Felicità dell’agnosticismo

Adele Orioli

Nel libro "La felicità e i suoi nemici. Apologia dell’agnosticismo" (manifestolibri), Michele Martelli spiega perché la sola felicità possibile è quella che ognuno realizza liberamente nel rispetto degli altri. E perché l’unico orizzonte nel quale collocare questa ricerca è l’agnosticismo. Un pensiero antiautoritario e antidogmatico che non priva nessuno, “per assurdi pregiudizi etici o religiosi”, del diritto alla felicità. Immunizzandoci anche dai poteri mondani: lo Stato, la Tecnica e il Dio Mercato neoliberista.



La ricerca della felicità, o quella che si ritiene tale, è talmente radicata e connaturata alla storia umana da far ritenere assodato il fatto che gli uomini felici non lo siano nemmeno un po’.
Oggi più di ieri siamo costantemente minacciati dalla consapevolezza della nostra imperfezione e fragilità, spinti da brama insaziabile verso l’avere tutto, e averlo a ogni costo, fino all’inevitabile contraltare dato dall’angoscia, anch’essa incontrollabile, nel comprendere come tutto non si possa avere, ma anzi si possa in qualunque momento perdere quello che si ha.

In termini metafisici pencoliamo tra Dio e il Nulla, poiché non vi è mai certezza di raggiungere il paradiso o di sfuggire all’inferno; in termini secolari veniamo schiacciati dalla divinità a tre teste Stato-Tecnica-Mercato, che in un incessante confronto con chi ha di più mantiene costante l’insoddisfazione: “e chi è insoddisfatto non è felice”.
“Il dominio incontrollato delle caste sacerdotali e dei poteri mondani dispotici” oggi più di ieri insomma sminuisce, nega, distorce le caratteristiche fondamentali, le precondizioni della stessa esistenza umana.

Precondizioni tanto facilmente accertabili quanto altrettanto facilmente calpestabili in nome di interessi o entità superiori.
La diversità individuale, quella capacità di pensare in autonomia negata dalla pretesa imposizione di dogmi religiosi “indubitabili” e quella singolarità irriducibile appiattita a forza dalla triade mondana. La libertà personale, che discende proprio dalla molteplicità degli individui. La libertà di essere felici a modo nostro insomma, perché la felicità imposta e omologante “nasce dalla illibertà e non è la felicità, ma il suo contrario”. La dignità: si può essere diversi e come diversi essere liberi solo se si riconosce l’individuo come avente un fine in sé, non perché merce di un mercato o strumento di un divino. Diversità, libertà, dignità. Dove però al contempo l’individuo non sia isolato, alieno e alienato dal contesto sociale. Anzi, nella ricerca della felicità l’altro è da intendersi come risorsa e potenziamento, non certo come limite. “Chi potrebbe essere felice, in un mondo di infelici?”.

Queste le premesse ben poco confutabili e all’apparenza altrettanto ben poco foriere di speranza del brillante lavoro di Michele Martelli. Autore che ci guida in una tanto contenutisticamente profonda quanto piacevolmente fluida passeggiata attraverso le miserie umane (a ben vedere, sistematicamente auto inflitte) e le possibilità di riscatto che potremmo cogliere. E che ci guida, in perfetto ossequio all’elogio nel titolo, senza alcuna paternalistica pedanteria, spaziando da Sant’Agostino a Kant, da Bentham a San Francesco, inframmezzando ricordi personali a ironiche citazioni di Corrado Guzzanti o Paolo Villaggio a una cortese ma puntuta destrutturalizzazione del tomismo.

Con sguardo agnostico, insomma. Dove con agnosticismo fin dalle prime pagine si chiarisce come si intenda un affilato relativismo critico: oppositore di teologie e dogmi, ma non scettico radicale né multiculturalista. La non assolutezza dei valori non ne implica al contempo la loro irrilevanza, anzi. “Per il relativista critico, i valori, appunto perché relativi e non assoluti, non sono equipollenti: occorre perciò discernerli, vagliarli, selezionarli col criterio razionale del più e del meno, affinché emergano e prevalgono i più idonei ai fini della vita individuale e della convivenza civile”.

Se i sistemi culturali e valoriali sono quindi “semplici costruzioni umane e storiche”, è pur vero che vanno sempre preferiti quelli che garantiscono i diritti umani fondamentali. Perché sono i diritti umani fondamentali, a cominciare dalla libertà di pensiero e di autodeterminazione, a permettere la felicità. La nostra felicità, la felicità a modo nostro. Felicità che non deve danneggiare l’uguale libertà e dignità altrui.

Se la sola felicità possibile è quindi quella che ognuno realizza liberamente nel rispetto degli altri, l’unico orizzonte nel quale collocare questa ricerca è proprio in quell’agnosticismo antiautoritario e antidogmatico che non impone la felicità a comando e non priva nessuno “per assurdi pregiudizi etici o religiosi” del diritto alla felicità.

E proprio lo sguardo agnostico permette di comprendere come abbia poco senso basare la nostra ricerca della felicità solo sulla supponenza dell’esistenza di Dio (“il teologo è un agnostico che si vergogna”), ma che anzi proprio in nome di un Dio dall’esistenza non dimostrabile “i funzionari del sacro, in particolare nei tre monoteismi, hanno cercato di imporre un controllo autoritario totale sui credenti”.

Ma lo sguardo agnostico immunizza anche dai poteri mondani, dallo Stato padrone (anche nella versione “Uomo della Provvidenza”), alla Tecnica, da intendere come “mega-apparati civil-militar-industriali, dove il sapere scientifico e lo stesso uomo sono sviliti e asserviti, dove l’etica non ha cittadinanza e impera il criterio dell’efficienza ed efficacia ad ogni costo”. Da intendere anche come auto asservimento alla tecnologia più becera, al dominio del telefonino, prosaicamente parlando. L’homo tecnologicus come secolare fenomenologia dell’homo religiosus, per dirla con l’Autore.
Anche per il Dio Mercato neoliberista, sempre più foriero di diseguaglianza sociale, un approccio non dogmatico permette di considerare alternative (più o meno convincenti) che hanno comunque il pregio di mostrare come possibili anche scenari differenti da quelli predominanti e dati per incontrovertibili.
“Nessun percorso di ricerca personale e collettiva della felicità è possibile senza smascherare e combattere, con le armi della critica filosofica e agnostica, tali pseudo-divinità, tali ridicoli surrogati di Dio”.

Martelli propone anche, quasi a compendio dell’excursus appena affrontato, una sorta di catalogo delle possibili vie alla felicità, attraverso tipizzazioni archetipe (il gaudente, l’amante, ma anche il mistico, l’illuminato) che sono appunto tante quante gli individui che ne vivono anche solo in parte le caratteristiche, peraltro combinabili fra loro e sempre in perenne mutamento.
Ma quindi un orizzonte agnostico è davvero la via più plausibile per la felicità? Nel pur necessario relativismo (o che agnostici saremmo?), sì, molto probabilmente sì. Perché permette di sapere di non sapere. E il sapere di non sapere permette di ascoltare. E di accettare l’altro e la sua ricerca della felicità, dove questa non limiti o disconosca la nostra. Perché il rispettare i diritti altrui resta l’un
ica strada per vedere riconosciuti i nostri. Per essere felici, come vogliamo noi.
In ogni caso, felicità è anche leggere un bel libro. Come questo.



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