Fedine penali, la carica dei 101
Popolo delle Libertà (56)
Abrignani Ignazio (FI): Avvocato, ex capo della segreteria di Claudio Scajola, è indagato a Milano per dissipazione post-fallimentare nelle indagini sulla bancarotta della Cit, l’agenzia di viaggi dello Stato di cui era commissario straordinario. La Cit è stata acquista dall’imprenditore campano Gerardo Soglia (pure lui candidato per la Pdl, non si sa se anch’egli indagato oppure no), indicato come uno degli imprenditori che dovrebbe far parte della fantomatica cordata Berlusconi per l’acquisto di Alitalia.
Balletto Sandro (FI): Ex presidente della Provincia di Cagliari, è stato condannato in primo grado nel 2006, con rito abbreviato, a 10 mesi di reclusione per danneggiamento aggravato e alcune contravvenzioni alle leggi di tutela ambientale, in relazione al rifacimento della spiaggia di Cagliari, il “Poetto”. Il Tribunale gli ha inflitto anche una provvisionale immediatamente esecutiva di 100 mila euro da versare al Demanio, 1 anno di interdizione dai pubblici uffici e la condanna al ripristino ambientale.
Berlusconi Silvio (FI): 2 amnistie (falsa testimonianza P2 e falso in bilancio Macherio); 1 assoluzione dubitativa (corruzione Gdf, falso bilancio Medusa); 1 assoluzione piena (corruzione giudici Sme-Ariosto); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato da parte dello stesso imputato (falsi in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage); 6 prescrizioni (finanziamento illecito a Craxi con All Iberian; falso in bilancio Macherio; falso in bilancio e appropriazione indebita Fininvest; falso in bilancio Fininvest occulta; falso in bilancio Lentini; corruzione giudiziaria Mondadori); 3 processi in corso: Telecinco (falso bilancio, frode fiscale, violazione antitrust spagnola), caso Mills (corruzione giudiziaria), diritti Mediaset (appropriazione indebita, falso bilancio, frode fiscale), Saccà (corruzione); 1 indagine in corso (istigazione alla corruzione di alcuni senatori).
Bergamini Deborah (FI): La sua posizione è al vaglio della Procura di Roma, cui i pm di Milano hanno trasmesso il fascicolo relativo all’ipotesi di interruzione di pubblico servizio, in concorso con l’allora dg Rai Flavio Cattaneo, per aver ritardato le notizie sui risultati elettorali delle regionali 2005, molto negativi per il governo Berlusconi.
Berruti Massimo Maria (FI): Condannato in via definitiva a 8 mesi per favoreggiamento, per aver depistato nell’estate del 1994 le indagini sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza dopo una visita a Berlusconi a Palazzo Chigi.
Brancher Aldo (FI): Condannato in primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Psi, si salva in Cassazione grazie alla prescrizione (per il secondo reato) e alla depenalizzazione del reato (il primo) da parte del suo stesso governo. Indagato a Milano per ricettazione nell’indagine sulla scalata di Fiorani (Bpl) all’Antonveneta: la Procura trova un conto alla Banca Popolare di Lodi intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300mila euro in due anni.
Briguglio Carmelo (FI): Nel 1999 viene rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e truffa alla Regione e all’Unione europea nell’inchiesta della Procura di Palermo su presunti finanziamenti regionali e comunitari girati a tre società «amiche» per corsi di formazione professionale. Il processo viene poi trasferito per competenza a Messina, dove i giudici annullano il precedente decreto di rinvio a giudizio e ripartono praticamente da zero. Ma il tour non è finito, perché nel gennaio 2003 il gip messinese dichiara prescritta una parte delle accuse, e dirotta quelle rimaste (truffa e falso) a Reggio Calabria, in quanto fra gli indagati c’è anche un giudice di pace di Messina. E a Reggio Briguglio viene assolto nel 2006.
Camber Giulio (FI): Condannato nel 2007 dalla Corte d’appello di Trieste a 8 mesi di reclusione (con rito abbreviato e sconto di un terzo della pena) per millantato credito nell’ambito del crac Kreditna Banka, l’istituto di credito della minoranza slovena fallita nel 1997: nel novembre 1994 avrebbe ricevuto 100 milioni di lire dai vertici dell’istituto, garantendo loro un intervento politico per salvarlo dalla bancarotta. Intervento poi mai compiuto. Infatti la banca fallì.
Cantoni Giampiero (FI): Ha patteggiato 2 anni di reclusione complessivi prima per corruzione (con risarcimento di 800 milioni di lire) e poi per concorso nella bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli.
Catone Giampiero (Dc Autonomie): arrestato a Roma nel 2001 per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata (due bancarotte da 25 miliardi di lire l’una e 12 miliardi di finanziamenti a fondo perduto ottenuti dal ministero dell’Industria – secondo l’accusa – con carte e perizie false), è stato rinviato a giudizio. Così come all’Aquila, sempre per bancarotta fraudolenta (fallimento dell’Abatec, azienda di Chieti da lui stesso amministrata, che avrebbe dovuto produrre macchinari ad alta tecnologia per la lavorazione dei pannolini, ma fu dichiarata fallita dopo un aumento di capitale deliberato prim’ancora che fossero sottoscritte le quote sociali). La stessa Procura dell’Aquila ha chiuso un’altra indagine a carico di 44 persone, fra cui Catone, su una presunta mega-truffa ai danni della multinazionale Merker e di diverse banche, tra le quali Intesa. Qui Catone è indagato per estorsione, insieme al fratello Mario, dipendente di Banca Intesa, per aver spillato 118mila euro ad alcuni dirigenti Merker, millantando interventi politici per risolvere i guai finanziari del gruppo.
Ciarrapico Giuseppe (FI): 5 condanne definitive, una in primo grado e una serie impressionante di arresti e procedimenti penali. Nel 1973 la Corte d’Appello di Roma conferma la sentenza del Tribunale di Cassino e lo condanna per truffa aggravata e continuata ai danni di Inps, Inail e Inam per non aver registrato sui libri paga gli stipendi dei dipendenti. La Cassazione conferma la truffa, ne dichiara prescritta una parte e incarica la Corte d’appello di rideterminare la pena per l’altra. Nel 1974 altra condanna: il pretore di Cassino gli infligge una multa di 623.500 lire per aver violato per quattro volte la legge che tutela “il lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”:sentenza confermata in Cassazione. Nel marzo ’93 viene arrestato a Roma per lo scandalo Safim Leasing- Italsanità (per vari miliardi di lire avuti dalla Safim Factor scontando titoli di credito inesistenti dopo aver affittato suoi immobili a Italsanità): nel 1995 viene condannato con rito abbreviato a 1 anno per falso in bilancio e truffa, pena poi confermata in appello e in Cassazione. Aprile ’93: Di Pietro lo fa di nuovo arrestare per una stecca di 250 milioni di lire versata al segretario del Psdi Antonio Cariglia su richiesta di Andreotti. “Era vero, li diedi per arruolare Domenico Modugno alle feste dei socialdemocratici”, dirà lui anni dopo. Passa un mese e torna dentro, stavolta per un presunto miliardo alla Dc andreottiana nello scandalo delle Poste. A giugno, condanna in primo grado a 6 mesi per diffamazione: aveva affisso a Fiuggi un manifesto in cui dava a un consigliere comunale del “mentitore diffamatore mestatore”. Nel 1997 la Procura di Roma lo fa rinviare a giudizio per peculato, abuso e falso nella sua attività di re delle acque minerali: secondo il pm Maria Cordova, mentre era custode giudiziario dell’Ente Fiuggi, Ciarrapico omise d
i versare 20 miliardi al Comune e si appropriò di somme di denaro per spese pubblicitarie, interessi passivi e acquisto di beni capitalizzati, rinnovando il contratto di vendita dell’acqua Fiuggi a una sua società che offriva prezzi inferiori rispetto a un’altra (danneggiando il Comune, che percepiva un tot a bottiglia). Nel 1995 viene condannato con rito abbreviato per falso in bilancio delle Terme Bognanco. Ma questi processi finiscono in nulla. Nel 1998, però, arriva la mazzata: condanna in Cassazione a 4 anni e 6 mesi per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano. La sua “Fideico”, nel 1982, aveva ottenuto dalla Banca di Roberto Calvi e della P2 un improvviso aumento della linea di credito da 4 a 39 miliardi, restituendo solo le briciole. Nel 1999, il kappaò: la quinta condanna definitiva a 3 anni per il crac da 70 miliardi della società che controllava la “Casina Valadier”, il palazzetto liberty romano trasformato in ristorante. Ma il Ciarra, pur dovendo scontare 7 anni e mezzo, non finisce in carcere: grazie all’età e agli acciacchi, ottiene l’affidamento ai servizi sociali. Intanto i processi avanzano, con qualche botta di fortuna. Nel ’99, condannato in appello per emissione di assegni a vuoto, il nostro eroe è assolto in Cassazione perchè il reato è stato appena depenalizzato. Nel 2000 cade in prescrizione la condanna in primo grado per violazione della legge sulle assunzioni obbligatorie di invalidi. Nel 2001, condanna in primo grado a Perugia per abuso d’ufficio insieme al giudice fallimentare di Frosinone che nel ’93 regalò l’amministrazione controllata alla sua capogruppo “Italfin 80” in crisi nera, evitandogli il crac: reato poi estinto per prescrizione. Intanto lui s’è dato alle cliniche private. E anche in quel ramo riesce a dare lavoro alla Giustizia. Nel 2002 il Tribunale di Roma lo condanna a 1 anno e 8 mesi per truffa e violazione della legge sulle trasfusioni: insieme ad alcuni dirigenti della “Quisisana”, avrebbe imposto a una cinquantina di pazienti sottoposti a trasfusioni parcelle gonfiate per 3-400 mila lire l’una. E nel 2005 è rinviato a giudizio per ricettazione nella vecchia vicenda delle tangenti al ministero delle Poste. Ma ci sono pure questioni recentissime, come quella che lo investe per la sua ultima vocazione: editore di giornali locali, undici “cocoperative” tra la Ciociaria e il Molise, finanziati dallo Stato. Del novembre 2007, il Ciarra è indagato a Roma per truffa ai danni di Palazzo Chigi: pare che tra il 2002 e il 2005 abbia incassato il doppio dei contributi dovuti, attestando falsamente che le società “Editoriale Ciociaria Oggi” e “Nuova Editoriale Oggi” hanno una gestione separata. In attesa di sapere come stanno le cose, il Gip gli ha sequestrato i 2,5 milioni che stavano arrivando dalla Presidenza del Consiglio. Intanto il fisco italiano attende che il Ciarra versi 1,495 milioni di euro di tasse mai pagate. E non è questo l’unico suo debito: tallonato dai piccoli azionisti dell’Ambrosiano, risulta residente per l’Anagrafe in una camera e servizi annessa a un capannone industriale dove ha sede la tipografia di “Ciociaria Oggi”, a Villa Santa Lucia, vicino a Montecassino. Dove sovente bussa l’ufficiale giudiziario. Invano.
Comincioli Romano (FI): Imputato per le false fatture e i bilanci truccati di Publitalia, insieme a Dell’Utri e altri, chiede di patteggiare 1 anno e 8 mesi, ottiene il consenso del pm, ma nel 1995 il Tribunale ritiene troppo bassa la pena concordata e preferisce processarlo: mossa incauta, visto che poi la Cdl, anche col suo voto, abroga di fatto il falso in bilancio, riducendo le pene al lumicino e abbreviando le scadenze della prescrizione. A quel punto la IV sezione del Tribunale fa ricorso alla Corte di giustizia europea e alla Corte costituzionale per l’incostituzionalità della legge. Ma la Corte europea rimanda al mittente l’eccezione, mentre la Consulta tarda a rispondere e quando il processo riprenderà, i reati saranno comunque prescritti. Nel febbraio 2008, alla vigilia della fine della legislatura, la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato respinge al mittente la richiesta di autorizzazione (inoltrata dal gip di Milano Clementina Forleo) a usare le sue telefonate intercettate con l’amico Stefano Ricucci a proposito della scalata al «Corriere della Sera».
