Fausto Pirandello. Un’antologica e una nuova scoperta
Mariasole Garacci
Fino al 14 dicembre, la Galleria Russo di Roma ospita una retrospettiva su Fausto Pirandello dal 1923 al 1973. Sempre a Roma, ma solo fino a domani, alla Galleria d’Arte Moderna si potrà ammirare La Tempesta, straordinario dipinto di Pirandello che si credeva perduto ed è stato concesso dal collezionista privato in occasione della mostra. Il museo comunale è nel circuito dei siti ad apertura gratuita la prima domenica del mese per residenti di Roma e Città Metropolitana.
La Galleria d’Arte Moderna di Roma, dove fino a domenica è in corso la mostra Roma anni Trenta. La Galleria d’arte Moderna e le Quadriennali d’arte 1931-1935-1939 dedicata alle prime edizioni storiche della Quadriennale, espone solo per pochissimo La Tempesta, uno straordinario dipinto di Fausto Pirandello finora noto soltanto attraverso riproduzioni in bianco e nero. Un’opera da considerarsi tra i capolavori di questo pittore e tra le più importanti realizzate negli anni Trenta in Italia, coinvolta in una curiosa vicenda ancora irrisolta che ha per protagonista la figura , direttore dal 1938 della tristemente nota rivista quindicinale La Difesa della razza. Il grande dipinto a olio La Tempesta venne presentato la prima volta nel 1939 alla III Quadriennale d’Arte Nazionale di Roma, un’edizione del premio significativa per Fausto Pirandello, all’epoca all’apice della sua carriera, su cui vale la pena di soffermarsi per rievocare l’ambiguità del mondo della cultura italiano in quel periodo.
Già premiato nella precedente Quadriennale del 1935, Pirandello aveva ora l’onore di essere stato invitato ad esporre in una sala interamente a lui dedicata: in questa occasione veniva presentato un altro dei suoi capolavori, il famoso Siccità (olio su tavola, cm 155×155), iniziato ad Anticoli Corrado nell’estate del 1936 e terminato nel suo studio l’anno seguente. Questo splendido quadro -appartenente al ciclo delle grandi composizioni realizzate in quegli anni dal pittore, caratterizzate da un riuscito equilibrio tra espressionismo e realismo (nell’accezione peculiarmente drammatica e concitata che in Pirandello trovano questi termini)- aveva ricevuto da parte di Mussolini un’accoglienza piuttosto sospettosa: la lisa maglia rossa indossata dai disgraziati contadini, le braccia protese sul magro raccolto di un’annata sfortunata, potevano essere interpretati come un sedizioso messaggio cripto-comunista. Nulla del genere, in realtà, era da leggere in questa composizione che, nel solco del colorismo riarso e violento, onirico e come sfocato della Scuola Romana, accostava il rosso al giallo delle foglie del mais, al grigio di un cielo pesante e avaro di pioggia, ai campi di un verde cupo, alle carni riarse impastate di terra. Così, il dipinto fu acquistato per ottomila lire dal Ministero dell’Educazione e acquisito dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, della cui collezione fa ancora parte.
A proposito di questo dipinto, Pirandello dichiarò in seguito di aver voluto ricercare “il senso del popolaresco che hanno certe figure del purgatorio o fra le fiamme”. La stessa sofferenza, lo stesso senso di impotenza di fronte a una catastrofe incombente, si trova ne La Tempesta, opera di grande livello qualitativo che dopo la Quadriennale del 1939, fu inviata negli Stati Uniti ed esposta al Carnegie Institute di Pittsburgh. Da questo momento sarebbe scomparsa dalla circolazione e considerata dispersa, nota soltanto attraverso le illustrazioni in bianco e nero pubblicate all’epoca. Ma occorre ricordare un’altra versione della misteriosa vicenda, quella fornita da Giampiero Mughini nella sua biografia di Telesio Interlandi (A via della Mercede c’era un razzista, Rizzoli, 1991): La Tempesta sarebbe stata acquistata dal giornalista di regime, legato a Fausto Pirandello da antichi e profondi rapporti di affetto, dopo il rientro in Italia nel dopoguerra, quando Fausto e sua moglie Pompilia si prodigarono per aiutare, soprattutto economicamente, Interlandi e la sua famiglia. Questi, del resto, nei suoi tempi d’oro aveva collezionato i lavori dell’amico pittore, come ad esempio I ranocchi, opera già di sua proprietà quando venne prestata alla III Quadriennale. In seguito, dopo l’arresto di Interlandi nel luglio del 1943, il sequestro e l’occupazione del suo villino sull’Aventino da parte della brigata del Movimento cattolico comunista di Ossicini e poi delle forze britanniche che vi avevano stabilito la redazione del loro giornale, I ranocchi venne tagliato in due da alcuni militari inglesi per chiudere una finestra andata in frantumi. In questa serie convulsa di vicende che arriva fino al sequestro conservativo del 1946 finalizzato alla confisca dei beni di Interlandi, dunque, La Tempesta sarebbe stato acquisito, in un momento non specificato, da un anonimo collezionista privato.
