Felice Mill Colorni: Unica via d’uscita la disgregazione del Pd

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Concordo largamente con l’analisi, che, vista la situazione catastrofica, è un po’ come dire con la pars destruens. Meno con la proposta di fondo, almeno per come si presenta al momento. La lista civica potrei probabilmente finire per votarla, ma, quanto a concorrere alla sua promozione, ho più di una perplessità.
D’accordo sulla putinizzazione in corso e sulla situazione disastrosa dell’informazione che conta. D’accordo sul giudizio sul Pd, irrecuperabile in quanto tale, con una classe politica esausta e che non sembra avere più nulla da dire, salvo eccezioni individuali tanto più luminose quanto più eccezionali.
Una classe politica, e più in generale un establishment non solo politico, senza principi e senza anticorpi, probabilmente perché per gran parte ha creduto nel momento della sua formazione in idee e principi frantumati dall’esperienza e dalla storia; ed è difficile reinventarsene altri a quarant’anni di distanza o appropriarsi credibilmente di tradizioni politiche che si sono fortemente avversate in gioventù. Proprio la mancanza assoluta di principi e l’estraneità in origine alla democrazia liberale hanno consentito dapprima l’illusione che, dando via libera al berlusconismo e legittimando l’illegittimabile, se ne sarebbe ricavata in cambio la propria ancora carente legittimazione: legittimare perfino Berlusconi, perfino il razzismo già allora latente della Lega Nord, perfino il clericalismo estremista e perfino il postfascismo con revisionismo al seguito di An avrebbe almeno liberato i postcomunisti dalla maledizione del “fattore K”. Avere percorso questa strada fin dall’inizio e fino in fondo priva di qualunque credibilità gli sprazzi di resipiscenza che emergono di tanto in tanto (per essere immediatamente contraddetti il giorno dopo da affermazioni di segno nuovamente opposto). Il gruppo dirigente postcomunista e postdemocristiano del Pd non è culturalmente attrezzato e non ha uno straccio di credibilità per proporsi come opposizione credibile e affidabile alla catastrofe civile in atto.
Altrettanto e più inadeguata a comprendere quel che stava accadendo alla società italiana era la sinistra neocomunista (quella che molti definivano “sinistra radicale”), per la quale il berlusconismo altro non era che la manifestazione italiana di una presunta peste neoliberista internazionale – quando la destra italiana è stata un esempio unico, nel mondo occidentale degli ultimi trent’anni, di una stabile maggioranza di destra che non abbia effettuato né proposto una sola liberalizzazione o una sola privatizzazione di rilievo: Berlusconi, Bossi, Fini, Buttiglione non sarebbero stati invece, per la sinistra neocomunista, significativamente diversi da Merkel, Sarkozy, Cameron, Aznar, Balkenende. Come se fosse pensabile che uno qualunque di questi signori controllasse in misura comparabile l’informazione televisiva nei propri paesi; come se per loro fosse possibile pensare di sopravvivere politicamente dopo essersi avvalsi della facoltà di non rispondere in un processo di mafia o dopo essersi sottratti solo per prescrizione a imputazioni infamanti; come se fosse per loro possibile allearsi con clericali estremisti, razzisti, omofobi e postfascisti. Una cecità assoluta.
Per effetto di questa duplice inadeguatezza del “centrosinistra” italiano, nella scorsa legislatura né gli uni né gli altri erano riusciti a dare giustificazione a un’alleanza inverosimile se non motivata dal carattere barbaro e alieno (rispetto agli schieramenti di centrodestra degli altri paesi dell’Europa occidentale) della destra italiana. Un’alleanza che andava da Turigliatto a Fisichella: come dire da Franco Piperno ad Alfredo Covelli, da Pietro Secchia a Pietro Badoglio. Dai trotzkisti ai teodem, tutti si sforzavano invece di cercare di convincere i poveri elettori del “centrosinistra” che non stavano insieme perché costretti a quell’alleanza innaturale dalla necessità di difenderci dagli alieni, ma per applicare il loro meraviglioso programma – di cui ovviamente fornivano interpretazioni puntualmente contrapposte.
Oggettivamente impossibile, dopo quell’esperimento disastroso (disastroso perché i protagonisti ne avevano occultato, e probabilmente neppure compreso, la sola possibile ragione sociale), riproporre la stessa alleanza. Ma assolutamente e letteralmente imperdonabile la scelta del gruppo dirigente del Pd di non apparentare al proprio simbolo quelli di socialisti e radicali (come pure si era fatto per l’Idv), con i quali non vi erano irreconciliabili divergenze in materia di politica economica e di politica estera, mostrando così di privilegiare su ogni altra priorità quella di stabilire sul sistema politico lo stesso duopolio asimmetrico rovinosamente applicato all’informazione televisiva (si veda il documentato volume di Michele Di Lucia sul “Baratto” Berlusconi – Veltroni, maturato fin dagli anni ’80).