De Angelis Marcello (An): Condannato in via definitiva a 5 anni di carcere (di cui 3 scontati in carcere) per banda armata e associazione sovversiva come dirigente e portavoce del gruppo neofascista Terza Posizione, fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Ciccio Mangiameli.
De Gregorio Sergio (FI-Italiani nel Mondo): Dal giugno 2007 è indagato dalla Procura antimafia di Napoli per i reati di riciclaggio e favoreggiamento della camorra. Nel febbraio 2008 è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura di Roma per il reato di corruzione. Entrambe le indagini nascono in Campania, dove la Guardia di finanza scopre, durante una perquisizione a carico di Rocco Cafiero detto «’o Capriariello», ritenuto un componente del clan Nuvoletta, una serie di assegni firmati??? o girati proprio da De Gregorio. I finanzieri, tra le carte del senatore, scoprono anche un accordo fra l’associazione Italiani nel mondo e il coordinatore forzista Sandro Bondi, in cui si dà conto dell’impegno finanziario concordato tra le parti (si parla di 500 o 700mila euro), delle quote già consegnate e quelle da fornire con cadenza mensile. I magistrati sospettano che sia il prezzo pagato per convincere il senatore ad abbracciare il centrodestra. E trasmettono l’inchiesta per competenza da Napoli a Roma.
Del Pennino Antonio (FI-Pri): Ha patteggiato in tutto 2 anni di reclusione per vari finanziamenti illeciti legati a Tangentopoli: nel 1994, 2 mesi e 20 giorni per una mazzettina di 10 milioni di lire da Enimont; poi 1 anno 8 mesi e 20 giorni per le tangenti sugli appalti della Metropolitana milanese: pochi mesi, infine, per i finanziamenti illeciti dall’Assolombarda. Nel 2000 Del Pennino chiede di patteggiare anche per le tangenti sulle forniture di autobus all’Atm, ma il Tribunale respinge la richiesta perché la pena proposta è troppo bassa: così i giudici lo processano per corruzione e alla fine lo salva la prescrizione.
Dell’Utri Marcello (FI): Condannato definitivamente a Torino a 2 anni e 3 mesi per false fatture e frodi fiscali nella gestione di Publitalia (reato per cui fu arrestato per 18 giorni nel maggio 1995 e poi patteggiò la pena in Cassazione); condannato in primo grado e in appello a Milano a 2 anni per tentata estorsione mafiosa insieme al boss trapanese Vicenzo Virga ai danni dell’imprenditore Vincenzo Garraffa; condannato in primo grado a Palermo a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; salvato dall’immunità parlamentare dalla richiesta di arresto avanzata nel 1999 dai giudici di Palermo in un processo per calunnia aggravata contro alcuni pentiti (processo chiuso in primo grado con l’assoluzione e ora in fase di appello).
De Luca Francesco (Dc Autonomie): Deputato forzista uscente, ora accasato con la Dc di Rotondi, è indagato dalla Procura di Milano per tentata corruzione in atti giudiziari. Dalle intercettazioni delle sue telefonate con l’avvocatessa del clan camorristico dei Guida, molto attivo a Milano, gli inquirenti hanno scoperto che la donna si era rivolta a lui, nell’autunno del 2006, per aggiustare un processo a carico dei suoi clienti davanti alla V sezione della Cassazione. E gli aveva inviato un appunto con gli estremi della “pratica” addirittura v
ia fax, su un’utenza del Senato. De Luca rispose di averlo “dato a quella persona”, che “sta per andare via” (dalla Cassazione), ma “chi lo sostituisce è un amico”. Quando gli inquirenti si rendono conto che l’avvocatessa parla con un deputato, interrompono gli ascolti, come imposto dalla legge Boato, e chiedono alla Camera l’autorizzazione a usare telefonate e tabulati. La giunta per le autorizzazioni della Camera decide di non decidere, “concordando all’unanimità un rinvio dell’esame”. Così, intanto, viene sciolto il Parlamento e De Luca – che nega di aver mai contattato magistrati di Cassazione e parla di “equivoco” – viene ricandidato alla Camera in un posto sicuro nelle liste del Pdl, in Veneto1.
De Siano Domenico (FI): Ex sindaco di Lacco Ameno e capogruppo forzista alla Provincia di Napoli, è indagato dalla Procura di Napoli nell’inchiesta sulla costruzione dell’approdo turistico del piccolo comune vicino a Ischia, sequestrato nell’estate del 2007. I magistrati indagano su di lui e su altri amministratori per reati che vanno dal peculato all’abuso d’ufficio, dal falso materiale e ideologico al danneggiamento, dalla violazione di sigilli alla frode processuale, dalla distruzione di bellezze naturali alla corruzione elettorale. De Siano è candidato col Pdl alla Camera.
Fabbri Luigi (FI): Condannato in appello per abuso d’ufficio a 4 mesi di reclusione. I fatti risalgono al 2000-2001, quando Fabbri era contemporaneamente sindaco di Rivanazzano e consulente della Ghezzi Service, un’azienda classificata come industria insalubre di prima classe. A quell’epoca Fabbri, nonostante gli esposti degli abitanti, poi confermati dai rapporti di Asl e Arpa, non aveva ordinato i necessari controlli e non era intervenuto per bloccare l’attività della Ghezzi. Così almeno sostiene l’accusa. Tutto questo, anche se l’uomo politico era al corrente, in virtù della sua consulenza come medico del lavoro, della pericolosità della situazione.
Farina Renato (FI): Nel 2007 ha patteggiato una pena di 6 mesi di reclusione per favoreggiamento nel sequestro di Abu Omar, l’imam egiziano rifugiato in Italia, sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003 dalla Cia con l’aiuto del Sismi, trasportato nella base americana di Aviano e di lì deportato in Egitto, dove fu torturato per sette mesi. Farina, attivato dal Sismi per depistare le indagini con notizie false e persino per scoprire che cosa sapesse del sequestro la Procura di Milano, accetta di andare a «intervistare» i due procuratori aggiunti che se ne occupano, Armando Spataro e Ferdinando Pomarici. Non per pubblicare le loro risposte sul suo giornale, ma per carpire loro informazioni utili sull’inchiesta e metterli fuori strada nelle indagini. Per questi fatti e per i compensi in denaro (almeno 20 mila euro) ricevuti dal Sismi, Farina è stato anche espulso dall’Ordine dei giornalisti, ma continua a scrivere su Libero con un contratto da impiegato.
Fasano Vincenzo (An): Ex assessore regionale di An, è stato coinvolto in due procedimenti penali relativi alla gestione delle aree Asi di Battipaglia (Salerno). Assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta, per il quale era stato condannato a 1 anno in primo grado; condannato a 2 anni per concussione il 16 ottobre 2007, pena peraltro indultata. La vicenda si riferisce a richieste da parte di Fasano nei confronti di imprenditori che dovevano avviare un centro commerciale: di posti di lavoro, appalti per la climatizzazione e la gestione dell’area carburanti. Candidato Pdl per il Senato in Campania.
Firrarello Giuseppe (FI): Arrestato e condannato in primo grado (il 13 aprile 2007) a Catania alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione per turbativa d’asta nel processo per le tangenti sulla costruzione del nuovo ospedale Garibaldi e del centro residenziale per studenti universitari «Il Tavoliere». Il Tribunale ha trasmesso alla Procura una serie di atti perchè Firrarello venga processato anche per concorso esterno in associazione mafiosa.
Fitto Raffaele (FI): Indagato a Bari per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti, nel 2006 s’è salvato dalle manette perché la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione ad arrestarlo inoltrata dai giudici di Bari. Nel dicembre 2007 la Procura barese ha comunque chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione e illecito finanziamento. L’accusa riguarda presunte tangenti versate a Fitto da Giampaolo Angelucci, re delle cliniche private (anche lui imputato a Bari), che gli avrebbe allungato 500mila euro per la sua lista alle elezioni regionali del 2005 (poi perdute contro Nichi Vendola) in cambio di favori illeciti per vincere l’appalto da 198 milioni che gli ha consegnato le undici residenze sanitarie «assistite» dalla Regione Puglia.
Formigoni Roberto (FI): Imputato per abuso d’ufficio nel processo sui maneggi intorno alla fondazione Bussolera Branca. Assolto in primo e secondo grado, s’è visto annullare la sentenza dalla Cassazione, che ha ordinato di rifare il processo d’appello.
Galati Giuseppe (FI): Ex Udc recentemente passato a Forza Italia, è indagato a Catanzaro per associazione a delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Il pm Luigi De Magistris (nell’indagine «Poseidone», poi avocata dal procuratore Mariano Lombardi) ipotizza che Galati facesse parte di un comitato d’affari che si occupava di spartire tra i vari partiti i fondi pubblici stanziati dalla Regione e dall’Unione europea.
Girfatti Antonio Franco (FI): Arrestato e condannato in primo grado per ben due volte (nel 1997 e nel ’99) per gli scandali legati al crac della Banca Massicana di Sessa Aurunca (fondata dal padre), di cui era direttore e amministratore, poi ceduta a Intesa. La prima inchiesta ipotizza il peculato, per il quale Girfatti viene condannato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel 2006. La seconda è per associazione per delinquere, falso in bilancio e bancarotta in seguito al crac di due società, dalle quali Girfatti, insieme a due soci occulti, avrebbe sottratto diversi miliardi: Girfatti, da amministratore, avrebbe elargito crediti a società di cui era socio occulto. Di qui la seconda condanna, stavolta dal Tribunale di Napoli, sempre nel 2006, ad altri 5 anni di carcere per la bancarotta fraudolenta della «Immobil Formia».
Giudice Gaspare (FI): Imputato a Palermo per associazione mafiosa, bancarotta fraudolenta aggravata e riciclaggio, nel 2006 è stato assolto in primo grado da tutte le accuse, salvo quella per bancarotta semplice, coperta però da prescrizione. Ma la Procura, che aveva chiesto per lui una condanna a 15 anni, ha fatto ricorso in appello.
Grillo Luigi (FI): Nell’indagine sulle scalate bancarie del 2005, la Procura di Milano ha chiesto il suo rinvio a giudizio per aggiotaggio per aver «contribuito a trasferire da Fazio a Fiorani informazioni riservate sull’iter di procedimenti di Bankitalia nei confronti di Bpi» (la Popolare Italiana, ex Lodi, di Gianpiero Fiornai); e gli contesta inoltre un episodio di appropriazione indebita («44mila euro nel 2005»). Nel 2006 Grillo, grazie alla prescrizione appena dimezzata dalla legge ex Cirielli, ha visto cadere davanti al gip di Genova le accuse mosse contro di lui per una presunta truffa nella progettazione della Tav Milano-Genova in concorso con dirigenti delle Fs e il costruttore Marcellino Gavio, sospettati di aver ottenuto illecitamente oltre 100 miliardi di lire per interventi di «conoscenza dell&
rsquo;assetto geologico dei terreni nella galleria Giovi».
Japicca Maurizio (FI): Arrestato nel 1995 come dirigente della Fininvest in Campania per presunti finanziamenti elargiti tramite l’emittente Canale 8 – di cui Japicca era considerato l’amministratore di fatto – a politici campani a essa legati, tra i quali Paolo Cirino Pomicino, Francesco De Lorenzo e Giulio Di Donato, viene rinviato a giudizio insieme ai tre presunti beneficiari nel 1998. Le accuse vanno dalle false fatturazioni al falso in bilancio all’abuso d’ufficio (per le autorizzazioni ottenute dal Comune di Casoria per erigere un ripetitore Fininvest) e ipotizzano che la Fininvest finanziasse due emittenti locali, Canale 8 e Canale 7, gestite di fatto dai politici che, in cambio, si schieravano a favore della Fininvest in Parlamento in occasione delle leggi sulla tv. Ma il processo si conclude con la prescrizione. Japicca sparisce dalla circolazione per un po’, dopodichè riemerge come coordinatore regionale di Forza Italia imposto da Sandro Bondi al posto di Antonio Martusciello, tra le proteste dei dirigenti locali del partito che lo definiscono “un pensionato del tutto estraneo al mondo politico e ignara della realtà campana” e minacciano di andarsene. Poi naturalmente restano e Iapicca viene candidato dal Pdl alla Camera proprio a Napoli.
