Fieg: “Così le querele imbavagliano il giornalismo. Subito la nuova legge”

Giacomo Russo Spena

Fabrizio Carotti, direttore generale della Federazione Italiana Editori Giornali, auspica una rapida approvazione del ddl in materia di diffamazione fermo in Parlamento: “Le azioni legali per esercitare una forte pressione psicologica sui giornalisti sono un fenomeno molto diffuso che limita il diritto di cronaca”. E presenta varie proposte alternative come “la previsione di sanzioni pecuniarie a carico del querelante qualora risulti la malafede o la colpa grave”.

intervista a Fabrizio Carotti

La questione è annosa e ben conosciuta, soprattutto tra gli addetti all’informazione. Le liti temerarie rappresentano una spada di Damocle per i giornalisti nonché una forma di bavaglio. Come ben descrive l’avvocata Catia Malavenda nell’ultimo numero di MicroMega l’uso pretestuoso delle querele per diffamazione è uno strumento che – in un periodo caratterizzato da una grande incertezza lavorativa per molti cronisti – diventa ancora più efficace. Il precariato, infatti, coniugato con il pericolo di dover risarcire di tasca propria, sarebbe un mix capace di fiaccare chiunque. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Carotti, direttore generale della Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) che, da tempo, si batte perché venga introdotta una nuova normativa sul tema.

In Parlamento ci sono due disegni di legge in materia di diffamazione e di lite temeraria di cui Lei ha già auspicato una loro rapida approvazione. Perché considerate urgente per il Paese tale questione?

In assenza di modifiche, la normativa vigente incentiva l’avvio di contenziosi giudiziari per diffamazione, penalizzando in termini economici gli operatori dell’informazione e limitando la libertà di espressione. L’urgenza è testimoniata anche dalla circostanza che il Parlamento discute da ben 4 legislature proposte di riforma per contemperare, nell’ambito della legge ordinaria, diversi diritti di rango costituzionale quali: libertà di espressione, critica e cronaca, da un lato; diritti della personalità e, in particolare, diritto alla “onorabilità”, dall’altro. Il ritardo legislativo costituisce una delle ragioni per cui l’Italia, rispetto alle altre democrazie avanzate, ricopre posizioni molto basse nelle classifiche internazionali in materia di tutela della libertà di espressione.

Ma nello specifico, come le liti temerarie possono mettere in pericolo una libera e corretta informazione?

Lo ha spiegato bene l’AGCOM nella seconda edizione dell’Osservatorio sul giornalismo del marzo 2017: l’esercizio dell’attività giornalistica è pesantemente influenzato da forme di intimidazione di diversa natura, fra le quali rientra anche la crescita esponenziale di azioni legali pretestuose e infondate (c.d. liti temerarie), accompagnate da richieste risarcitorie sproporzionate, aventi come unico fine quello di condizionare l’esercizio della libertà di stampa e limitare così la circolazione delle opinioni su episodi di interesse pubblico.

Ci sta dicendo che la querela, quindi, è una forma di bavaglio e di intimidazione? Si querela il giornalista “scomodo” disincentivandolo a scrivere più alcune notizie, è così?

Esattamente. E ciò è confermato dal fatto che, come ci dimostrano i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, nel 90% dei casi, i processi per diffamazione avviati – proprio perché basati su accuse infondate o, comunque, esagerate – si risolvono con una archiviazione pronunciata anche prima del dibattimento. Tali dati denotano, inoltre, che il fenomeno delle liti temerarie, ossia l’avvio di azioni legali con l’unico scopo di esercitare una forte pressione psicologica sul giornalista in modo da dissuaderlo dal diffondere una determinata notizia, è ampiamente diffuso in Italia e costituisce, complice un quadro legislativo obsoleto, un forte effetto deterrente all’esercizio del diritto di cronaca.

Ad oggi per una querela è prevista finanche la pena detentiva e, come Fieg, vi siete espressi chiedendone l’eliminazione. Quali sono le altre vostre richieste?

L’eliminazione della pena detentiva è di fondamentale importanza e permetterà di adeguare finalmente l’Italia agli standard europei e a quelli dei principali Stati occidentali, dove la pena per i reati c.d. di opinione è soltanto di carattere pecuniario. Oltre a questo, la Fieg ha chiesto la non punibilità dell’autore dell’offesa se si provvede a dichiarazioni o rettifiche, termini di prescrizione più brevi per l’esercizio dell’azione civile di risarcimento e la previsione di sanzioni pecuniarie a carico del ricorrente in caso di liti temerarie. Alcune richieste hanno trovato accoglimento nei ddl in discussione, di cui, pertanto, auspichiamo una rapida e ampiamente condivisa adozione, con due sole avvertenze, su cui richiamiamo l’attenzione del legislatore: estendere l’ambito di applicazione della legge sulla stampa all’intera categoria dei prodotti editoriali, in ossequio al principio di parità di trattamento; e prevedere regole sulla competenza per i delitti di diffamazione che non favoriscano la proliferazione di procedimenti penali per un identico articolo tanti quanti sono i luoghi di residenza delle possibili persone offese.

