don Vinicio Albanesi: Falsi censori
da www.vinicioalbanesi.it
Lo stupro che ha subito la ragazza del Lesotho alla periferia di Roma è particolarmente impressionante per molti motivi: per il luogo deserto e buio, alla periferia di Roma, perché a subirlo è stata una donna indifesa, come la signora Reggiani, uccisa qualche mese fa in circostanze simili, perché il delitto è stato commesso da un rumeno clandestino.
Nel ballottaggio per il Sindaco di Roma, appena concluse le votazioni politiche, questo crimine assume il valore simbolico della "sicurezza” delle nostre città.
Da qui le invocazioni alla “tolleranza zero”, a misure severe, a riempire di nuovo le carceri, contro ogni buonismo e sopportazione, come ha dichiarato qualche esponente politico.
Fuori dalle emozioni, il crimine de “La Storta” a Roma spinge a riflessioni serie. L’episodio fa emergere tre grandi ambiguità: la prima sulla violenza sessuale, la seconda sull"immigrazione clandestina, la terza sulla certezza della pena. Ambiguità con le quali la nostra cultura (e la nostra politica) convivono tranquillamente.
Di fronte ai clamori per la ragazza aggredita e violentata, nessun allarme per il 69% degli stupri che avvengono tra le mura domestiche. Un dato tenuto nascosto perché farebbe scoprire la violenza dei maschi prima italiani e poi stranieri. Forse anche nel nostro civilissimo paese andrebbe attivata la cultura del rispetto e della pari dignità. I delitti eccellenti di Chiavenna, di Garlasco, di Erba, di Perugia non avevano origine clandestina, né sono stati commessi in periferie urbane degradate.
La seconda ambiguità riguarda l’immigrazione clandestina. La nostra politica accetta tranquillamente la clandestinità quando è utile (badanti, lavoratori in edilizia, in agricoltura, nel settore alberghiero, in quello marittimo) perché fa risparmiare; invoca leggi severe quando è delinquenziale. Sarebbe utile sapere qual è la linea scelta, senza ammiccamenti e tolleranze, determinate da convenienze.
Infine la certezza della pena. Nel nostro paese non c’è certezza della legge, figurarsi della pena. Il garantismo contro cui, in circostanze delittuose, molti si scagliano è servito a molti cittadini, anche “eccellenti”, a non subire condanne; fa parte del nostro bagaglio giuridico la prescrizione, ultima spiaggia per non subire condanne. Che in questo pressappochismo voluto abbia buon gioco la delinquenza non è di difficile immaginazione. Ma l’incertezza della pena non è stata inventata per stranieri, ma per italiani.
Il livello di rispetto della convivenza nel nostro paese è basso: rafforzarlo significa diventare più coerenti, senza appelli roboanti e falsamente moralistici perché inversamente proporzionali a garantire sicurezza.
Fuor di luogo dunque sono le promesse di giro di vite e gli appelli apocalittici. La cultura della legalità è una cosa seria: vale per tutti e sempre. Sono necessarie politiche di integrazione, di rispetto e di efficienza. Vere e non annunciate; sostenute con risorse e non da invocazioni; equilibrate e non discriminanti.
(24 aprile 2008)
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