La Malfa Giorgio (FI-Pri): Condannato definitivamente a 6 mesi per il finanziamento illecito della maxitangente Enimont: nel 1992 incassò in nero 300 milioni Ferruzzi-Montedison.
Landolfi Mario (An): Ex ministro delle Telecomunicazioni e presidente della commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai, è indagato in Campania per corruzione e truffa «con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan mafioso La Torre» nell’ambito di un’inchiesta sui fratelli Orsi, due imprenditori casertani diventati i re dei rifiuti grazie al legame con la camorra e alle relazioni politiche a destra e sinistra. Contro Landolfi gli investigatori hanno raccolto molte dichiarazioni. Al centro di tutto ci sono i posti di lavoro. Quando i politici chiedevano, il contratto doveva spuntare fuori a tutti i costi. Spiega Michele Orsi: “Circa il 70 per cento delle assunzioni poi operate erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da Landolfi, Valente [il presidente del consorzio comunale, nda] e Cosentino [il coordinatore regionale di Forza Italia, nda]… Molte delle assunzioni erano non solo inutili ma sostanzialmente fittizie, dato che questi non svolgevano alcuna attività”. Questi «favori» poi diventavano voti. Raffaele Chianese, capo della segretaria di Landolfi – arrestato nel dicembre del 2007 col segretario particolare dell’onorevole, Cosimo Chianese, per aver organizzato corsi professionali fantasma in cambio di 250 mila euro di finanziamenti dall’Unione europea – raccomanda un uomo vicino alle cosche con queste testuali parole: «Quello vale cento voti!». E Orsi replica promettendo il contratto: «Tieni presente che siamo vicini a te e Mario per queste elezioni. Qualunque cosa…». Risposta: «Grazie, a buon rendere». Spiega un pentito: “Quasi tutte le persone che a Mondragone lavorano per la nettezza urbana sono state raccomandate dal clan. Qualunque iniziativa volessero prendere i lavoratori dovevano concordarla con il clan, compreso l’iscrizione al sindacato o iniziative di protesta. Mi risulta che nel corso degli anni sono stati organizzati dalla cosca vari pranzi elettorali per cercare di far votare tutti i dipendenti della nettezza urbana per una certa persona… Per le ultime politiche è stato organizzato un rinfresco a favore di Landolfi a cui pure hanno partecipato tutti i dipendenti della nettezza urbana. In quest’ultima occasione il clan si è occupato soltanto di far andare tutti all’incontro”. I consorzi che gestiscono i rifiuti sono espressione diretta dei partiti. Lo racconta Giuseppe Valente, numero uno della società mista che si occupa di pulire diciotto comuni sul litorale Domiziano, che dopo l’arresto ammette di avere «assunto la presidenza quale incarico squisitamente politico, previa intesa con i referenti politici, i parlamentari Landolfi, Cosentino e Coronella [senatore e leader provinciale di An, nda]». Ma non si tratta di semplice lottizzazione. Dietro i consorzi oltre che la politica c’è pure la camorra. Chianese, il «portaborse » di Landolfi, dice al telefono che prima nella società della nettezza urbana «c’erano ventidue assunti ma dieci erano camorristi. Non lavoravano, si pigliavano solo lo stipendio». Il seguito dell’intercettazione è anche peggiore: «Quanti ce ne possono servire per pulire Mondragone? Trentacinque a esagerare. Invece ora ce ne stanno 86, chi li deve pagare?». Lo Stato però davanti al dilagare della camorra sembra inerte. Dalla Prefettura di Caserta – dicono gli atti della Procura – le informative di polizia arrivavano direttamente nelle mani sbagliate. E se si cercava di applicare le misure minime di legge, come l’obbligo di certificato antimafia per gli appalti, c’era sempre un parlamentare pronto a trovare una scorciatoia. Spiega ancora Orsi: “Quanto alle mie richieste rivolte ai politici di interessarsi per il rilascio della certificazione antimafia, faccio presente che sollecitai direttamente l’onorevole Cosentino e – tramite Valente – Mario Landolfi. Cosentino mi diede assicurazioni sul fatto che si sarebbe interessato: ricordo che questi ebbe a chiamare telefonicamente, innanzi a me, il dottor Provolo [il vice-prefetto, nda] con il quale prese un appuntamento per avere dei chiarimenti”. E Landolfi? “Chianese ci disse di aver ricevuto da Landolfi l’indicazione proveniente dalla Prefettura… sottolineando che grazie a lui Landolfi si era recato presso la Prefettura per perorare il rilascio della certificazione antimafia”. Dagli atti spunta poi un dialogo sconcertante. Sergio Orsi, uno dei re dei rifiuti, si fa avanti offrendo «amicizia». E Chianese replica: «Mario i soldi se li può prendere solo da me, e non se li può prendere da nessun altro, quindi è inutile…». Poi precisa: «Lui soldi non ne piglia… Cioè, i soldi che danno per fare l’attività. Finanzia il partito… Io me ne avvantaggio dal partito, perché io prendo un incarico… e giustamente devo dare un contributo…». A quel punto il portaborse spiega: «Tu puoi partecipare… se tu devi prendere un appalto per un lavoro, anziché darlo ad un altro, lo dai a me… È un contributo anche questo…».
Lehner Giancarlo (FI): Per alcuni suoi articoli, e in particolare per un pamphlet calunnioso in cui accusava addirittura i magistrati di Mani Pulite di «attentato a organo costituzionale» (cioè a Berlusconi), un reato da ergastolo, Lehner è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Trento.
Malossini Mario (FI): Arrestato nel 1995 e più volte indagato, è stato condannato definitivamente a 1 anno per ricettazione nell’inchiesta sulle tangenti dell’Autobrennero; condannato per concussione in primo e secondo grado, si è visto derubricare il reato in corruzione dalla Cassazione che l’ha dichiarato prescritto.
Martinat Ugo (An): Indagato dal 2 maggio 2005 a Torino, nella sua veste di viceministro delle Infrastrutture, per turbativa d’asta e abuso in atti d’ufficio a proposito degli appalti per l’alta velocità ferroviaria Torino-Lione e per due strade costruite in vista delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Un rapporto della Dia, trasmesso
dalla Guardia di finanza ai pm Francesco Saluzzo, Paolo Toso e Cesare Parodi, parla di intercettazioni e definisce Martinat «soggetto supervisore per l’aggiudicazione di varie gare d’appalto e per l’assegnazione di collaudi».
Mastrullo Angiolino (FI): Già socialista, poi forzista, ex portaborse del sindaco di Torino Maria Magnani Noya (Psi) e dell’assessore Aldo Olivieri (Psi), fu arrestato una prima volta negli anni 80 per lo scandalo delle forniture di carni alle Usl piemontesi, e poi assolto; di nuovo arrestato il 22 maggio 1995 per corruzione e falso in relazione a una tangente da 20 milioni chiesta e ottenuta nel 1990 da un imprenditore farmaceutico, ha patteggiato la pena. Poi è divenuto il braccio destro del coordinatore piemontese di Forza Italia, Guido Crosetto. E’ candidato Pdl alla Camera in Piemonte-1.
Matteoli Altero (An): Imputato a Livorno per favoreggiamento verso l’ex prefetto di Livorno, che avrebbe avvertito di indagini e intercettazioni in corso su uno scandalo di abusi edilizi all’isola d’Elba, consentendo a lui e ad altri indagati di inquinare le prove e di distruggere carte e addirittura computer, con gravi danni per le indagini. Il processo è iniziato il 20 ottobre 2006. Ma il 17 maggio 2007 la Camera l’ha bloccato (394 voti favorevoli, 2 contrari e 32 astenuti), sollevando un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato alla Corte Costituzionale contro il Tribunale dei ministri che, spogliandosi del caso in quanto Matteoli è accusato come comune cittadino e non come ex ministro, non ha ritenuto di chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere prevista per i ministri accusati di reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni. Così il processo, in attesa della Consulta, si ferma.
Messina Alfredo (FI): Storico dirigente Fininvest e Mediaset, più volte indagato insieme al Cavaliere e ai suoi cari, ora è vicepresidente di Mediolanum ed è sotto inchiesta a Milano (la Procura ha da poco depositato gli atti a fine indagini) per favoreggiamento nella bancarotta fraudolenta dell’Hdc del sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi. Nel 2004 Crespi chiede a Mediaset di restituirgli 500 mila euro da lui anticipati a Telelombardia e Antenna3 per “risarcirli” del danno subìto dalla fornitura di programmi a Italia 7 Gold da parte di Mediaset. La richiesta, tramite Deborah Bergamini, viene inoltrata a Messina, che prende appuntamento per il 17 luglio con Paolo Del Bue, presidente della Arner Bank luganese, a cui chiede di “prepararmi una di quelle cose”. Cioè, verosimilmente, i contanti. Perché parte della somma – secondo la Guardia di Finanza – dev’essere versata a Crespi in contanti a Lugano e in nero da Messina e dal suo avvocato, Giorgio Perroni. Il giorno della prevista trasferta in Svizzera, il 16 luglio 2004, gli investigatori milanesi – che intercettano i protagonisti – si preparano a pedinarli a distanza. Messina va a prendere Perroni a Roma, dove incontra anche l’avvocato del Cavaliere, Niccolò Ghedini. Poi però, mentre è già in viaggio verso Fiumicino, riceve una telefonata da Palazzo Chigi: è Valentino Valentini, capo della segreteria del premier Berlusconi. Che lo richiama indietro per “un documento da consegnare”. Messina torna indietro e subito disdice l’appuntamento con Del Bue. Qualcuno, evidentemente, ha fatto una soffiata sul pedinamento in corso. E la consegna “salta”. “Purtroppo – dice l’avvocato di Crespi, che segue la pratica, al sondaggista – “(Messina o Perroni, ndr) ha avuto un forte casino. Non è potuto andare dove doveva andare”. Messina è candidato Pdl al Senato in Lombardia.
Nania Domenico (An): Arrestato per 10 giorni e poi condannato in via definitiva a 7 mesi per lesioni personali legate ad attività violente nei gruppi giovanili di estrema destra (fatti dell’ottobre ’69, sentenza emessa nel 1977 e divenuta definitiva nel 1980); condannato in primo grado per gli abusi edilizi nella sua villa di Barcellona Pozzo di Gotto e salvato in appello dalla prescrizione. Nemmeno il condono edilizio varato dal governo Berlusconi e votato anche da lui è riuscito a sanare la sua villa abusiva con piscina, costruita in spregio delle leggi urbanistiche (legge 47/1985, articolo 20) e anche di quelle antisismiche (legge 64/1974 sulla necessaria autorizzazione del Genio civile). Anche perché la sanatoria berlusconiana prevedeva il pagamento di una serie di oblazioni che Nania non ha versato in tempo utile. Non male, per un ex sottosegretario ai Lavori pubblici.
Nessa Pasquale (FI): Imputato a Bari per concussione, il 18 luglio 2005 scampa all’arresto nella sua città solo perché parlamentare e dunque intoccabile. Invece il suo presunto complice in una storia di presunte tangenti, l’ingegner Camillo Dell’Anno (dirigente del settore urbanistico del comune di Martina Franca), viene subito incarcerato con la stessa accusa. Sono entrambi accusati di essersi spartiti nel dicembre 2003 una mazzetta di circa 100mila euro per un’autorizzazione edilizia, dall’Itacasa Immobiliare Srl, società che aveva chiesto di realizzare a Martina Franca un fabbricato per abitazioni civili e locali commerciali. Gli stessi amministratori della ditta denunciarono a suo tempo di essere stati costretti a pagare la tangente per ottenere le necessarie autorizzazioni dal comune. Il gip Fiore chiede al Senato l’autorizzazione ad arrestare anche Nessa, ma non ha mai ricevuto risposta. Comunque la Procura ha chiesto il suo rinvio a giudizio.
