, l’eutanasia è diminuita da 15 a 2 casi in 5 anni [14]. I due casi riguardavano bambini affetti da epidermolisi bollosa letale. Per quanto riguarda la spina bifida, i casi di eutanasia sono diminuiti da 15 a 0. Abbiamo cercato di scoprire il perché. A partire dal 2007 l’ecografia strutturale alla ventesima settimana è a disposizione di tutte le donne incinte senza costi aggiuntivi. Prima di allora, l’accesso allo screening ecografico era accessibile soltanto alle donne con un’età superiore ai 35 anni e/o sotto stretta indicazione medica. Le relazioni pubblicate dal registro delle malformazioni congenite e dal registro nazionale delle interruzioni di gravidanza hanno mostrato un aumento significativo degli aborti di feti affetti da spina bifida prima della ventiquattresima settimana dopo il 2007 in confronto ai 5 anni precedenti [15]. Questi dati ci rivelano che il cambiamento del sistema sanitario (lo screening prenatale divenuto parte delle cure prenatali) ha portato a un aumento degli aborti e a una diminuzione dei casi di eutanasia. Sembra lecito concludere che i risultati dell’applicazione del Protocollo di Groningen sono stati del tutto diversi da quelli previsti sia dai suoi sostenitori sia dai suoi critici.
Sono stati segnalati tutti i casi?
Il tasso di segnalazione apparentemente molto basso può essere del tutto spiegabile dagli sviluppi dello screening prenatale come detto sopra. Tuttavia, non si potrebbe escludere la possibilità che i medici esitino ancora a segnalare i casi dopo che i loro pazienti sono morti di eutanasia. Di sicuro la segnalazione è diventata più facile perché i requisiti per la prassi corretta e la posizione legale del medico sono stati meglio definiti dal Protocollo. Inoltre, il governo ha contribuito a ridurre la riluttanza dei medici modificando la procedura di segnalazione in modo che i casi vengano inizialmente riferiti a un comitato multidisciplinare di esperti (in ambito di etica, medicina e giurisprudenza) e non direttamente alla procura. Questo comitato è attivo dal 2007.
Una delle possibili ragioni per il basso tasso di segnalazione potrebbe essere legato al fatto che le singole strutture sanitarie ancora definiscono l’eutanasia neonatale in modo diverso. Un esempio può essere l’uso di farmaci paralizzanti al termine della vita di un neonato in Tin, come descritto in due studi recenti [16]. Alcuni medici olandesi su richiesta dei genitori somministrano questi farmaci, simili a quelli usati per l’eutanasia, per fermare i respiri ansimanti del neonato morente, ma non la considerano eutanasia bensì gestione dei sintomi e parte delle cure palliative. Questi casi non vengono di norma mai presentati al comitato. Su questa delicata questione è stato recentemente raggiunto un consenso nella comunità medica, espresso in un documento pubblicato lo scorso luglio dall’Associazione dei medici olandesi, la Knmg, in cui si legge: «La somministrazione di miorilassanti [farmaci che potrebbero condurre alla morte] è giustificata se: a) il bambino ha grosse difficoltà nella respirazione, è visibilmente sofferente e le cure palliative non sono efficaci nel sollievo dal dolore. Porre fine intenzionalmente alla vita, in queste circostanze, è giustificato e i casi vanno riferiti al comitato; […] b) se il processo di morte è in corso ma è talmente prolungato da provocare grave pena nei genitori. Anche questi casi vanno segnalati al comitato; […] c) se al bambino si stavano già somministrando miorilassanti come parte del suo trattamento terapeutico. Proseguire nella somministrazione di questi farmaci, in questi casi, può essere considerato parte del normale trattamento di cure palliative. […] In questi casi il fine non è l’interruzione della vita e quindi non vanno riferiti al comitato» [17]. Questo documento contribuisce ad aumentare il livello di trasparenza della pratica medica e di efficienza del controllo legale.
L’eutanasia è mai preferibil
e rispetto ad altri interventi di fine vita?