Avete applaudito anche il passaggio del ddl che prevede la condanna dell’attore al pagamento di una somma non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria, disposizione. Ciò sarebbe un espediente per ridurre le liti temerarie?

Basta osservare l’esperienza di altri Paesi: si tratta di uno strumento già collaudato negli ordinamenti di common law¸ che prevedono da tempo la possibilità di infliggere una condanna al risarcimento del danno esemplare in caso di malafede o temerarietà. Riteniamo che l’introduzione di un simile istituto possa arginare efficacemente il fenomeno delle c.d. liti temerarie: stabilire che, qualora risulti la malafede o la colpa grave, chi agisce in giudizio sarà (certamente) condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria pari, come minimo, alla metà della domanda risarcitoria formulata, eserciterà un forte effetto deterrente all’esperimento di azioni legali presentate nei confronti degli operatori dell’informazione come forma di pressione.

Intanto negli ultimi 10 anni il settore dell’informazione ha subito una crisi senza precedenti in Italia: i ricavi degli editori si sono dimezzati e la pubblicità è diminuita. Assisteremo presto alla fine della carta stampata?

La crisi del settore è, senza dubbio, senza precedenti. Tra il 2007 e il 2018 il fatturato delle imprese editrici di quotidiani e periodici è diminuito di oltre il 55%: nel 2007 i ricavi del settore assommavano ad oltre 7 miliardi di euro, nel 2018 hanno superato di poco i 3,1 miliardi di euro. Numeri davvero importanti che derivano anche da una crisi economica che ha investito in maniera pesante il nostro Paese e che ha ridotto notevolmente risorse e reddito e, conseguentemente, la capacità di investimento in pubblicità da parte delle imprese e di spesa nell’acquisto di informazione da parte dei cittadini. Alla crisi economica si è aggiunta la trasformazione epocale che attraversa l’editoria giornalistica, investita dalle conseguenze dell’innovazione digitale che ha mutato in profondità non solo prodotti e processi del sistema di creazione e diffusione delle notizie, ma gli s
tessi rapporti tra cittadini e mezzi di informazione. La crisi è senza precedenti, ma non porterà alla fine della carta stampata che ha caratteristiche e peculiarità rispetto ad altri mezzi. Mi riferisco in particolare alla professionalità, alla credibilità e all’autorevolezza delle notizie, delle opinioni e delle informazioni che veicola, che la rendono uno strumento indispensabile alle società democratiche.

Qual è il rapporto col governo? E che ne pensa del lavoro svolto finora da Crimi e del conseguente taglio al finanziamento pubblico all’editoria?

Il dialogo con il governo si basa sulla assoluta disponibilità alla collaborazione, nella consapevolezza che è indispensabile creare condizioni di contesto che rendano – con regole e risorse adeguate – possibile il superamento della crisi del settore. Il governo con il Presidente del Consiglio Conte e il sottosegretario Crimi hanno avviato gli Stati generali per una valutazione complessiva della situazione del settore ed abbiamo contribuito al dibattito con le nostre proposte. Abbiamo però ribadito la necessità che alcune misure siamo immediatamente attivate: il credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari è uno strumento che ha dimostrato la sua utilità e confidiamo che, come recentemente annunciato dal sottosegretario Crimi, sia reso strutturale e finanziato.

Ormai la professione giornalistica è fondata sempre più sul precariato e sul lavoro sottopagato – pensiamo agli articoli retribuiti 10 euro o alla mancanza di una legge sull’equo compenso – su questo la Fieg fa autocritica per alcune scelte passate? Anche la precarietà dei cronisti – costretti a scrivere innumerevoli articoli per racimolare uno stipendio mensile – porta ad un giornalismo di meno qualità, non trova?

La costruzione di un prodotto editoriale richiede oggi anche nuove professionalità. Le aziende editoriali hanno oggi una capacità limitata di assorbire questa nuova occupazione, proprio a causa della crisi di cui abbiamo parlato. Il ricambio occupazionale nelle redazioni va favorito attraverso politiche di turn-over per cui abbiamo chiesto politiche specifiche per il settore. Quanto, poi, alla legge sull’equo compenso, ricordo che il settore editoriale è destinatario di una specifica normativa, che ha comportato la costituzione di una commissione governativa partecipata anche dalle Parti Sociali che ha stabilito i criteri per l’equo compenso dei collaboratori. Questa delibera della commissione è stata annullata in sede giurisdizionale, ma ricordo che l’accordo contrattuale sottoscritto dagli editori con il sindacato dei giornalisti è perfettamente vigente. Noi quell’accordo lo difendiamo.

(16 maggio 2019)







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