Paravia Antonio (FI): Imprenditore ed ex presidente di Assindustria a Salerno, viene arrestato nel 1995 per un giro di tangenti nella sanità a Napoli. Secondo il pm Nunzio Fragliasso, Paravia avrebbe versato quasi 100 milioni di lire a funzionari e dirigenti di una Usl per l’appalto del servizio di ascensori e montacarichi. Ma il 16 dicembre 2004 è scattata la prescrizione. Candidato Pdl per il Senato in Campania.
Papa Alfonso (FI): Magistrato napoletano in aspettativa, vicecapo di gabinetto del ministero della Giustizia sotto i ministeri Castelli e Mastella, viene indagato dal Tribunale dei ministri di Roma per abuso d’ufficio patrimoniale per alcune consulenze “facili” insieme allo stesso castelli e ad altri dirigenti di Via Arenula. Ma si salva dal processo grazie al voto del Senato, che nel dicembre 2007 respinge la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del ministro leghista e dei suoi collaboratori, regalando l’immunità parlamentare anche a quelli che parlamentari non sono. Come, appunto, Papa. Che viene prontamente candidato dal Pdl in Campania.
Pecorella Gaetano (FI): Imputato a Brescia per favoreggiamento nelle stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia: nel 2007, dopo cinque anni di indagini, la Procura ha chiesto il suo rinvio a giudizio con l’accusa di aver corrotto un pentito di Ordine nuovo, Martino Siciliano, testimone-chiave nei processi per le due stragi nere, perché ritrattasse le sue accuse contro Delfo Zorzi, cliente di Pecorella, indicato come l’autore materiale del primo eccidio e coinvolto anche nel secondo. Ad accusare Pecorella è lo stesso Siciliano, il quale sostiene che Zorzi gli avrebbe versato 115 mila dollari tramite il suo ex difensore Fausto Maniaci, dopo un presunto accordo con Pecorella, legale di Zorzi (all’epoca latitante in Giappone). Siciliano viene arrestato il 10 giugno 2002 con l’accusa di aver intascato 5.000 dollari – primo anticipo dei «500mila promessi» – in cambio della ritrattazione.
Pittelli Giancarlo (FI): Indagato a Ca
tanzaro per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e “appartenenza a loggia massonica segreta o struttura similare” e a Salerno per rivelazione di segreto, diffamazione e calunnia nei confronti del pm De Magistris, e pare anche per corruzione giudiziaria. L’indagine a suo carico è quella denominata «Poseidone» e avviata da De Magistris sui finanziamenti europei milionari per alcuni depuratori mai realizzati in Calabria. Pittelli, oltre a essere l’avvocato difensore di numerosi indagati, viene inquisito lui stesso quando il magistrato trova traccia di un suo versamento di 100 mila euro sui conti di Fabio Schettini, segretario del commissario europeo Franco Frattini (FI), anche lui sotto inchiesta insieme a decine di altri politici, imprenditori, amministratori e professionisti. Ma l’inchiesta viene tolta al pm titolare dal suo capo, Mariano Lombardi, amico intimo di Pittelli (il figliastro del procuratore è socio in affari del sen. avv.) e alla fine la Procura chiede l’archiviazione per Pittelli. Il quale però rimane indagato a Catanzaro.
Proietti Cosimi Francesco (An): Indagato a Potenza e poi a Roma per corruzione, ha visto la sua posizione finire in archivio, ma solo in parte. Nel 2006 viene coinvolto nello scandalo degli affari sporchi intorno al casinò di Campione d’Italia che porta all’arresto a Potenza di Vittorio Emanuele di Savoia e del portavoce di Fini, Salvatore Sottile. Il suo ruolo – secondo il gip Alberto Iannuzzi, che firma le ordinanze di custodia cautelare – sarebbe quello di intermediario per affari milionari fra il clan del «principe» e i Monopoli di Stato. Lo scandalo infatti nasce dai nullaosta emessi dai Monopoli per legalizzare i videogiochi illegali. Il signor Savoia si rivolge al faccendiere Achille De Luca, che contatta un commercialista romano amico di Sottile. E Sottile coinvolge Proietti Cosimi, il quale a sua volta raggiunge due dirigenti dei Monopoli per mandare in porto l’affare. De Luca consegna le mazzette negli uffici dei Monopoli e poco dopo arrivano ben quattrocento nullaosta. Secondo il gip, il segretario di Fini gestisce «un potere enorme» e lo usa come «un utile e infallibile strumento per perseguire e realizzare il proprio tornaconto». Ma i giudici di Roma archiviano tutto. In un altro filone d’inchiesta, il gip potentino raccomandava alla Procura capitolina di scandagliare «gli affari gestiti in comune da Francesco Proietti Cosimi e Daniela Di Sotto», la moglie di Fini, perché «meritano un sicuro, ulteriore approfondimento investigativo». L’uomo e la donna avrebbero intrecciato una «fitta rete di affari, a tratti poco chiari (…), fondamentalmente incentrati sui proventi derivanti dalle gestione di due strutture sanitarie private, Panigea ed Emmerre, la prima delle quali offre prestazioni anche in regime di convenzione col Servizio sanitario nazionale». In una telefonata intercettata, Francesco e Daniela parlano dell’«interessamento» della signora Fini presso l’allora governatore del Lazio, Storace, «affinché il poliambulatorio Panigea operasse in regime di convenzione l’esecuzione di esami clinici (tac e risonanza magnetica) particolarmente costosi». Su questa vicenda, l’inchiesta è ancora in corso a Roma.
Russo Paolo (FI): Ex presidente della commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti in Campania, è stato indagato dalla Dda di Napoli per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ambito di indagini sulla camorra del Nolano per i suoi rapporti con un imprenditore vicino, secondo gli inquirenti, ai clan della zona. Ma alla fine la Procura ha chiesto l’archiviazione, almeno per questa accusa. Russo resta però indagato nello stesso procedimento per violazione della legge elettorale. Candidato Pdl alla Camera in Campania.
Scapagnini Umberto (FI): Il 26 ottobre 2007 il pm catanese Francesco Puleio ha chiesto la sua condanna a 2 anni e 10 mesi di reclusione per abuso d’ufficio e violazione della legge elettorale. Tre giorni prima delle comunali del 2005, Scapagnini e la sua giunta approvarono due delibere con cui si sospendeva la riscossione dei contributi previdenziali dalle buste paga dei 4000 dipendenti del municipio. La scelta, ufficialmente giustificata come un risarcimento per i danni subiti dai lavoratori a causa di un’eruzione dell’Etna che aveva ricoperto la città di cenere nera, aveva fatto sì che i dipendenti si fossero trovati in busta paga somme varianti tra i 300 e i 1000 euro che ora dovranno essere restituiti a rate senza interessi in undici anni. Scapagnini è pure indagato a Catania per abuso d’ufficio aggravato per i parcheggi sotterranei in costruzione nella città etnea.
Scelli Maurizio (FI): ex commissario straordinario della Croce rossa italiana, già fondatore del partito centrista “Italia di nuovo” (“Né con Prodi né con Berlusconi”, 2006), sospettato di aver intermediato il riscatto per la liberazione di alcuni ostaggi in Irak, per esempio le “due Simone”, è accusato dalla Procura militare di Roma e dalla Corte dei Conti di aver dirottato verso altre destinazioni 17 milioni di euro destinati alla missione “Antica Babilonia” a Nassiriya “per interventi urgenti a favore della popolazione irakena”. Che fine han fatto tutti quei quattrini sborsati dallo Stato tramite i ministeri degli Esteri e della Difesa per alcuni ospedali da campo in Irak? Sarebbero stati – secondo l’accusa – “distratti per esigenze economiche interne alla Croce rossa italiana” fra il 2003 e il 2006, invece di essere restituiti al governo. Di più: quando partì l’inchiesta, i vertici della Cri avrebbero tentato di nascondere la verità con “comunicazioni incomplete o non veritiere sulla effettiva utilizzazione del contributo”. Scelli è candidato del Pdl alla Camera in Abruzzo.
Sciascia Salvatore (FI): Condannato definitivamente a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto, nella sua qualità di manager Fininvest (capo dei servizi fiscali del gruppo Berlusconi), alcuni ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza affinchè ammorbidissero le verifiche fiscali. L’inchiesta è quella aperta dal pool Mani Pulite nella primavera del 1994, in seguito alle confessioni di alcuni finanzieri a proposito di quattro tangenti da circa 100 milioni di lire ciascuna pagate dal gruppo Fininvest perché chiudessero gli occhi nei blitz tributari nelle società Mediolanum, Mondadori ed Edilnord.
Scotti Vincenzo (Mpa): Ex ministro democristiano dei Beni culturali, del Lavoro, della Protezione civile, dei Rapporti comunitari, degli Interni, degli Esteri, con 7 legislature alle spalle, più volte indagato per corruzione a Napoli (assolto nello scandalo della Nettezza urbana e in quello dei Mondiali di Italia 90, salvato dalla prescrizione in quello degli appalti per la ricostruzione post-terremoto), rinviato a giudizio per peculato e abuso d’ufficio in due tranches dello scandalo Sisde (anch’esse finite in prescrizione), è stato condannato almeno dalla giustizia contabile: la Corte dei Conti gli ha recentemente imposto di risarcire allo Stato 2 milioni 995.450 euro, giudicandolo colpevole – insieme all’ex direttore del Sisde Alessandro Voci e a due funzionari del Viminale – di aver fatto acquistare un palazzo a Roma con fondi riservati del Sisde a un prezzo gonfiato (10 miliardi di lire in più del giusto), per mettere da parte fondi neri. Scotti è capolista dell’Mpa in Campania per il Senato.
Simeoni Giorgio (FI): Indagato a Roma per associazione per delinquere e corruzion
e nello scandalo delle tangenti sulla sanità nel lazio nato dalle confessioni di “Lady Asl”, per aver «usato il suo ruolo per appropriarsi di denaro pubblico in modo reiterato» e di aver pure inquinato le prove, nel 2006 s’è salvato dall’arresto perché la Camera ha respinto la richiesta dei giudici.
Speciale Roberto (FI): Ex comandante generale della Guardia di Finanza, è indagato dalla Procura militare di Roma per il presunto utilizzo privato di mezzi della GdF. Il procuratore militare Antonino Intelisano ha tra l’altro acquisito un filmato delle Fiamme Gialle, girato in una fredda mattina del febbraio 2005 a Passo Rolle, in Trentino Alto Adige, che documenta come Speciale portò in montagna parenti e amici per una festa, utilizzando un Atr 42 a turboelica del Corpo, destinato al contrasto del contrabbando e alle missioni umanitarie. La festa si sarebbe dovuta concludere con una mangiata di pesce fresco, trasportato in casse caricate all’aeroporto di Pratica di Mare e spedite con volo militare. Spigole mai arrivate, ma solo per colpa del maltempo. Un altro capitolo dell’indagine riguarda l’utilizzo dei fondi riservati della Guardia di finanza da parte del generale. Speciale si difende così: «Come ogni anno ci siamo recati a Passo Rolle per chiudere le gare invernali della Guardia di finanza, una cerimonia alla quale faceva da madrina come da prassi la moglie del comandante generale». Ma, stando a quanto scritto dai giornali, la Procura militare ha accertato che l’ex comandante Speciale ha utilizzato l’Atr 42 in dotazione al Corpo in occasione di almeno 45 week-end e che l’aereo, per suo ordine e a spese delle Fiamme gialle, era stato «riconfigurato» negli hangar dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, in modo da ospitare poltrone «business» per almeno otto passeggeri. Costo per le casse dello Stato: 3.885,91 euro l’ora. Anche per questo la Procura della Corte dei Conti ha avviato nei confronti del generale un procedimento di responsabilità per il danno erariale procurato dai suoi viaggi a scrocco al Passo Rolle, chiedendogli il conto per almeno 32 mila euro di gite aviotrasportate con spigole d’alta quota, più il danno d’immagine per il corpo delle Fiamme Gialle. Ironia della sorte: la Procura della Corte dei Conti è proprio l’ufficio dove il governo Prodi avrebbe voluto dirottare il generale Speciale, dopo la rimozione da comando generale della Guardia di finanza.
