“Figurime” satiriche contro il potere
Filippo Ceccarelli
Pubblichiamo la prefazione di Filippo Ceccarelli al volume “L’album delle figurime. Caricature e ritratti in rima della casta nefasta” di Carlo Cornaglia, in questi giorni in libreria per Aliberti | Le rime di Carlo Cornaglia su MicroMega
A volte la poesia è un ronzio, un zzzzzzzz che accompagna e interrompe le proclamazioni del potere mostrandone il suono vuoto e ridicolo. Altre volte la poesia è come tarlo, in zoologia Anobium punctatum, una creaturina pervicace che scava minuscole gallerie nel legno e che pure nella vita pubblica, con inavvertito lavorio, perfora le impalcature dell’arroganza e della vanità.
Ma la poesia satirica, la si voglia o meno comprendere nell’ordine delle cose civili, è anche un frinire insistente di cicale e ammonitore di grilli; è una farfallona pelosa che la notte d’estate ruota attorno al lampadario del dubbio e del sospetto; è una mosca e insieme un moscone che salta al naso, un ragno porta-guadagno, una lucciola sfuggita agli occhi di Pasolini e ritrovata da Sciascia, una formica rossa che ti punge il sedere, uno scarabeo stercorario, una cavalletta in modalità piaga biblica anti-faraone, una vespa entrata in automobile, un formidabile coleottero impollinatore, un millepiedi che cammina a testa in giù, una zanzara che non fa dormire, e sciafff, inutile manata sull’orecchio…
Non se la prenda, l’ingegnere e poeta Cornaglia, se nell’introdurre i suoi ultimi versi si richiamano qui soggetti e suggestioni appartenenti al regno animale. È che le sue rime, nel gran concerto del discorso pubblico, finiscono per riecheggiare le traiettorie, i rumori, le funzioni e le indispensabili missioni degli insetti.
La tiritera dispettosa. La meraviglia dell’ordine che scorre. La laboriosità diligente e la puntura irritante. Perfino la generazione di indizi, giudizi, credenze, rassegnazione; oltre alla formidabile risorsa, offerta dai fasti dell’entomologia, di lasciarci osservare in piccolo ciò che nasconde ma in fondo rivela leggi generali, spicchi di senso, barlumi di verità.
Sono qui appresso raccolte poesie su di un passaggio che non è solo e semplicemente politico.
Vi figurano ritratti di personaggi che è facile identificare con la fine della tarda era berlusconiana. Poi figure segnalatesi nella fase successiva, quella che a partire dai governi Monti e Letta apre la via al trionfo del fenomeno Renzi e della classe dirigente renziana, su cui l’autore si esercita come se sapesse già in quale ingloriosa maniera quella stagione di prepotente ebbrezza sarebbe andata a schiantarsi.
Al leader rottamatore, fin da giovane significativamente appellato “Il Bomba”, si deve in buona parte la imprevista affermazione elettorale e poi il governo dei novissimi, ai quali senz’altro Renzi assomiglia per cultura, linguaggio, costume; fino a dar vita a un triangolo di cui fanno parte “Giggino” e “il Capitano”, alias Di Maio e Salvini, con l’eccezionale partecipazione dell’acchittatissimo professore e presidente Conte, autonominatosi “avvocato del Popolo”. E qui siamo giunti al presente del presente.
Si tratta dunque di anni insieme buffi e drammaticamente smisurati che accompagnano la traballante sopravvivenza dei vecchi berlusconiani, il drammatico flop dei graziosi democrats e l’esordio dei ragazzotti del Cambiamento, prova vivente del motto secondo cui al peggio non c’è mai fine.
Nella rotolata giù per la china, tale ciclo storico si caratterizza per l’evidente processo di miniaturizzazione della classe dirigente. A questo punto l’entomologo Cornaglia, con il dovuto corredo di retino, etere e spilloni, cattura, ferma, narcotizza e appende in visione, nella sua ormai vasta collezione di poetiche bacheche, i protagonisti dell’immiserimento della vita pubblica.
Messe sotto vetro e scandite in pressante cantilena, le loro avventure riecheggiano un che d’infantile; presidenti e ministri sono condannati a muoversi come bimbi capricciosi; e più pretendono rispetto, più si atteggiano e si pavoneggiano, più la poesia li rende simili a figurine, macchiette, caricature, maschere da fumetti e cartoni animati.
Rimpiccioliti appaiono anche i due grandi generi della tradizione artistica (e politica) italiana: la commedia e il melodramma, sghignazzi e lacrime, scambi di persone e congiure, euforie e sospiri. Gli ultimi e penultimi potenti sono qui rappresentati alla luce di velleità per lo più incomprensibili, inutili sforzi, carriere impreviste. Sulla scena i potenti impotenti si muovono a scatti e passettini pronunciando verità penultime alle quali loro stessi lasciano intendere che non è più necessario credere. Attorno a loro compaiono i soliti esemplari che animano i salottini e le anticamere del Palazzo: i sopravvalutati, gli scalpitanti, i “carini”, gli inesorabili, i travestiti, i soliti mostri.
Il poeta di satira e di varia insetteria sfoglia cronache di giornale e va a rovistare nel secchione della spazzatura trovando lì dentro scarti, detriti, rifiuti, lacerti, bucce e semi di melone, rasoi da barba Bic usati, fondi di caffe, kleneex appallottolati, una quantità di materiali igienicamente sconsigliabili che pure pensatori di un secolo fa designarono gli “stracci della storia”: oh, quanto utili a mostrare il volto più appariscente e al tempo stesso più rovinoso del potere!
Si ritroveranno in queste pagine molte istruttive vicende e personaggi non per caso, ma anche non per nulla dimenticati: le peripezie di uomini e mezzi pubblici messi in atto per recuperare la bici da corsa del signor ministro dell’Interno; i benefici ottenuti da una signora che per le sue comprensibili benemerenze si è meritata il titolo di “Ape Regina”; il giro di appartamenti distribuiti secondo occhiuti criteri a un certo giro di potenti dai reverendi padri di Propaganda Fide; il bar della Asl di provincia finito a tutti i costi nella disponibilità dello zio della ministra linguacciuta; la rabbia della graziosa candidata trombata per le defaillance dell’agenzia pubblicitaria del giglio magico; l’aspirante onorevole che si presenta agli elettori con 22 (ventidue) capi d’imputazione; e le feste dei maiali, i pellegrinaggi a Medjugorje, la sguattera guatemalteca, i generali dei carabinieri presenti alle braciolate dei babbi presidenziali.
E altri e altro.
Il cicalio, nel frattempo, è entrato nelle orecchie della società. Cri-cri-cri-cri-cri-cri… Niente, è Cornaglia che compone. Ottonari, endecasillabi, ricostruzioni in rima di fatti realmente accaduti. “Fatelo tacere!” potrebbe intimare il governante insofferente. Ma non c’è modo di mettere a riposo quel ridente malanimo, quella lieta anarchia, quel bonario nichilismo, quel brusio rasoterra, quel volteggio a mezz’aria. Non c’è modo di arrestarlo perché la poesia ronza e scava, e perché il potere non cambia mai.
(4 luglio 2019)
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