La scoperta dell’aumento di aborti e della diminuzione dell’eutanasia in seguito all’introduzione dello screening prenatale solleva l’interessante questione su quale sia la differenza morale tra eutanasia e aborto. Si potrebbe affermare che per alcuni pazienti l’eutanasia neonatale sia preferibile all’interruzione della gravidanza nel secondo trimestre. Il livello di certezza di cui disporre per formulare la diagnosi e la prognosi, per esempio in bambini affetti da malformazioni congenite, è spesso molto inferiore alla ventesima settimana rispetto alla situazione dopo la nascita, quando l’équipe medica e i genitori avranno molto più tempo per organizzare le procedure diagnostiche necessarie per aumentare la qualità della diagnosi e della prognosi. Potrebbero esserci a disposizione più tempo (e maggior competenza) per discutere con i genitori circa tutte le opzioni terapeutiche inclusi i trattamenti palliativi. Se tutte le parti interessate constatano che la prognosi è molto negativa, ritengono che la condizione del neonato sia caratterizzata da sofferenze prolungate e intollerabili e i genitori richiedono l’eutanasia, perché non dovrebbe essere ammissibile come alternativa all’interruzione di gravidanza nel secondo trimestre? Inoltre, si potrebbe anche porre questa domanda: qual è la differenza morale tra l’eutanasia e l’interruzione o la sospensione dell’idratazione e della nutrizione artificiale? Tale quesito ha assunto importanza dopo la pubblicazione dell’articolo di Diekema et al. e del comitato di bioetica dell’American Academy of Pediatrics (Aap) [18].
Dopo aver passato in rassegna le questioni mediche, etiche e legali rilevanti nell’interruzione o nella sospensione dei liquidi e degli alimenti somministrati artificialmente nei bambini, gli autori hanno ritenuto che la sospensione fosse accettabile in situazioni limitate. La pratica della sospensione della nutrizione e dell’idratazione è un altro esempio di un’impostazione nelle cure palliative che avrebbe bisogno di ripensamento. Per alcuni pazienti e/o genitori l’eutanasia neonatale potrebbe essere preferibile alla sospensione della nutrizione e dell’idratazione, specialmente nelle situazioni, seppur rare, in cui ogni ora e ogni giorno di vita impongono un peso intollerabile al neonato e ai genitori. L’esito in tali casi è chiaro: il bambino morirà presto; se i genitori desiderano abbreviare quel processo e predisporre la morte del proprio figlio nel modo in cui meglio ritengono, l’eutanasia non dovrebbe essere a loro disposizione?
Conclusioni
Nei Paesi Bassi, l’eutanasia neonatale è diventata un’opzione legalizzata e il Protocollo di Groningen contiene i criteri per identificare le situazioni in cui l’eutanasia neonatale può essere contemplata. Nei cinque anni successivi alla sua pubblicazione non si sono avverate né le previsioni che dicevano che il Protocollo sarebbe stato il primo passo su un piano inclinato pericoloso, né quelle che secondo le quali avrebbe contribuito alla completa trasparenza e alla legalità. Invece, abbiamo sperimentato una trasformazione del sistema sanitario dopo che lo screening prenatale è diventato parte integrante dell’assistenza prenatale. Il risultato è stato un aumento delle interruzioni di gravidanza e una diminuzione dell’eutanasia.*
(traduzione di Daniel Russo)
NOTE
1 J. Griffiths, H. Weyers, M. Adams, Termination of life in neonatology: euthanasia and law in Europe, Hart Publishing, Oxford- Portland, Oregon 2008, pp. 17-55.
2 Cfr. Doen of laten. Grenzen van het medisch handelen in de neonatologie (Curare o non curare? I limiti dei trattamenti di sostegno vitale in neonatologia), Nederlandse Vereniging voor Kindergeneeskunde, Den Daas, Utrecht 1992; Medisch handelen rond het levenseinde bij wilsonbekwame patiënten, KNMG Commissie Aanvaardbaarheid Levensbeeindigend handelen, Bohn Stafleu Van Loghem, Houten 1997; Overleggroep toetsing zorgvuldig medisch handelen rond het levenseinde bij pasgeborenen. Toetsing als spiegel van de medische praktijk (La valutazione come specchio della pratica medica), Ministerie van Volksgezondheid Welzijn en Sport, Rijswijk 1997.
3 A. Giubilini, F. Minerva, «After-birth abortion: why should the baby live?», Journal of Medical Ethics, 39, 2013, pp. 261-263.
4 Cfr. A. van der Heide, P.J. van der Maas, G. van der Wal et al., «Medical end-of-life decisions made for neonates and infants in the Netherlands», Lancet, 350, 9073, 1997, pp. 251-255; A.M. Vrakking, A. van der Heide, B.D. Onwuteaka-Philipsen et al., «Medical end-of-life decisions made for neonates and infants in the Netherlands, 1995-2001», Lancet, 365, 9467, 2005, pp. 1329-1331.