Strano Nino (An): La Procura di Catania ha chiesto la condanna di Strano (lo stesso senatore che divorò mortadella nell’aula di Palazzo Madama per festeggiare la caduta del governo Prodi) a 2 anni di reclusione insieme agli altri assessori della vecchia giunta comunale Scapagnini, per abuso d’ufficio e violazione della legge elettorale. Nel 2005, tre giorni prima delle elezioni comunali, Strano, gli altri assessori e il sindaco Scapagnini decisero di erogare una somma compresa tra i 300 e i 1000 euro ai 4.000 dipendenti del Comune (sospendendo il prelievo dei contributi previdenziali dalle buste paga) per «risarcirli» dai danni causati da un’eruzione dell’Etna che aveva ricoperto la città di cenere nera.
Tomassini Antonio (FI): Medico chirurgo, amico personale di Silvio Berlusconi, è stato condannato in via definitiva dalla Cassazione a 3 anni di reclusione per falso. Durante un parto, una bambina sua paziente nacque cerebrolesa, ma lui contraffece e soppresse il partogramma. Nel 2001 Forza Italia lo candidò subito al Parlamento e lo nominò responsabile per la Sanità del partito e presidente commissione Sanità del Senato. Nell’ultima legislatura era membro della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario nazionale.
Tortoli Roberto (FI): Indagato dalla Procura di Arezzo per concorso in estorsione in uno scandalo che ruota intorno alla costruzione di una multisala cinematografica ad Arezzo.
Valentino Giuseppe (An): Indagato nel 2004 dalla Dda di Catanzaro per i suoi presunti rapporti con l’avvocato Paolo Romeo, condannato per la sua appartenenza alla ‘ndrangheta, ha visto la sua posizione finire in archivio. Ma è tuttoggi indagato a Roma per favoreggiamento perché sospettato di aver rivelato a Stefano Ricucci le intercettazioni telefoniche in corso sulle scalate a Bnl, Antonveneta e Corriere nell’estate del 2005.
Vizzini Carlo (FI): Condannato in primo grado a 10 mesi e salvato dalla prescrizione in appello per il finanziamento illecito di 300 milioni di lire dalla maxitangente Enimont; assolto dal Tribunale dei ministri di Roma dall’accusa di aver preso tangenti quand’era ministro socialdemocratico delle Poste.
Lega Nord (9)
Borghezio Mario: Condannato in via definitiva a 2 mesi e 20 giorni di reclusione (commutati in 3.040 euro di multa) dalla Cassazione il 5 settembre 2005 per incendio aggravato da «finalità di discriminazione » ai danni di alcuni immigrati rumeni che dormivano sotto un ponte della Dora, a Torino. Imputato a Verona nel processo alle «camicie verdi»: cadute, in quanto depenalizzate, le accuse di attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, rimane in piedi quella di creazione di struttura paramilitare fuorilegge. Infine il processo per resistenza a pubblico ufficiale durante le perquisizioni nella sede leghista di via Bellerio a Milano: nel 2001 la Corte d’appello di Milano lo condanna a 4 mesi e 20 giorni di reclusione; ma nel 2004 la Cassazione annulla la sentenza, disponendo per lui e altri dirigenti del Carroccio un nuovo processo d’appello; e qui, nel 2007, scatta la prescrizione. Il 24 ottobre 2006, il Parlamento europeo gli nega immunità nel processo nato dalla denuncia per diffamazione sporta dal gip di Milano Clementina Forleo. Borghezio è accusato di avere scritto con vernice spray sul marciapiede antistante il Palazzo di giustizia di Milano «Vergogna Forleo».
Bossi Umberto: Condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per 200 milioni di finanziamento illecito dalla maxitangente Enimont; condannato in via definitiva per istigazione a delinquere e per oltraggio alla bandiera; indagato e imputato in altri procedimenti penali. Il 16 dicembre 1999 la Cassazione l’ha condannato a 1 anno per istigazione a delinquere, per aver incitato i suoi, in due comizi a Bergamo nel 1995, a «individuare i fascisti casa per casa per cacciarli dal Nord anche con la violenza». Tremaglia, suo futuro collega ministro, l’aveva denunciato. Altra condanna definitiva nel 2007 a 1 anno e 4 mesi (poi commutati in 3.000 euro di multa, interamente coperti da indulto) per vilipendio alla bandiera italiana, per aver dichiarato nel 1997: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo». Niente sospensione condizionale della pena, che però è coperta da indulto (che cancella anche quelle pecunarie fino a 10 mila euro): insomma, Bossi non pagherà nemmeno un euro. Inoltre ha un altro processo in corso per lo stesso reato, per aver detto, sempre nel 1997, durante un comizio: «Il tricolore lo metta al cesso, signora… Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente, visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore». Nel 2002 la Camera ha negato ai giudici l’autorizzazione a procedere, ritenendo le espressioni rientranti nella libera attività parlamentare e dunque coperte da insindacabilità; ma nel 2006 la Consulta ha annullato la delibera di Montecitorio, disponendo che Bossi sia processato come un comune cittadino. Il Senatùr &egr
ave; invece uscito indenne dal lungo processo per resistenza a pubblico ufficiale, in seguito agli scontri con la polizia che perquisiva, il 18 settembre ’96, la sede leghista di via Bellerio a Milano: condannato a 7 mesi in primo grado e a 4 in appello, Bossi s’è visto annullare con rinvio la seconda condanna dalla Cassazione, che ha disposto un nuovo processo d’appello. E qui, nel 2007, è stato assolto. Ancora aperto, invece, il processo di Verona per le camicie verdi della cosiddetta Guardia nazionale padana costituita nel 1996: Bossi, con altri quarantaquattro dirigenti leghisti, deve rispondere in udienza preliminare di attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, nonché di aver costituito una struttura paramilitare fuorilegge. Ma, almeno in questo caso, rischia poco o nulla: allo scadere dell’ultima legislatura, la maggioranza di centrodestra ha riformato i primi due reati (punibili ora solo in presenza di atti violenti), in modo da assicurarne la decadenza al processo di Verona. L’ennesima legge ad personam. Una volta tanto non per il Cavaliere, ma per il Senatùr. Il procuratore di Verona Guido Papalia, però, tiene duro sull’accusa residua di associazione paramilitare. Allora, nel 2007 la Camera regala l’insindacabilità ai deputati imputati, tra i quali Bossi, Calderoli e Maroni, quasi che la Guardia Padana fosse un’«opinione». A quel punto Papalia ricorre nuovamente alla Consulta con un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, come ha già fatto contro un analogo provvedimento impunitario adottato dal Senato per salvare Gnutti e Speroni.
Bragantini Matteo: Nel 2004 è stato condannato in primo grado a 6 mesi di carcere e a 3 anni d’interdizione dall’attività politica, per istigazione all’odio razziale e propaganda di idee razziste. Nell’agosto-settembre 2001 la Lega Nord di Verona aveva organizzato una campagna (“Firma anche tu per mandare via gli zingari dalla nostra città”) contro la comunità Sinta di Verona. Nelle motivazioni, i giudici di primo grado scrivono che Bragantini e i suoi 6 coimputati, fra i quali l’attuale sindaco leghista di Verona Flavio Tosi, hanno “diffuso idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale ed etnico e incitato i pubblici amministratori competenti a commettere atti di discriminazione per motivi razziali ed etnici e conseguentemente creato… un concreto turbamento alla coesistenza pacifica dei vari gruppi etnici nel contesto sociale al quale il messaggio era indirizzato”. Il 30 gennaio 2007, la Corte d’appello di Venezia riduce la pena da 6 a 2 mesi, assolvendo i leghisti dall’istigazione all’odio razziale, confermando la condanna per la propaganda razzista e i risarcimenti ai sette Sinti (2500 euro per ciascuno) e all’ente morale Opera Nomadi (8 mila euro), costituitisi parte civile. Bragantini è ricandidato alla Camera per la Lega Nord nel Veneto1.
Brigandì Matteo: Arrestato e condannato in primo grado il 24 novembre 2006 a 2 anni di reclusione dal Tribunale di Torino per truffa aggravata ai danni della Regione Piemonte (a cui dovrà risarcire 255 mila euro): avrebbe, in veste di assessore regionale al Legale, aver architettato un raggiro ai danni della Regione per regalare 6 miliardi di lire pubblici all’amico imprenditore Agostino Tocci, titolare di una concessionaria di auto di lusso, a titolo di “rimborso” per inesistenti danni subiti dalle alluvioni del 1994 e del 2000.
Calderoli Roberto: Indagato a Milano per ricettazione nell’inchiesta sulla Bpl di Giampiero Fiorani. Il quale sostiene di averlo foraggiato per garantirsi l’appoggio politico della Lega durante il suo tentativo di scalata alla Banca Antonveneta: con il suo sottosegretario Brancher, l’allora ministro delle Riforme si sarebbe spartito 200mila euro. Salvo per prescrizione nel processo per i tafferugli con la polizia nella sede leghista di via Bellerio a Milano (resistenza a pubblico ufficiale), Calderoli è scampato al processo in corso a Verona per le camicie verdi (attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, struttura paramilitare fuorilegge) grazie a una legge ad personam e all’insindacabilità regalatagli dal Senato (contro cui però la Procura ricorrerà alla Consulta).
Caparini Davide: Salvo per prescrizione nel processo per resistenza a pubblico ufficiale nel processo sui tafferugli con la polizia durante una perquisizione nella sede leghista di via Bellerio a Milano.
Castelli Roberto: Indagato per abuso d’ufficio patrimoniale per alcune consulenze facili al ministero della Giustizia durante il secondo governo Berlusconi, s’è salvato grazie al voto del Senato, che nel dicembre 2007 gli ha regalato l’immunità totale per i suoi presunti reati ministeriali, negando l’autorizzazione a procedere chiesta dal Tribunale dei ministri di Roma. Per gli stessi fatti la Corte dei Conti l’ha condannato a rimborsare un danno erariale di 98.876,96 euro e gliene ha contestato un altro di circa 400 mila euro.
Maroni Roberto: Condannato definitivamente a 4 mesi e 20 giorni di reclusione per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, in relazione ai tafferugli durante la perquisizione della sede leghista di via Bellerio a Milano. Maroni, prima di finire in ospedale con il naso rotto, avrebbe tentato di mordere la caviglia di un agente di polizia. Di qui la condanna a 8 mesi in primo grado, poi dimezzata in appello e in Cassazione. Maroni è anche imputato a Verona come ex capo delle camicie verdi, insieme a una quarantina di dirigenti leghisti, con le accuse di attentato contro la Costituzione e l’integrità dello Stato e creazione di struttura paramilitare fuorilegge. Ma i primi due reati sono stati ampiamente ridimensionati da una riforma legislativa ad hoc, varata dal centrodestra nel 2005, allo scadere della penultima legislatura. Resta in piedi solo il terzo.
Stefani Stefano: Indagato a Roma per concorso in truffa ai danni dello Stato e riciclaggio, ha ottenuto la richiesta d’archiviazione del procedimento perché la Procura non ha potuto usare le intercettazioni indirette che facevano sospettare qualcosa di poco chiaro nella vicenda dei finanziamenti pubblici al quotidiano «Il Giornale d’Italia». In pratica, come molti suoi colleghi parlamentari, anche Stefani è un miracolato dalla legge Boato che – prima della sentenza della Consulta del 2007 – rendeva inutilizzabili le intercettazioni in cui compariva la voce di un eletto dal popolo.
