Fenomenologia di Pierluigi Diaco
Flavio De Bernardinis
Il giornalista e anchorman televisivo, attraverso la propria strategia della comunicazione, configura lo stato delle cose in Italia in materia di immaginario sociale.
Il personaggio di cui ci occupiamo è Pierluigi Diaco, leader incontrastato della trasmissione Io e te, in onda nel pomeriggio estivo di Rai Uno.
Sarebbe troppo lungo effettuare un’analisi dettagliata del programma. Il titolo in fondo dice tutto. Io sta per Pierluigi Diaco, Te per chiunque gli si trovi di fronte. L’interlocutore di Pierluigi Diaco (da qui in poi PG) viene integralmente modellato dal conduttore (solo Katia Ricciarelli gli tiene testa). PG ha in qualche modo sempre a che fare con tutto quello che l’ospite racconta di sé. Direttamente o indirettamente, egli ha già attraversato tutti gli spazi e i luoghi dell’ospite. Per dirne una, ha frequentato la stessa comitiva in gioventù della figlia di Gabriella Farinon, ospite della trasmissione. E puntualmente lo puntualizza.
La prevalenza dell’Io sul Te non agisce solo a livello aneddotico, ma anche concettuale. A un ospite viene chiesto cosa pensi dell’amicizia. Prima che emerga una risposta possibile, PG incalza: “Io non credo che il vero amico come sovente si crede si veda nel momento delle difficoltà, del bisogno. Anzi, in questo caso secondo me, l’amico in fondo un pochino gode dei nostri guai. Il vero amico si vede invece nelle occasioni di gioia, quando senza invidia, partecipa della nostra felicita’”. Davanti a una presa di posizione così netta, l’ospite deve subito rivalutare e riposizionare la propria risposta.
Chi sono i maestri di PG? Si riconosce l’ispirazione proveniente da Maurizio Costanzo, con cui PG ha collaborato in passato. Di Costanzo, PG possiede infatti la capacità di costruire una intimità Immediata con l’ospite, il quale abbassa le difese e giustamente si concede al ritmo del colloquio.
PG possiede anche il lato Gianfranco Funari, di cui condivide la capacità di indirizzare la regia televisiva dall’interno dell’inquadratura. PG non solo chiede in diretta inquadrature particolari, ma si fa anche inquadrare, mentre l’ospite parla, in piani d’ascolto studiatissimi, spesso la guancia sostenuta dalle dita della mano, aperte o strette a pugno, al limite tra primo e primissimo piano.
Il piano d’ascolto, primo o primissimo piano, non agisce come abitualmente nella grammatica audiovisiva, ossia contrappunto e sostegno rispetto all’inquadratura di chi sta parlando, ma si dispone invece come una vera e propria icona del conduttore stesso, che scolpisce nel proprio sguardo la pregnanza emotiva del momento. Il piano d’ascolto di PG in realtà non è dove si ascolta, ma dove si parla. Solo l’ascolto di PG parla e fa parlare l’ospite.
Ancora un tratto alla Funari. Mentre va in onda una qualche esibizione, PG si muove dietro le quinte accanto al cameraman e controlla l’inquadratura. Presentando un cantante al pianoforte, arriva persino a dire: “Durante l’esibizione io esco, cari amici all’ascolto, in modo da non distrarvi”, come se la sua semplice presenza, anche sfumata e in penombra, fosse sufficiente a catturare comunque l’attenzione escludendo qualsiasi altra cosa.
Oltre Costanzo e Funari, PG detiene anche un lato Flavio Insinna, di cui condivide la funzione del baule, che Insinna eredita dal primo Gigi Proietti, quello degli assoli teatrali tipo A me gli occhi, please! Il conduttore, pur all’interno di uno schema molto preciso, quasi rígido, del programma, conserva comunque un “baule”, da cui far emergere oggetti inaspettati. Quando si tratta di proporre all’ospite una selezione di filmati proveniente da un passato che lo riguarda, quasi sempre la scelta di PG cade su momenti eccentrici, un poco a sorpresa. PG si diverte molto nel percepire la prima reazione, al limite dell’attonito, dell’interlocutore, e questo genera una sottile atmosfera di improvvisazione, di cui il conduttore in ogni modo è il garante, il mago, il padrone. Inoltre, le “perle” fuoriuscite dal “baule” vengono immediatamente elevate a momenti “unici” e “storici”, iconici, di cui PG è l’immancabile custode.
L’asse Costanzo-Funari-Insinna, albero genealogico di PG, concepisce il luogo del set televisivo pur sempre in chiave teatrale, ossia un qui-e-ora dotato di una drammaturgia stabilita, dove ciò che accade deve possedere i caratteri dell’impatto immediato con gli spettatori, simile al rapporto attore/pubblico a teatro. Il Maurizio Costanzo Show è esplicitamente evento teatrale, mentre Funari e Insinna provengono entrambi dallo spazio scenico del teatro.