5 A.A. Verhagen, J.J. Sol, O.F. Brouwer et al., «Actieve levensbeeindiging bij pasgeborenen in Nederland; analyse van alle 22 meldingen uit 1997-2004», («Interruzioni volontarie della vita di neaonati nei Paesi Bassi; analisi dei 22 casi riportati tra il 1997 e il 2004»), Ned Tijdschr Geneeskd, 149, 4, 2005, pp. 183-188.
6 E. Verhagen, P.J. Sauer, «The Groningen protocol: euthanasia in severely ill newborns», The New England Journal of Medicine, 352, 10, 2005, pp. 959-962.
7 Cfr. G. Crouch, «A crusade born of a suffering infant’s cry», The New York Times, 19/3/2005; W.Y. Yuen, J.C. Duipmans, B. Molenbuur et al., «Long-term follow-up of patients with Herlitz-type junctional epidermolysis bullosa», British Journal of Dermatology, 167, 2, 2012, pp. 374-382.
8 Cfr. H. Lindemann, M. Verkerk, «Ending the life of a newborn: the Groningen Protocol», The Hastings Center Report, 38, 1, 2008, pp. 42-51; F.A. Chervenak, L.B. McCullough, B. Arabin, «Why the Groningen Protocol should be rejected», The Hastings Center Report, 36, 5, 2006, pp. 30-33; A.A. Kon, «Neonatal euthanasia is unsupportable: the Groningen Protocol should be abandoned», Theoretical Medicine and Bioethics Journal, 28, 5, 2007, pp. 453-463; A. Jotkowitz, S. Glick, B. Gesundheit, «A case against justified non-voluntary active euthanasia (the Groningen Protocol)», The American Journal of Bioethics, 8, 11, 2008, pp. 23-26; M.C. de Vries, A.A. Verhagen, «A case against something that is not the case: the Groningen Protocol and the moral principle of non-maleficence», The American Journal of Bioethics, 8, 11, 2008, pp. 29-31.
9 Cfr. Decision making: ethical issues. Critical care decisions in fetal and neonatal medicine, Nuffield Council on Bioethics, London 2006; K. Costeloe, «Euthanasia in neonates», British Medical Journal, 334, 7600, 2007, pp. 912-913.
10 Cfr. H. Lindemann, M. Verkerk, op. cit.
11 Cfr. J. Griffith, H. Weyers, M. Adams, op. cit.
12 Cfr. A.A. Verhagen, J.H. Dorscheidt, B. Engels et al., «End-of-life decisions in Dutch neonatal intensive care units», JAMA Pediatrics, 163, 10, 2009, pp. 895-901; A.A. Verhagen, A. Janvier, S.R. Leuthner et al., «Categorizing neonatal deaths: a cross-cultural study in the United States, Canada, and the Netherlands», The Journal of Pediatrics, 156, 1, 2010, pp. 33-37.
13 Cfr. AA. Verhagen et al., «End of life…», cit.
14 Cfr. Commissie Late Zwangerschapsafbreking en levensbeeindiging bij pasgeborenen (Commissione sull’interruzione di gravidanza tardiva e sull’interruzione della vita nei neonati), Rapporti annuali 2007, 2008, 2009, 2010
, www.lzalp.nl/documentatie (visitato il 21/1/2013).
15 Jaarrapportage 2007 van de Wet afbreking zwangerschap (Rapporto annuale 2007 sull’applicazione della legge sull’interruzione di gravidanza), Inspectie Volksgezondheid (The Netherlands Health Care Inspectorate), Den Haag, November 2008.
16 Cfr. A.A. Verhagen, J.H. Dorscheidt, B. Engels et al., «Analgesics, sedatives and neuromuscular blockers as part of end-of-life decisions in Dutch NICU’s», Archives of Disease in Childhood: Fetal and Neonatal Edition, 94, 2009, pp. 434-438; A. Janvier, W. Meadow, S.R. Leuthner et al., «Whom are we comforting? An analysis of comfort medications delivered to dying neonates», Journal of Pediatrics, 159, 2, 2011, pp. 206-210.
17 Standpunt Medische beslissingen rond het levenseinde bij pasgeborenen met zeer ern¬stige afwijkingen (Criteri per le decisioni mediche sulla interruzione della vita in neonati affetti da gravi anomalie), Knmg, 2013.
18 D.S. Diekema, J.R. Botkin, «Clinical report: forgoing medically provided nutrition and hydration in children», Pediatrics, 124, 2, 2009, pp. 813-822.
* Pubblicato originariamente con il titolo «The Groningen Protocol for newborn euthanasia; which way did the slippery slope tilt?» sul Journal of Medical Ethics, vol. 39, 2013
(19 settembre 2016)
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