Udc-Rosa Bianca (9)
Cesa Lorenzo: Arrestato nel 1993, rinviato a giudizio, condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi per corruzione aggravata nello scandalo Anas (mazzette per 30 miliardi di lire) e poi salvato da un cavillo insieme al coimputato Prandini (condannato in primo grado a 6 anni e 4 mesi): nel 2003, la Corte d’appello di Roma si è resa conto che il Tribunale dei ministri che aveva rinviato a giudizio i protagonisti dello scandalo Anas non poteva svolgere funzione di gup. Così il processo è ritornato al punto di partenza e tutto è finito in prescrizione, perché gli atti sono stati poi giudicati inutilizzabili. Ma dal 2006 il segretario dell’Udc è di nuovo indagato per iniziativa dei pm di Catanzaro Luigi De Magistris e Isabella De Angelis, che lo accusano di truffa per «per avere ottenuto illecita erogazione di circa 5 miliardi di lire» dalla Ue e dalla Regione Calabria. Secondo l’accusa Cesa, assieme al consigliere di amministrazione Anas Giovanbattista Papello e Fabio Schettini (ex capo della segreteria del commissario europeo Franco Frattini), avrebbe messo i
n piedi una società, la Spb Optical Disk Srl, solo per ricevere contributi comunitari in teoria destinati alla produzione di cd e di altro materiale informatico. Dopo che l’inchiesta viene tolta a De Magistris, la Procura chiede l’archiviazione della posizione di Cesa e di altri indagati.
Cuffaro Salvatore: Condannato a 5 anni dal Tribunale di Palermo nel gennaio 2008 per favoreggiamento aggravato di alcuni mafiosi (che avrebbe avvertito di indagini e intercettazioni a loro carico, vanificando il lavoro degli investigatori); indagato per concorso esterno in associazione mafiosa in un fascicolo pendente presso la Dda di Palermo.
De Mita Ciriaco: Grazie all’amnistia del 1990, avendo lasciato la segreteria Dc nel 1989, s’è salvato dalle conseguenze penali dei finanziamenti illeciti confessati dal tesoriere del partito, Severino Citaristi. Il quale poi continuò l’attività con il nuovo segretario Forlani che, per il periodo non più coperto dall’amnistia, è stato condannato insieme a Citaristi per la maxitangente Enimont. De Mita però fu imputato a Roma per corruzione nel processo sulle tangenti alla Dc per i lavori della centrale Enel di Gioia Tauro: reato caduto in prescrizione nel 1999. In un alcuni altri processi a Napoli, dov’era imputato per corruzione e finanziamento illecito, è uscito in parte assolto, in parte prescritto, in parte archiviato. Rimane aperta l’inchiesta a Roma per corruzione in un filone laterale dello scandalo Parmalat: De Mita, insieme a Calisto Tanzi, al governatore della Liguria Claudio Burlando (Ds) e all’ex presidente delle Fs Lorenzo Necci (scomparso nel 2006), è accusato per un presunto giro di tangenti pagate a politici dal gruppo di Collecchio per un progetto (poi tramontato) finalizzato alla costituzione, nel 1995-96, di una joint venture fra la Cit Viaggi delle Ferrovie dello Stato e la decotta Parmatour. L’ipotesi degli investigatori è che si sia tentato di scaricare sul partner pubblico i debiti del gruppo turistico della Parmalat. De Mita che pure è amicissimo di Tanzi, si è sempre proclamato innocente.
Drago Giuseppe: Condannato nel 2003 dal Tribunale di Palermo a 3 anni e 3 mesi per peculato e abuso d’ufficio, poi ridotti in appello a 3 anni, per avere svuotato nel ’98, allo scadere del suo mandato, la cassa dei fondi riservati del presidente della Regione, portando via i 268 milioni di lire ivi contenuti. Lo stesso aveva fatto, con 321 milioni 323mila lire, il suo predecessore Giuseppe Provenzano (Forza Italia, pure lui condannato a 3 anni), che aveva ricoperto l’incarico dal 1996 al ’98.
Mannino Calogero: Arrestato nel febbraio 1995 e tuttoggi imputato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la Procura di Palermo, avrebbe stretto un patto con Cosa nostra per avere voti in cambio di favori. Assolto in primo grado nel 2001, tre anni dopo viene condannato in appello a 5 anni e 4 mesi. La sentenza viene però annullata, per difetto di motivazione, dalla Cassazione, che ordina un nuovo processo di appello, tuttora in corso. Nel 2007 la Procura di Marsala ha chiesto il rinvio a giudizio di Mannino e di altre sedici persone imputate, a vario titolo, di associazione a delinquere, appropriazione indebita, frode in commercio, vendita di sostanze alimentari non genuine, falso ideologico e truffa aggravata. Secondo gli inquirenti Mannino, dominus di fatto dell’azienda vinicola di Pantelleria «Abraxas srl» (di cui il figlio è socio di maggioranza), insieme ai soci e a Luciano Parrinello (funzionario dell’Istituto della Vite e del Vino di Marsala), avrebbero messo in commercio come genuini vini doc prodotti in violazione del disciplinare di produzione previsto per il moscato di Pantelleria.
Naro Giuseppe: Condannato in primo grado a 3 anni e in Cassazione a 6 mesi definitivi di reclusione (erano 3 anni in primo grado) per abuso d’ufficio nel processo per l’acquisto con denaro pubblico di 462 ingrandimenti fotografici, alla modica cifra di 800 milioni di lire. Due prescrizioni hanno invece cancellato le accuse mosse contro di lui nell’inchiesta sulla Tangentopoli messinese (primo grado: condanna a 1 anno e mezzo) e in quella per le spese folli di Taormina Arte (peculato). Assoluzione piena per un altro abuso d’ufficio che aveva spinto la magistratura ad arrestarlo.
Romano Francesco Saverio: Indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa con l’accusa di aver accompagnato il suo leader, Salvatore Cuffaro, a incontrare alcuni esponenti di Cosa nostra, ha ottenuto l’archiviazione nel 2003 per il caso Guttadauro-Cuffaro; ma dall’inizio del 2006 è stato di nuovo inquisito dalla Dda palermitana per concorso esterno, dopo le rivelazioni del pentito Francesco Campanella a proposito di altri presunti summit con mafiosi.
Tarolli Ivo: Ex vicepresidente dei senatori Udc, legatissimo all’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, nel 2005 Tarolli viene indagato per appropriazione indebita dalla Procura di Milano (inchiesta poi passata per competenza a Lodi) in seguito alle rivelazioni del banchiere della Bpl Gianpiero Fiorani sulla fallita scalata all’Antonveneta: mentre appoggiava appassionatamente Fazio e Fiorani nella lobby pro-furbetti del quartierino, avrebbe ricevuto dalla Popolare di Lodi almeno 30 mila euro e altro denaro ancora su un deposito aperto presso la stessa Bpl. “A Ivo Tarolli – dice Fiorani – ho dato un contributo di 30-40mila euro sotto forma di pagamento di una fattura relativa a una pubblicazione. La fattura è stata annotata dalla Bpl… Inoltre anche a Tarolli abbiamo fatto passare delle operazioni titoli sicure sul suo conto”. Nel febbraio 2008 la Procura di Lodi stralcia la posizione di Tarolli dall’indagine in vista dell’archiviazione. Tarolli è capolista dell’Udc per la Camera in Trentino.
Zinzi Domenico: Il 20 novembre 2007, con altri amministratori pubblici, è stato condannato ad Avellino a 3 anni di reclusione in primo grado per omicidio colposo. L’inchiesta era cominciata dopo che, il 5 maggio 1998 una frana aveva causato la morte di undici persone nel centro storico di Quindici. Secondo l’accusa, gli amministratori – tutti assessori con deleghe ai Lavori pubblici o all’Ambiente – non avevano adottato misure idonee per la difesa del suolo e la realizzazione di opere per la sistemazione idrogeologica della zona.
La Destra (2)
Storace Francesco: Rinviato a giudizio a Roma per concorso in accesso abusivo a sistemi informatici, nel processo sulle attività di spionaggio messe in moto dal suo staff contro i due concorrenti alle regionali del 2005, Piero Marrazzo del centrosinistra e Alessandra Mussolini di Alternativa sociale; indagato sempre a Roma dal 2007 per presunte erogazioni irregolari di fondi alla ricerca scientifica nel 2005, quando era ministro della Salute; indagato, ancora a Roma, per offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica (per aver attaccato sul suo passato comunista Napolitano, intervenuto a difendere la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, insultata dallo stesso Storace); indagato e prosciolto a Potenza per essere intervenuto sul presidente dell’Istituto case popolari di Roma, al fine di procurare un appartamento a un’amica, Paola Guerci di An (quando il presidente dello Iacp replica che prima c’è un altro in attesa, un altro politico ma di Forza Italia, Storace lo zittisce: «Di Zambelli non me ne frega un amaro cazzo»).
Sabbatani Schiuma Fabio: Imputato con Storace & C. a Roma per accesso abusivo a sistema informatico e violazione della legge elettorale nello scandalo del Laziogate,
cioè per lo spionaggio alle elezioni regionali ai danni di Marrazzo e Mussolini. Fra le prove a suo carico, un’intercettazione captata dalla Procura di Potenza in cui Sabbatani Schiuma rivela a Salvo Sottile, allora portavoce di Fini, di essere l’autore dell’incursione informatica al comune di Roma per boicottare la lista di Alternativa sociale di Alessandra Mussolini, inserendovi firme false per farla bocciare.
Aborto No Grazie (1)
Ferrara Giuliano: Condannato più volte, anche in via definitiva, per aver diffamato magistrati di Palermo e di Milano, è stato condannato anche in primo grado per diffamazione contro i giornalisti dell’«Unità», definito «giornale tendenzialmente omicida» (aggiungendo che «Furio Colombo e Antonio Tabucchi sono i mandanti linguistici del mio prossimo omicidio»). Vanta anche una condanna definitiva in Francia dal Tribunal de Grande Instance di Parigi per contraffazione di opera d’ingegno e violazione del diritto d’autore ai danni di Antonio Tabucchi. Il fatto risale all’ottobre 2003, quando Tabucchi inviò un articolo a «Le Monde», ma se lo vide pubblicato, in anteprima e senz’autorizzazione, sul «Foglio» (un correttore di bozze del quotidiano parigino l’aveva inviato per amicizia a Ferrara, senza prevedere che questi l’avrebbe «rubato» e messo in pagina). Ferrara deve sborsare 34mila euro in tutto: 10mila di multa allo Stato francese, più 3.000 per aver appellato temerariamente la condanna di primo grado; 12mila di danni a Tabucchi; 9.000 per finanziare la pubblicazione della sentenza su «Le Monde», «Le Figaro» e «Libération».
Partito democratico (18)
Benvenuto Romolo: Ex Margherita, condannato in primo grado nel 1999 a 140 mila lire di ammenda per percosse all’ex convivente. I fatti risalgono alla metà degli anni Novanta. Il legame fra i due si era ormai deteriorato. L’uomo politico pensò bene di concluderlo a ceffoni. La donna lo denunciò e ne ottenne la condanna. In appello, poi, Benvenuto chiese scusa e risarcì il danno, ottenendo la rimessione di querela, il «non luogo a procedere» e l’estinzione del reato.
Bubbico Filippo: Ex Ds, rinviato a giudizio e poi assolto in primo grado per abuso d’ufficio nel processo sulla defenestrazione del direttore generale dell’Asl di Venosa (Potenza); indagato a Catanzaro dal pm Luigi De Magistris per truffa aggravata all’Unione europea in un’inchiesta su 20 miliardi di lire di fondi comunitari stanziati per un progetto di bachicoltura in Basilicata mai decollato; indagato ancora a Catanzaro nell’inchiesta «Toghe lucane» del pm De Magistris con le accuse di associazione per delinquere, abuso e truffa in relazione a diverse operazioni del presunto «comitato d’affari» lucano nella sanità e nei finanziamenti europei a villaggi turistici in Basilicata.
Carra Enzo: Ex Dc ed ex Margherita, condannato in via definitiva a 1 anno e 4 mesi per false dichiarazioni al pubblico ministero. Per i giudici, Carra è un falso testimone che, con il suo «comportamento omertoso» e la sua «grave condotta antigiuridica», ha giurato il falso dinanzi al pool di Milano nel 1993, tentando di «assicurare l’impunità a colpevoli di corruzione, falso in bilancio e finanziamento illecito» nella maxitangente Enimont.
