Fermo immagine su una realtà in movimento
di Augusto Illuminati, da il manifesto, 31 dicembre 2008
Beh, la storia del movimento buono e della dirigenza ideologizzata che suborna la spontaneità concreta, mi sembrava di averla già sentita quarant’anni fa; all’epoca l’invettiva era rivolta dal Pci anche a me e a Flores, do you remember? Commovente risentirla in tempi di Onda anomala. Sbagliata allora, sbagliata adesso. Ma andiamo con ordine.
Il di «Micromega» dedicato all’Onda anomala è veramente buono e onesto, rara eccezione in una panorama fazioso e manipolatorio o distratto di gran parte del sistema mediatico italiano. Vi sono due ricche tavole rotonde con partecipazione di studenti dell’Onda, svariati contributi tematici e soprattutto l’ dettagliata delle tendenze del movimento condotta da Emilio Carnevali e Cinzia Sciuto è di assoluta e ben documentata precisione. Unico punto di dissenso è forse l’accento troppo insistito sulla continuità fra i controcorsi sessantottini di ispirazione francofortese e l’autoformazione odierna, che invece –lo mostra con grande lucidità in una delle tavole rotonde Fabio Gianfrancesco– si caratterizza, più che come didattica alternativa o parallela, per essere «riappropriazione dell’autogestione del percorso formativo e di ricerca», «forma di organizzazione dell’autonomia e della cooperazione sociale all’interno dell’università», meccanismo di scardinamento per inflazione del sistema dei crediti.
Veniamo all’ di Paolo Flores d’Arcais, che si apre riconoscendo apertamente la profonda rottura che l’Onda ha introdotto nel regime italiano quasi putiniano, ben fondato su diseguaglianza, conformismo e paura, e prosegue con una condivisibile preoccupazione per la tenuta di quell’impegno a causa di prevedibili cadute stagionali di tensione. A buon diritto auspica che il movimento sappia legarsi ad altre istanze sociali, di rivolta civile di massa, di passione repubblicana per l’eguaglianza. A ciò farebbe ostacolo l’egemonia della chiacchiera iper-rivoluzionaria e la stesura di documenti chiliastico-eversivi –e potremmo perfino essere d’accordo, se ci fosse in giro qualche sintomo di ciò. Ma non sono addotti esempi (né risultano dalla citata rassegna di Carnevali e Sciuto). Molti invece sono i documenti concreti, i progetti di autoriforma accademica, gli interventi puntuali sulla scuola elementare e secondaria, contro la discriminazione dei figli dei migranti nelle classi-ponte, sulla condizione di borsisti, dottorandi e ricercatori. Allora, dov’è il problema? Eccolo: come nel ’68 (magia dei ricordi) la pretesa espressa nel “vogliamo tutto” e l’ideologia dei vari gruppi eretici del movimento operaio presero il sopravvento sulla concretezza della rivolta e la spensero (io ricorderei pure l’autunno caldo, piazza Fontana e consimili eventi), così oggi «le élites dirigenti di una terza generazione della ‘autonomia’ potrebbero costituire analoga forza paralizzante per l’autonomia reale della rivolta». (Peggio ancora l’intervento di Pierfranco Pellizzetti, che evoca autonomi riapparsi dal Giurassico e propone di curarli a base di coaching, tutoring e canzonette di Battiato). E giù con le tracce nei documenti dell’Onda dello studente-lavoratore post-moderno (veramente circola di più l’aggettivo postfordista, vedi la suddetta inchiesta), della metropoli, della disubbidienza e del general intellect.
Si rischierebbe addirittura l’autismo, l’incapacità di collegarsi con altri movimenti di opinione e pure carsici (immaginiamo gli inabissati girotondi, con il loro devastante approdo alle primarie per Prodi e Veltroni), la dispersione della “sana” carica impolitica che non riuscirebbe a saldarsi alla «rivolta anti-establishment…per la legalità repubblicana».
Esatto. «L’ideologia che egemonizza la rivolta» non va in quella direzione, vuole certo costruire alleanze con altri movimenti, con le organizzazioni sindacali, ma in piena e diffidente indipendenza dai partiti parlamentari e dalla penosa diaspora della sinistra radicale. Nella ricostruzione di Flores, che contraddice la più fondata analisi circolante nel numero, ci sono due aporie dovute proprio dalla divisione naïve fra dirigenza-ideologia e spontaneità. La prima è l’incomprensione della composizione del movimento, che innanzi tutto esprime il rifiuto di una parte consistente del precariato a perpetuare tale condizione. La seconda è la mancata presa d’atto dell’irrappresentabilità strutturale e politica del medesimo, il rigetto non solo dei partiti esistenti, ma del principio stesso di rappresentanza, inadeguato al collasso del sistema lavoro-cittadinanza fordista. Questi sono gli elementi che entrano in gioco in una crisi di lunga durata del capitalismo e ogni corretto richiamo alla concretezza deve farci i conti senza troppe ortodossia ideologiche. L’Onda è politica e non può sottrarsi alle dinamiche contraddittorie che attraversano o modificano ogni spontaneità originaria.
(9 gennaio 2009)
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