Il Pd come mero diserbante: su questa linea i suoi dirigenti si stanno pervicacemente incaponendo, avallando, come pare, una riforma della legge elettorale europea che non ha alcuna giustificazione in termini di governabilità del sistema, ma che serve soltanto a far fuori ogni possibile voce presente e futura esterna al duopolio, al condominio fra i barbari e gli alieni da una parte e dall’altra gli smarriti e gli incapaci, cioè i furbissimi allocchi del gruppo dirigente del Pd. Il risultato sarà raggiunto non solo con l’imposizione di una soglia, incongrua per quel tipo di elezione, ma soprattutto abolendo il rimborso elettorale a favore delle liste che non la superino: rendendo così economicamente impossibile anche il tentativo di scalzare il duopolio.
I ricambi generazionali che si preparano, anche qui salve le ovvie eccezioni individuali, si annunciano, se possibile, perfino peggiori: e non c’è da stupirsene, dato che un partito recluta le sue forze fra coloro che si riconoscono nelle grandi linee nell’immagine che il partito si dà, dato che ormai gli italiani under 35 hanno praticamente conosciuto solo questa politica, e dato che comprensibilmente pochi giovani se ne sentono attratti, con la conseguenza che ci sarà un parco aspiranti molto più ristretto di un tempo entro cui selezionare la classe politica futura.
Così l’Italia è, fra l’altro, il solo paese europeo ad avere, su ognuna delle questioni etiche controverse legate ai diritti civili connessi alla secolarizzazione (le questioni eredi delle battaglie sul divorzio e sull’aborto), un “centrosinistra” attestato su posizioni che si collocano marcatamente più a destra di quelle di tutte le destre di governo, attuali e potenziali, di ciascuno degli altri paesi dell’Europa occidentale. Ma, anche in questo campo, l’unico entusiasmante messaggio proveniente dai vertici del Pd è, anche per le europee e dopo il successo conseguito con la stessa strategia alle politiche, “mangiate questa minestra o saltate da questa finestra”.
Concordo: sola possibile via d’uscita la disgregazione del Pd.
Se questo evento non dovesse aver luogo spontaneamente e prima ancora delle elezioni europee (e a dire il vero non mi sembra possibile escludere fin d’ora questa eventualità), un successo di una lista civica come quella proposta da Flores d’Arcais potrebbe effettivamente avere almeno il merito di accelerarla e propiziarla.
Però, a parte il fatto che i sondaggi che registrano a distanza di mesi propensioni di voto “potenziali” sono scarsamente attendibili (tanto più con l’informazione e con la regolamentazione delle campagne elettorali ch
e ci ritroviamo e che ci ritroveremo), personalmente credo pochissimo a “una forza democratica a geometria variabile”, e alla realistica possibilità di eludere le “leggi ferree” della rappresentanza politica. Ancor meno a nomine parlamentari scelte per sorteggio (non oso pensare alle conseguenze) o a una regolamentazione “di partito” (o “di lista”, che è lo stesso) che si sovrapponga alle leggi elettorali e ai regolamenti parlamentari, imponendo, come già un tempo facevano i radicali, rotazioni, norme “di partito” sugli stipendi, ecc. E ciò sia per ragioni di principio, sia per ragioni pratiche: se non altro, l’altissima probabilità di “tradimenti” e conseguenti sputtanamenti sconsiglia vivamente, a mio avviso, questo genere di escamotages.
Mi perdonino i tanti ex sessantottini che certamente frequentano questo sito, ma temo che un certo tipo di “democraticismo diretto” sessantottino, e più in generale un certo fastidio per le ripartizioni e limitazioni predefinite del potere, anche del potere “democratico”, abbiano molto a che fare con almeno una parte considerevole degli ingredienti che hanno dato vita allo stesso populismo berlusconiano. Lungi da me trovare analogie fra il democraticismo “di base” delle proposte di organizzazione della lista civica e la destra italiana, ma intravedere una stretta parentela eziologica fra il democraticismo sessantottino e il populismo berlusconista mi rende proposte come quelle delineate per l’organizzazione della lista civica decisamente ostiche.
Capisco l’ovvia obiezione: dov’è la pars construens? Riconosco di non essere in grado di formulare ipotesi credibili e realistiche di ricostruzione, di fronte alla catastrofe civile dell’Italia di questi anni. Per fortuna o per sfortuna la storia, di solito, ha più fantasia di chi pretende di prevederne gli sviluppi. Al momento, comunque, e salvi possibili e auspicabili rivolgimenti nel centrosinistra che si manifestino prima delle europee, forse l’“ipotesi minima” cui accenna Flores mi sembrerebbe meno impraticabile.
Felice Mill Colorni


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(10 ottobre 2008)



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