Castagnetti Pierluigi: Ex Dc ed ex Margherita, ha una prescrizione per corruzione. Il 5 dicembre 2002 il pm di Ancona Paolo Gubinelli ha chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione, accusandolo di aver ricevuto una tangente di 15 milioni di lire nel 1991-92 dall’imprenditore anconetano Luigi Marrino in cambio del decreto di concessione dell’Istituto vendite giudiziarie. Secondo l’accusa, Castagnetti – all’epoca capo della segreteria politica del segretario Dc Mino Martinazzoli – avrebbe accettato quel denaro «per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio rivestito» nell’interesse non solo di Marrino, ma anche di un monsignore di Reggio Emilia, Pietro Iotti, che aspirava a ottenere una quota dell’Ivg. Ma il 15 aprile 2003 il gup Sante Bascucci gli concede le attenuanti generiche e dichiara così prescritto il reato.
Cocilovo Luigi: Ex Dc ed ex Margherita, rinviato a giudizio a Palermo per corruzione, viene assolto nel 2002 pur essendo ritenuto responsabile del reato, cioè di una mazzetta di 350 milioni versatagli da un imprenditore edile del Ragusano, Domenico Mollica, in cambio della “pace sindacale” nei suoi cantieri. Colpevole, ma assolto: com’è possibile? Semplice. Il Tribunale e poi la Corte d’appello di Palermo, in base alla cosiddetta legge costituzionale del «giusto processo», sono costretti a cestinare la confessione dell’imprenditore che l’aveva corrotto: utilizzata per condannare Mollica per aver corrotto Cocilovo, non può essere usata per condannare Cocilovo per essere stato corrotto da Mollica. Motivo: è stata resa dinanzi al pm, ma non ripetuta in tribunale, dunque inutilizzabile nei confronti di terze persone. Che però Cocilovo si sia fatto corrompere, i giudici del Tribunale lo ritengono più che assodato, tant’è che lo definiscono «collettore di tangenti… disposto a concedere favori sindacali».
Crisafulli Vladimiro: Ex Ds, ha visto finire in archivio l’indagine a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa alla Procura di Caltanissetta, nata dal del filmato dei carabinieri che lo ritraeva in un hotel di Pergusa mentre abbracciava e baciava il boss di Enna, Raffaele Bevilacqua, e discuteva con lui di appalti pubblici, assunzioni e favori vari; in un’altra indagine, aperta per rivelazione di segreti d’ufficio dalla Procura di Messina, la sua posizione è stata stralciata con richiesta di archiviazione al gip, che non s’è ancora pronunciato.
Cusumano Stefano: Ex Dc, nel 1999 quand’era sottosegretario al Tesoro per l’Udeur nel governo D’Alema, ma non parlamentare, fu arrestato a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa e turbativa d’asta nell’indagine sugli appalti truccati da 120 miliardi di lire per la costruzione dell’ospedale Garibaldi; il 13 aprile 2007 è stato assolto dall’accusa di mafia, mentre la turbativa d’asta è caduta in prescrizione.
D’Alema Massimo: Ex Ds, s’è salvato per prescrizione del reato (accertato) di finanziamento illecito nel processo a proposito di 20 milioni di lire in nero versatigli nel corso di una cena, negli anni 80, dal boss delle cliniche Francesco Cavallari, legato alla Sacra corona unita; ha poi avuto un’archiviazione a Reggio Emilia per i presunti fondi neri incamerati dal Pci-Pds; archiviata a Roma anche l’inchiesta per finanziamento illecito nata a Venezia, che lo vedeva indagato con Achille Occhetto e con Bettino Craxi; a Parma invece, dove Calisto Tanzi sosteneva di averlo finanziato con inserzioni pubblicitarie sulla rivista della sua fondazione Italianieuropei, D’Alema è rimasto un semplice testimone; infine la Procura di Milano sta ancora vagliando la sua posizione nell’ambito delle indagini sulla scalata dell’Unipol alla Bnl di Consorte nell’estate del 2005: il gip Clementina Forleo, che ipotizzava un suo concorso nell’aggiotaggio di Consorte, ha trasmesso gli atti alla Procura, sostenendo che non è necessario il permesso del Parlamento europeo per usare nei suoi confronti le famose intercettazioni telefoni
che.
De Filippo Vito: Ex Margherita, indagato e arrestato nel 2002 nell’inchiesta del pm Woodcock, che chiedeva di condannarlo a 1 anno e 6 mesi per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta (presunte mazzette pagate dalla ditta De Sio per vincere appalti da enti come Inail ed Eni-Agip in Val d’Agri), De Filippo viene assolto alla fine del 2004 insieme ad altri politici coinvolti (mentre vengono rinviati a giudizio gli imprenditori presunti corruttori); indagato nel 2004, sempre a Potenza, per associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, corruzione e turbativa d’asta per presunti rapporti con esponenti della cosche della ’ndrangheta e poi archiviato in fase d’indagine; rinviato a giudizio e assolto dall’accusa di abuso d’ufficio per uno scandalo della sanità. A quest’ultimo proposito, come per il suo coimputato Bubbico, il pm chiede la condanna sua (e di altri 10 imputati) a 1 anno e 8 mesi per aver cacciato nel 2001 dalla direzione generale dell’Asl 1 di Venosa (Potenza) Giuseppe Panio e averlo sostituito a Giancarlo Vainieri, gradito alla giunta e in particolare ai Ds, sebbene i giudici del lavoro avessero reintegrato al suo posto il dirigente defenestrato. Ma nella tarda serata del 3 marzo 2008, proprio mentre a Roma i vertici del Pd lo inseriscono nelle liste per le elezioni politiche, il Tribunale assolve lui e gli altri imputati perché «il fatto non costituisce reato». Forse perché, dopo la controriforma dell’abuso del 1996, il reato scatta solo se è dimostrato l’interesse patrimoniale di chi fa e di chi riceve il favore e la volontà specifica di agevolare qualcuno e sfavorire qualcun altro. C’è infine un’indagine sulle pressioni politiche per alcune nomine ai vertici delle aziende ospedaliere lucane. Il pm Woodcock, nel 2007, chiede al Gip di inoltrare al Parlamento la richiesta di usare le intercettazioni telefoniche «indirette», in cui alcuni indagati chiacchierano con 9 parlamentari (tra i quali il governatore De Filippo e l’allora ministro Mastella, che parlano della rimozione del direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza, Michele Cannizzaro, dopo il coinvolgimento di quest’ultimo nell’inchiesta «toghe lucane» a Catanzaro). Il gip respinge la richiesta, perché nel frattempo la Consulta ha demolito la legge Boato, sostenendo che non occorre il permesso delle Camere per usare telefonate in cui compaia la voce di un parlamentare nei confronti di persone intercettate, ma non indagate. Dunque il pm potrà proseguire il suo lavoro senza chiedere nulla al Parlamento. In questa indagine, secondo un quotidiano locale della Basilicata, è inquisito anche De Filippo. Ma questi smentisce e la Procura tace.
Gozi Sandro: Fedelissimo di Romano Prodi, è indagato – secondo «Panorama» – per associazione per delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi sulle logge segrete dalla Procura di Catanzaro, nell’ambito dell’inchiesta «Why Not» sui fondi pubblici succhiati da consulenze fittizie e società create da politici calabresi (e non) di destra e di sinistra. «Why Not» è una società di lavoro interinale (appartenente al consorzio Clic) che fa capo al ciellino Antonio Saladino, leader calabrese della Compagnia delle Opere, che nel 2006 avrebbe promesso e forse anche raccolto voti per il centrosinistra.
Laganà Fortugno Maria Grazia: Ex Margherita, la vedova di Franco Fortugno – il medico e vicepresidente del Consiglio regionale calabrese assassinato in un agguato mafioso il 16 ottobre 2005 davanti al seggio dove si vota per le primarie dell’Unione – è indagata in una delle inchieste della Procura di Reggio Calabria sulla malasanità nell’ospedale di Locri, dove il marito era primario in aspettativa e la signora vicedirettrice sanitaria. Ipotesi di reato: truffa ai danni dello Stato, per presunte forniture sanitarie irregolari.
Latorre Nicola: Ex Ds, è stato indagato a Potenza per favoreggiamento, poi ha visto la sua posizione finire in archivio: ascoltando alcune telefonate di un gruppo di uomini d’affari in rapporti con lui e con l’ex presidente del Perugia Calcio, Luciano Gaucci, i magistrati avevano ipotizzato che fosse stato Latorre ad avvertire l’imprenditore dell’indagine a suo carico. Altre intercettazioni telefoniche l’hanno portato Latorre a un passo dal finire indagato a Milano per le scalate bancarie dei furbetti del quartierino. La sua voce è stata infatti registrata più volte, mentre discuteva con il numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, dell’assalto alla Bnl, e addirittura con Stefano Ricucci, impegnato nella scalata al Corriere. Il gip Forleo, quando si è trattato di trasmettere le conversazioni al Parlamento per ottenere l’autorizzazione al loro utilizzo, ha scritto che almeno otto telefonate di Latorre (e D’Alema) attestano «i ruoli attivi ricoperti» nella scalata Unipol a Bnl, «contrassegnati all’evidenza da consapevole contributo causale» all’aggiotaggio addebitato a Consorte. Ora la sua posizione è al vaglio della Procura di Milano, a cui il gip Forleo ha trasmesso gli atti, dopo che il Senato ha negato l’ok all’uso delle intercettazioni a suo carico.
Lolli Giovanni: Ex Ds, è imputato in udienza preliminare a Bari per favoreggiamento nell’inchiesta sui presunti abusi della Missione Arcobaleno. Nel 1999 il governo D’Alema lancia l’operazione umanitaria «Arcobaleno» per sostenere i profughi kosovari fuggiti in Albania durante la guerra civile. Secondo l’accusa, durante e dopo la Missione, la Protezione civile allora presieduta da Franco Barberi, grazie a una fitta rete di complicità e amicizie con «esponenti apicali della politica», mise in piedi una «associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la Pubblica amministrazione» (peculato, concussione, corruzione, abuso d’ufficio) e «ogni altro reato necessario o utile per i perseguimento degli scopi illeciti». In pratica la magistratura ritiene di aver scoperto enormi ruberie, tangenti e dirottamenti degli ingenti fondi pubblici stanziati per i profughi, ma in realtà rimasti in Italia. Per questo la Procura barese ha chiesto nel febbraio del 2007 il rinvio a giudizio di 26 persone, a cominciare da Barberi, giù giù fino a Lolli. Nel 1999, quand’era responsabile nazionale Associazionismo e Sport dei Ds, Lolli avrebbe informato due indagati che il loro telefono era sotto controllo, facendo così saltare gli accertamenti in corso da parte degli investigatori. Di qui l’accusa di favoreggiamento. L’udienza preliminare è in corso dal 10 maggio 2007. I reati, a tale distanza dai fatti (l’indagine partì nel gennaio del 2000), rischiano la prescrizione.
Lusetti Renzo: Ex Dc, ex Margherita, già pupillo di De Mita, già assessore a Roma nella giunta Rutelli, in quest’ultima veste nel 2001 è stato condannato dalla Corte dei conti a risarcire il Comune di Roma oltre 2 miliardi di lire per consulenze ingiustificate. In appello l’importo è stato ridotto di un quinto.