PG pur assorbendola integralmente si pone al di lá della genealogia. PG infatti ha un obiettivo preciso: intende essere televisione allo stato puro. Che non significa il “bello della diretta”, ma uno spazio/tempo radicalmente autonomo. Nello studio di PG va innanzitutto in scena il passato, dimensione mítica in cui tutto era giusto, autosufficiente e “straordinario”. La cosa notevole è che tale amore per il passato esclude qualsiasi tentazione di nostalgia. Secondo PG, il passato non è mai passato, sta qui con noi, presente, ed è compito del conduttore mostrarne le prove: ospiti, canzoni, oggettistica (come il juke-box che campeggia in studio), compongono il ritmo di un tempo forse sospeso ma afferrabile ancora. Un tempo assoluto, nell’etimo “sciolto da” ogni contingenza, e quindi non “occasione”, ma “stato di grazia”, ovvero “beatitudine”. PG è il signore di tale beatitudine, che grazie a lui è possibile toccare.
Egli dunque signoreggia. Rimprovera chi sbaglia, rammenta le regole del gioco a chi le disattende, distribuisce premi e punizioni a chi merita. Ma non è un assolo di tipo teatrale. Non può essere teatro perché il corpo, la componente física di PG (puntuale in Costanzo, Funari, Insinna), non è importante. PG tende invece ad altro: egli si propone quale entitá quasi incorporea, sospeso nel tempo passato mai passato, autonomamente, senza alcuna nostalgia. Nel tempo “analogico”, come ama dire, in cui a vestire un corpo sono stati piuttosto gli altri, gli ospiti, corpi segnati dagli anni trascorsi a cui lui, PG, offre alcuni minuti di beatitudine, di trasfigurazione.
Il momento topico di tale trasfigurazione è il momento in cui l’ospite viene costretto ad ascoltare una canzone appartenente al proprio vissuto. PG si sfila e l’ospite si ritrova tutto solo, con la sua musica che non è più sua, prigioniero del tempo e al tempo stesso fuori del tempo, trasfigurato. L’ospite abita così il tempo assoluto di cui PG è il signore. Mentre la canzone avvolge e si stringe sull’ospite (qualcuno infatti non regge, si alza dalla seggiola e accenna passi di danza), PG pur fuori campo è sempre presente, nei colori e nei suoni dello studio. Fa tutt’uno con l’atmosfera. PG, si mostri o non si mostri, avvolge l’ospite e lo custodisce. Egli, PG, così, è una cosa sola con l’immagine: anzi, egli è l’immagine. Perché tale è il fine ultimo, ossia il dato incontrovertibile che PG e l’immagine siano tutt’uno, tempo assolutamente au
tonomo, pura televisione.
L’effetto Costanzo, l’intimità, l’effetto Funari, la regia, l’effetto Insinna, il baule, smessa ogni dimensione física, si trasfigurano in quella che potrebbe essere definita certamente la Spiritualitá, ma che forse è più preciso dire la Socialitá di PG. Infatti così è. PG istituisce una comunicazione, perché raffigura alla perfezione il sogno della Società Attuale, quello di assorbire e cambiare ogni cosa.
Pierluigi Diaco è esattamente il Sociale che vuole invadere ogni porzione di spazio e assorbire qualsiasi dimensione di tempo. Inghiottendo, come un buco nero, ogni differenza. PG infatti tratta i temi del politico, del sessuale, l’etico e l’estetico al di fuori di ogni dimensione di ambiguità e di possibile dubbio. Tutto viene misurato sul metro del Sociale, di cui PG è il signore, e ogni oscillazione tra correttezza e scorrettezza svanisce.
Femminismo, Me too, etero e omosessualità, il buono e il cattivo, il bene e il male, il bello e il brutto sono ponderati tutti attraverso il Sociale, che trova nel Passato mai passato il proprio indiscutibile sigillo. Il passato, l’Italia degli anni che furono e che devono essere ancora. Nessuna nostalgia, ma l’eternità. L’eternità in chiave di trasfigurazione permanente. Trasfigurare vuol dire cambiare tutto senza mutare nulla. È il pasolinismo, molto autarchico, di PG: il cambiamento deve escludere qualsiasi mutazione.
Questo, infatti, il sogno della Società Attuale, di cui PG è il fantasma, installato in quella distopia assoluta che è la televisione. PG coglie il carattere saliente dell’Attualità: la fine di tutti i dubbi e delle ambiguità, e l’avvento del regno del Passato mai passato, eterno perché mai passato davvero. Il regime del cambiamento dove le cose non mutano mai, perché già mutate da sempre. Ci sta solo da rivelarle.
PG è il signore di tutto ciò, e la televisione la sua dimensione edenica, in cui accade ciò che si deve, ossia la rivelazione. Dalla tv come veicolo immaginario del “piacere” in chiave berlusconiana, alla tv come momento virtuale della “beatitudine”, secondo l’estetica di PG.
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