Fede e politica tra le tende dei terremotati

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di don Raffaele Garofalo

Le terribili vicende del terremoto hanno visto una umanità umiliata nel suo bene più prezioso, la vita che si perde o viene ridimensionata, mortificata nelle sicurezze spazzate via, nello smarrimento della identità. Tutto ciò suscita nel credente interrogativi che non possono essere soddisfatti da frasi consolatorie convenzionali. Raccogliendo nelle tendopoli le voci degli sfollati, sembra rivivere la narrazione del libro di Giobbe: le lamentele rivolte verso un Dio che si percepisce assente e che non può pretendere la semplice rassegnazione da uomini così provati. Ribellarsi al proprio padre è spesso un atto di conquista della libertà, un momento di crescita; sul piano religioso può essere provvidenziale se porta a vivere una fede che si fa carico “in toto” del male che colpisce l’uomo. Lo hanno dimostrato la suora che ha salvato i bambini, facendo loro scudo col proprio corpo, il vigile del fuoco colpito da infarto nel portare soccorso, il volontario della protezione civile vittima del terremoto nella propria casa, dopo avere lui stesso soccorso, per una vita, altri sventurati. La fede non mortifica il pensiero né è concepibile un Dio che mandi i castighi ad espiazione dei peccati, come continua ad affermare qualche religioso retrivo che offende Dio e non considera che le più “punite” sarebbero state peraltro proprio le chiese! La fede non è nemmeno il supermercato della domanda e dell’offerta per cui si possa rimproverare S. Emidio, protettore dai terremoti, per non essere stato, nella circostanza, granché professionale.
Giorni fa la presidente della Provincia è stata accusata di “fare politica”e di fomentare malumori nel momento in cui denunciava inconvenienti e disfunzioni nei campi. La Pezzopane esercita il suo compito in tutta legittimità mentre ha il sapore di una politica asservita quella di chi fa proprio, comunque, il linguaggio del potere. Un uomo di fede è tenuto a stare dalla parte di chi è nelle condizioni di sofferenza anziché assecondare il gioco di chi ama illudere con campagne di propaganda battente e con promesse irrealizzabili. Una sbandierata ricostruzione “molto rapida”, priva di adeguate coperture finanziarie, è pura illusione e il prospettato, immediato rientro nelle case dovrà rimanere un miraggio ancora per molto. Sono necessari prefabbricati, case in legno ben solide, come quelle sperimentate in Umbria e nelle Marche, da pianificare in villaggi attrezzati, integrati in un disegno omogeneo. Più praticabile appare la proposta di sistemare la popolazione delle tendopoli in appartamenti sfitti, in attesa della ricostruzione. Un mese fa il presidente del Consiglio, affiancato dal sorriso della Gelmini, faceva credere alla nazione di aver riavviato le scuole nelle tende mentre qualcosa a livello didattico si sta organizzando nei campi solo ora, grazie al volontariato degli insegnanti. Di fronte alla impossibilità di assecondare le necessità più urgenti nelle tendopoli, provato da indagini che lo vedono chiamato in causa, Bertolaso minacciava le dimissioni e si rivolgeva addirittura all’arcivescovo per reclutare il clero a predicare la “rassegnazione” ai cittadini. Se il compito dei religiosi non è quello di “sobillare il popolo” contro il potere stabilito (capo di accusa contro Cristo), non sarà nemmeno loro dovere somministrare “oppio” a chi si lamenta per ottenere ciò che è stato promesso e spetta di diritto. Qualche sacerdote ha risposto di svolgere già la propria missione di “vicinanza” alla gente quotidianamente e non agli ordini di Bertolaso. Nella linea delle prese di posizione di Avvenire e di Famiglia Cristiana gli uomini di chiesa, specie se di altra nazionalità, dovrebbero continuare ad alzare la loro voce contro leggi irrispettose dei diritti umani, approvate in Parlamento, contro le ronde, contro l’introduzione del reato di clandestinità, reato in cui sarebbe incorsa anche la Sacra Famiglia, “emigrata”in Egitto per sfuggire alla persecuzione. Sarebbe opportuno chiedere al presidente del Consiglio se i calciatori del suo Milan favoriscono la “multietnicità” come altri loro connazionali meno fortunati. La “politica” doverosa per un religioso è la stessa che portò Cristo sulla croce anziché “sulla cattedra di Mosé”. Come fu netta la stroncatura della trasmissione di Santoro da parte della Curia aquilana, la stessa non dovrebbe farsi scrupolo nemmeno, se necessario, di guastare il buonumore del Presidente del Consiglio e dei suoi collaboratori, a tutela dei diseredati della diocesi e dei “respinti” nelle loro “terre dannate”. I problemi degli aquilani colpiti (e di ogni uomo in difficoltà) non si risolvono con riti religiosi né con parate di propaganda politica. Il Dio cristiano ama la giustizia “non i sacrifici”, sta scritto, è un Dio che “rovescia i potenti dai loro troni…rimanda i ricchi a mani vuote…colma di beni gli affamati”. L’umanità è in attesa di un tale Dio ed è certa, almeno, che non abita ad Arcore.
Pensieri sparsi raccolti girando tra le tende dei terremotati, vicino ad un crocifisso rimediato, sfrattato anche lui.

(24 maggio 2009)



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