Margiotta Salvatore: Ex Margherita, è indagato a Potenza per falso ideologico e a Catanzaro, secondo l’Ansa, per abuso d’ufficio. La prima inchiesta è condotta dal pm Henry John Woodcock, che nel luglio del 2006 ha proposto al gip Alberto Iannuzzi di chiedere alla Camera l’autorizzazione a utilizzare conversazioni telefoniche in cui compare anche la voce di Margiotta. Il caso
– dov’è indagata anche la signora Margiotta, cioè il capo della Mobile di Potenza, Luisa Fasano, per abuso d’ufficio – nasce dalle indagini che il 6 maggio 2006 portarono all’arresto del faccendiere Massimo Pizza, accusato di aver messo in piedi un’organizzazione specializzata in grosse truffe ai danni di imprenditori. Dalle intercettazioni telefoniche saltò fuori che Fasano e Margiotta parlavano di una contravvenzione per eccesso di velocità fatta all’autista del deputato e, secondo l’accusa, si interessavano per farla annullare. Margiotta avrebbe addirittura stilato una dichiarazione ufficiale, su carta intestata della Camera dei Deputati, per attestare che il suo autista correva perché lui doveva assolutamente arrivare in tempo a una riunione con un importante ministro della Margherita. Di qui l’accusa di falso ideologico. Ma dalle conversazioni della Fasano – sia con il marito, sia con altre persone – emergerebbe anche una fitta rete di rapporti con uomini politici (soprattutto del centrosinistra), amministratori locali, alti magistrati di Potenza (in particolare il sostituto procuratore generale Gaetano Bonomi) e uomini delle forze dell’ordine, finalizzati a interessi personali e di carriera. Di qui l’ipotesi di peculato e rivelazione di segreto d’ufficio. L’inchiesta di Catanzaro, che riguarda anche i coniugi Margiotta, è quella denominata «Toghe lucane» e condotta dal pm Luigi De Magistris: l’episodio per cui sarebbe indagato Margiotta per abuso d’ufficio è il suo presunto ruolo nella nomina di Michele Cannizzaro (marito della pm potentina Felicia Genovese, indagata e trasferita a Roma) a direttore generale dell’ospedale San Carlo di Potenza. Nella stessa inchiesta è indagata certamente per abuso d’ufficio anche la moglie Luisa Fasano, che il 7 giugno 2007 ha subito anche una perquisizione a casa e in ufficio: in quel momento si è appreso che è accusata di aver «influenzato» – dalla postazione privilegiata di capo della Mobile di Potenza – varie indagini aperte dalla Procura, «insabbiandone» alcune, ostacolando l’attività di magistrati e investigatori, operando per «non garantire il genuino andamento dei procedimenti», cercando di «influire sul loro corretto andamento», «insabbiandone» alcuni e favorendo «il ruolo politico del marito» deputato. Letta la notizia sull’Ansa, Margiotta ha smentito di essere sotto inchiesta («non mi risulta essere indagato e comunque che non ho ricevuto alcun avviso di garanzia»), confermando che invece lo è la sua signora.
Papania Antonio: Ex Margherita, il 24 gennaio 2002 ha patteggiato davanti al gip di Palermo una pena di 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio. La vicenda risale al 1998. Papania, all’epoca assessore regionale al Lavoro, venne coinvolto in un’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo su una compravendita di posti di lavoro. Secondo i magistrati, alcuni esponenti di un sindacato, il Failea, avevano promesso assunzioni a quindici ex detenuti in cerca di lavoro in cambio di somme di denaro che arrivavano fino a 3 milioni di lire. Per le assunzioni i sindacalisti si sarebbero rivolti a pubblici ufficiali e politici. A Papania, che aveva dato lavoro a disoccupati privi dei titoli richiesti dalla legge, i pm avevano contestato il concorso esterno in associazione a delinquere e l’abuso d’ufficio. La prima accusa è stata però archiviata dal gip. Secondo gli investigatori, Papania era stato contattato dall’organizzazione, guidata da Francesco Paolo Alaimo, arrestato, per ottenere l’inserimento dei disoccupati. In un’intercettazione ambientale Alaimo parlava con un altro indagato di una percentuale del 3 per cento da pagare a Papania solo quando fosse riuscito «a far traghettare i soldi gestiti dalla Regione a un’associazione costituita appositamente suggerita dal politico». Secondo Papania però non vi fu mai nessuna promessa di tangente. L’indagine ha riguardato piani di inserimento professionale, cantieri di lavoro, lavoratori socialmente utili, precari tante volte scesi in piazza per sollecitare assunzioni, scatenando proteste con incidenti.
Rigoni Andrea: Ex Margherita, è stato condannato a 8 mesi di reclusione in primo grado per un abuso edilizio sul monte di Porto Azzurro, all’isola d’Elba, insieme alla madre, alla sorella e al direttore dei lavori. In appello, poi, si è salvato grazie alla prescrizione del reato.
Vitrano Gaspare: Ex Margherita, è stato condannato dalla Corte d’appello di Palermo a 9 mesi di reclusione per falso in atto pubblico e imputato in Tribunale per abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, per sanare una irregolarità che lo avrebbe fatto decadere da deputato regionale della Sicilia per aver presentato in ritardo la domanda di aspettativa, avrebbe falsificato i registri di presenza nel suo ufficio di dipendente dell’ente Regione, con la complicità di altri due funzionari.
Italia dei Valori (0)
Sinistra Arcobaleno (3)
Caruso Francesco (Prc): Alcune condanne, arresti e processi per manifestazioni, «espropri proletari» e altre iniziative «antagoniste». Caruso viene arrestato a Cosenza nel novembre 2003 insieme a una ventina di compagni per reati politici gravissimi (che paiono francamente eccessivi), come l’associazione eversiva finalizzata alla sovversione dell’ordine democratico ed economico del paese, per il ruolo avuto durante le manifestazioni «no global» di Napoli nel 2000 e durante il G8 di Genova nel 2001 alla guida della «Rete Meridionale del Sud Ribelle». Il Tribunale del Riesame annulla poi quelle ordinanze, ma nel luglio 2004 Caruso viene rinviato a giudizio dinanzi alla Corte d’assise di Cosenza per associazione sovversiva, cospirazione politica e attentato agli organi costituzionali dello Stato. Nel gennaio del 2008, l’accusa ha chiesto di condannarlo a 6 anni e l’Avvocatura dello Stato ha avanzato una richiesta di 5 milioni di euro per «danni all’immagine dello Stato italiano». Caruso è anche imputato ad Acerra per estorsione aggravata per aver organizzato un’azione dimostrativa in un supermercato, bloccando le casse e ottenendo dalla direzione un quintale di pasta da distribuire gratis alla povera gente. Nel 1996 un giovanissimo Caruso e altre sei persone si oppongono allo sgombero della sala studio universitaria di Bologna in via Zamboni 36: per questo, nel 2003, Francesco viene condannato a 10 mesi per aggressione a un poliziotto e interruzione di pubblico servizio a 10 mesi, ma poi in appello il reato cade in prescrizione, grazie alla concessione delle attenuanti generiche. Ancora sotto processo per gli scontri di piazza del 17 marzo 2001, nel 2007 è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per un’irruzione con un centinaio di manifestanti no global all’Ipercoop di Afragola. In tutti i procedimenti penali a suo carico, non si è mai avvalso dell’immunità parlamentare.
Farina Daniele (Prc): Più volte arrestato e fermato per reati legati alla sua attività politica nel Leoncavallo. È stato condannato definitivamente tre volte. La prima condanna, del 1989, è a 1 anno e 6 mesi per fabbricazione, detenzione e porto abusivo di ordigni esplosivi, resistenza a pubblico ufficiale (manifestazione antifascista dei collettivi universitari – a Milano nel 1985; scontri davanti alla centrale nucleare di Montalto di Castro nel 1986): tutti reati poi coperti da amnistia. La seconda, del 1998, a 10 mesi per lesioni personali gravi (scontri tra servizi d&rsq
uo;ordine sindacale e Leoncavallo-Milano 1991). La terza, del 2001, per inosservanza degli ordini dell’autorità, cioè delle ordinanze di Marco Formentini, sindaco di Milano, sui concerti al Leoncavallo nei primi anni Novanta. Appena eletto, la Camera l’ha subito sistemato come vicepresidente unico della commissione Giustizia della Camera. Ora è ricandidato con l’Arcobaleno.
Pecoraro Scanio Alfonso (Verdi): Ministro dell’Ambiente e leader dei Verdi, è indagato per associazione per delinquere e corruzione dinanzi alla Procura di Roma, che nel marzo del 2008 ha ereditato il fascicolo per competenza dal pm potentino Henry John Woodcock. Probabile che il fascicolo passi al Tribunale dei ministri, competente sui reati ministeriali. L’ipotesi d’accusa, emersa da intercettazioni avviate nell’inchiesta su Corona-Vallettopoli e approfondita dai Carabinieri del Noe (diretto dal celebre Capitano “Ultimo”), è che il ministro si sia fatto pagare vacanze all’estero, viaggi in aereo e in elicottero, soggiorni in hotel di extralusso (per esempio il Town House di piazza Duomo a Milano, 7 stelle), telefonini e altri regali da alcuni imprenditori interessati ad appalti per lo smaltimento di rifiuti della Campania, a bonificare alcune aree inquinate della Basilicata e a ottenere incarichi per organizzare le trasferte del Ministero. L’agenzia turistica Visetur avrebbe saldato il conto del soggiorno natalizio di Pecoraro al Town House, mentre il fratello avvocato del titolare veniva inserito fra i consulenti del Ministero e la ditta otteneva l’appalto per occuparsi di alcune trasferte ministeriali. Pecoraro s’è proclamato innocente e ha annunciato la rinuncia a ogni tipo di immunità. Anche suo fratello Marco, senatore uscente dei Verdi (non ricandidato), è indagato con le stesse ipotesi d’accusa.
Partito Socialista (3)
Craxi Vittorio detto Bobo: Condannato nel 1999 dal Tribunale di Brescia per diffamazione aggravata ai danni del procuratore generale di Milano, Francesco Saverio Borrelli, a 1 mese di reclusione e 25 milioni di lire tra riparazione pecuniaria e risarcimento del danno, si è salvato in appello grazie alla prescrizione. In un’intervista del 18 febbraio 1996 al «Corriere della Sera», aveva affermato: «Ricordo bene quando, nel 1990, Borrelli bussò alla porta di Pillitteri perché lo aiutasse a diventare procuratore capo di Milano». Una menzogna assoluta, riconosciuta come «diffamatoria e lesiva dell’onore e della reputazione di indipendenza» di Borrelli anche dalla Corte d’appello di Brescia che, pur applicando la prescrizione, ha confermato la condanna ai risarcimenti e al pagamento delle spese legali, con una sentenza divenuta definitiva nell’ottobre del 2007 per mancanza di ricorso in Cassazione da parte di Craxi junior. Il quale, divenuto sottosegretario, non ha mai pagato una lira né un euro, infischiandosene della sentenza.
De Michelis Gianni: Ha patteggiato due condanne, rispettivamente 1 anno e 6 mesi per corruzione e 6 mesi per finanziamento illecito, per le tangenti sugli appalti delle autostrade del Veneto e per la sua parte della maxitangente Enimont. Rubava per il partito? No, per sé, come ha voluto mettere nero su bianco il Tribunale di Venezia, per tagliar corto con le solite favole sui «costi della politica» e magari «della democrazia». De Michelis prendeva tangenti «per alimentare il suo principesco stile di vita sia pubblico sia privato».
Ricca Luigi Sergio: Ex presidente socialista della Provincia di Torino, nel giugno 1995 viene indagato per corruzione e si salva dall’arresto solo perché è convalescente dopo un grave incidente d’auto: interrogato in Procura, confessa di aver diviso con Giusy La Ganga una tangente di 120 milioni di lire versatagli da Lorenzo Silva, agente dell’Ina-Assitalia, per ottenere il rinnovo dei contratti assicurativi degli stabili della Provincia. “Misi 60 milioni in una busta – racconta – e li consegnai a La Ganga nella sede del Psi torinese: fu proprio La Ganga a indicarmi il cassetto dove depositare il plico. Altri 40 milioni sono andati all’ex assessore Ivan Grotto”. Grotto, arrestato come La Ganga, racconta pure che la giunta provinciale organizzò una colletta per aiutarlo a pagare 10 milioni di risarcimento danni alla stessa provincia a cui era stato condannato in seguito a un patteggiamento per truffa: Ricca fu il primo a mettere mano al portafogli, sborsando un milione. Ricca ha patteggiato la pena per finanziamento illecito e ora è candidato con il PS di Boselli.
(9 aprile 2008)
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