Si tratta di un lavoro di dimensioni ambiziose, dipinto ad olio su una superficie di compensato di cm 150×225 e firmato in basso a sinistra “Pirandello 1938”. La materia pittorica è scabra eppure sontuosa, intorbidata da un’aria tiepida, afosa, che sfoca l’immagine; gli accostamenti cromatici sono severi ma resi vibranti da un sensibile tonalismo che costruisce i volumi dei corpi. Lo spazio su cui si proiettano le figure di donne e ragazzi in fuga al sopraggiungere della tempesta è frammentato e sconvolto da spatolate di colore informi di verde scuro e di bianco, su cui per contro si stagliano con mirabile rilievo e volume le foglie di platano secche e accartocciate, le brune mani protese, i corpi nudi e le vesti sconvolte. Brani di alta pittura pirandelliana sono il lembo di stoffa di un rosa quasi da colorista veneto (suggestione che torna in Pirandello) sul giallo ocra, tipici della cromia ruvida e polverosa del pittore, e i trapassi tonali che quasi scolpiscono la sottana bianca della donna in centro, avviluppata dal vento intorno alle sue gambe, mentre una foglia gialla si staglia sul nero violaceo della veste sospinta violentemente in aria. Sul fondo indefinito è fatta planare una composizione ritmica ad andamento diagonale estremamente efficace nell’evocare il senso alternativamente della resistenza e della spinta del vortice d’aria impresso ai corpi proiettati in corsa disperata.
Il prestito e l’esposizione di quest’opera nella Galleria d’Arte Moderna di Roma sono stati possibili grazie all’interessamento della Galleria Russo di Via Alibert, dove è in corso l’importante mostra antologica Fausto Pirandello. Opere dal 1923 al 1973 curata da Flavia Matitti dell’Associazione Fausto Pirandello e da Fabio Benzi della Fondazione Fausto Pirandello, le due istituzioni dedicate al patrocinio, allo studio e alla autenticazione delle opere del maestro e alla tutela e promozione del suo lavoro artistico e intellettuale. Una selezione di ottanta dipinti dagli anni Venti agli anni Settanta che per importanza e completezza può essere paragona
ta alla retrospettiva tenuta nel centenario della nascita di Pirandello al Palaexpo nel 1999. Il catalogo, con saggi critici di Fabio Benzi, Francesco Leone e Flavia Matitti, è pubblicato da Manfredi Edizioni.
Rileva Fabio Benzi: “l’inizio del percorso artistico di Fausto Pirandello va individuato in un apprendistato, sempre sottovalutato dalla critica, alla scuola di Sigismondo Lipinsky: pittore e soprattutto incisore dal segno nitido e acuminato, ultimo erede insieme all’amico Otto Greiner (cui guardarono anche Balla, Severini, Boccioni e Sironi prima del futurismo) di quella generazione di Deutsch Römer (“tedeschi romani”) che aveva avuto origine dal soggiorno romano di Böcklin”. Una dimestichezza con suggestioni culturali tedesche che in Fausto Pirandello potrebbe essere frutto di un’abitudine familiare, considerando che in gioventù il padre Luigi aveva studiato e soggiornato a lungo a Bonn, riportandone precise preferenze culturali e quella formazione mitteleuropea così peculiarmente fusa con la sua profonda sicilianità. Dall’indirizzo di Lipinsky e Greiner Fausto trasse, rispetto ai compagni della Scuola Romana, uno sguardo particolarmente oggettivo e crudo sulla fisicità umana, una carnalità sgradevole e sofferta che, non a caso, in alcuni dipinti in mostra alla Galleria Russo, come ad esempio un Nudo in prospettiva del 1923 (olio su tela, cm 132,5×74,5), ricorda moltissimo i corpi nudi distesi dipinti decenni dopo da Lucien Freud.
All’intellettualismo della Neue Sachlichkeit e a un certo Espressionismo tedesco sembrano nutrirsi alcune composizioni in mostra, come un bellissimo Ritratto di bambina del 1924-26 (olio su tela, cm 58×43). Sono, del resto, gli anni in cui Pirandello, con Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi frequenta la scuola di pittura di Felice Carena, da cui è recepita e fatta propria la solida plasticità cromatica e l’inclinazione dei piani prospettici in sequenze complesse. Durante il soggiorno parigino del 1927-30, tentativo di fuga dai pressanti condizionamenti paterni, Fausto è in stretto contatto con il gruppo degli Italiens de Paris, specialmente Giorgio De Chirico e Filippo De Pisis, e studia la pittura di Cézanne, Picasso e Braque. Emblematico di questo incrocio di riflessioni cubiste e metafisiche è la sua declinazione di un particolare surrealismo molto francese che si legge nel misterioso Donna con salamandra del 1928-30 (olio su tela, cm 93×80). Evoca irresistibilmente una memoria pirandelliana (nel senso del padre Luigi) la Testa di bambola del 1935 ca. (olio su tavola, cm 116×84,5 ), con le due bimbette che si rivolgono allo spettatore, l’una con sguardo perplesso e diffidente schermendosi dietro una sedia, l’altra celando e doppiando il volto con una testa spaccata di bambola.
Dagli anni Cinquanta Pirandello muove dal suo particolare realismo espressionista e visionario verso composizioni solo in parte memori delle declinazioni cubiste visitate precedentemente e da leggere piuttosto come una lontana derivazione cézanniana, alleggerendo i volumi fino a svuotarli, slegando molteplici piani scomposti, angolari o ellittici, che richiamano l’astrattismo di Leoncillo, Afro, De Kooning, come si osserva in Bagnanti che si allontanano del 1957 (olio su cartone, cm 91×71) e Bagnanti nella luce (Bagnanti nella rifrazione) del 1959 ca (olio su tavola, cm 100×137) e Bagnanti in acqua del 1961 (olio su tavola cm 104×137). Opere che filtrano la rivoluzione dell’Informale (specie quello francese di Dubuffet e Fautrier) che in quegli anni stava ineluttabilmente prendendo piede nel dibattito critico in Italia: si pensi solo al serrato impegno di Carla Lonzi, che nel 1959 parlava degli Otages e dei nudi di Jean Fautrier nella trasmissione radiofonica de “L’Approdo”. Dal realismo visionario all’ultima sperimentazione forse meno originale di linguaggi nuovi, Pirandello resta sempre in una temperatura emotiva propria e riconoscibile, severa e intellettuale eppure sensuale, sontuosa, ricca di episodi ritmici e cromatici, che ne fa uno degli artisti italiani più importanti e godibili.
Fausto Pirandello. Opere dal 1923 al 1973
Fino al 14 dicembre 2016
Galleria Russo – Roma, via Alibert n. 20
Ingresso gratuito
Orari: lunedì dalle 16.30 alle 19:30; dal martedì al sabato dalle 10 alle 19.30
Catalogo Manfredi Editore, 208 pagine, € 30,00. Con saggi di Fabio Benzi, Francesco Leone, Flavia Matitti www.galleriarusso.com
La Tempesta di Fausto Pirandello. Un capolavoro ritrovato
Fino al 4 dicembre 2016
Galleria d’Arte Moderna – Roma, via Francesco Crispi n. 24
Biglietti: intero € 7,50; ridotto: € 6,50 Per i cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza): intero € 6,50; ridotto € 5,50 Orario: da martedì a domenica ore 10.00 – 18.30 Chiuso lunedì La biglietteria chiude mezz’ora prima Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00-21.00)
www.galleriaartemodernaroma.it
(3 dicembre 2016)
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