Era ora. Ogni limite era stato sorpassato, da tempo. Eppure ogni giorno doveva registrare una nuova follia censoria. Alla fine, su iniziativa di Mark Lilla, 150 tra i più autorevoli intellettuali americani, di diverse sensibilità politiche e culturali, hanno intonato un sacrosanto “Basta!”. MicroMega ha più volte stigmatizzato il carattere reazionario del “politically correct”. Si può anzi dire che tale critica costituisca parte del suo DNA, visto che nel secondo numero (primavera 1986) nel lungo saggio programmatico filosofico-politico “Il disincanto tradito”, criticava la “rivendicazione alla differenza” da parte di “entità collettive perseguitate o emarginate: negri, operai, donne, ebrei, omosessuali”, le cui lotte erano sacrosante “contro i ceti ‘omologati’ e il loro conformismo”, ma il cui richiamo a una “appartenenza” annullava la loro realtà di individui critici e giustamente in lotta, di modo che “spesso, manifestano intolleranza nell’esaltare e custodire la propria ‘differenza’ collettiva: le critiche sono ammesse, entro limiti per altro angusti, solo se provenienti dall’interno della collettività. Formulate dall’esterno, vengono aprioristicamente respinte come ‘aggressione’, ‘razzismo’, antisemitismo’, maschilismo’”.
Sono passati esattamente 34 anni, le cose non hanno fatto che peggiorare, una “sinistra” che bolla di “islamofobia” ogni sacrosanta critica all’islam e al velo sessuofobico e di sudditanza delle donne, o che ostracizza grandi classici dai corsi universitari perché figli del loro tempo (in Shakespeare troverete misoginia, antisemitismo, strali contro la democrazia e quant’altro, in dosi da cavallo, per non parlare di altre decine di “immortali” che non dovrebbero mai mancare nel canone universitario) è solo una sinistra-harakiri, che finisce per infangare o rendere sospette anche le lotte più sacrosante. E dunque fornisce quotidiane munizioni proprio alla reazione. Un tema che su MicroMega riprenderemo e approfondiremo, perché cruciale.
Paolo Flores d’Arcais
Lettera aperta sulla giustizia e la libertà di dibattito
Le nostre istituzioni culturali stanno affrontando un momento difficile. Le imponenti proteste per la giustizia razziale e sociale stanno portando a sacrosante richieste di riforma della polizia, insieme ad appelli più generali per una maggiore uguaglianza e inclusione nella nostra società, anche e soprattutto nell’istruzione superiore, nel giornalismo, nella filantropia e nelle arti. Ma questo indispensabile redde rationem ha avuto anche l’effetto di intensificare un insieme di atteggiamenti morali e impegni politici che tendono a indebolire le nostre norme di dibattito aperto e tolleranza delle differenze e a favorire il conformismo ideologico.
Applaudiamo la prima di queste due tendenze, ma stigmatizziamo con forza la seconda. Le forze dell’illiberalismo stanno crescendo in tutto il mondo e hanno un potente alleato in Donald Trump, che rappresenta una reale minaccia per la democrazia. Ma non bisogna lasciare che la resistenza si irrigidisca nel dogma o nella coercizione, che già adesso vengono strumentalizzati dai demagoghi di destra. L’inclusione democratica che vogliamo potrà essere realizzata solo se ci schiereremo in modo chiaro contro il clima di intolleranza che si è creato da tutti i lati.
Il libero scambio di informazioni e di idee, la linfa vitale di una società liberale, incontra sempre più limitazioni. Se dalla destra radicale ormai ce lo aspettiamo, l’atteggiamento censorio si sta diffondendo ad ampio raggio anche nella nostra cultura: un’intolleranza verso le opinioni contrarie, la moda della gogna pubblica e dell’ostracismo e la tendenza a dissolvere questioni politiche complesse in una certezza morale accecante.
Noi affermiamo l’importanza delle opinioni contrarie, espresse con forza e anche in modo tagliente, da qualunque parte provengano. Ma oggi è fin troppo comune sentire appelli a immediate e severe ritorsioni in risposta a trasgressioni percepite della parola e del pensiero. Cosa ancora più inquietante, esponenti istituzionali, in uno spirito di controllo dei danni figlio del panico, stanno comminando punizioni frettolose e sproporzionate invece di procedere a riforme meditate: capiredattori licenziati per aver pubblicato articoli controversi, libri ritirati dal commercio per presunte falsità, giornalisti diffidati dallo scrivere su determinati argomenti, professori indagati per aver citato in classe opere letterarie, un ricercatore licenziato per aver diffuso uno studio accademico sottoposto a revisione inter pares, leader di organizzazioni cacciati per quelli che a volte sono solo errori maldestri.
A prescindere dalle argomentazioni specifiche di ognuno di questi episodi, il risultato è un costante restringimento dei confini di quello che si può dire senza timore di incorrere in ritorsioni. Stiamo già pagandone il prezzo, sotto forma di una maggiore avversione al rischio fra scrittori, artisti e giornalisti, che temono di perdere il lavoro se si discostano dal consenso generale, o addirittura se non esprimono il loro assenso con sufficiente entusiasmo. Questa atmosfera soffocante finirà per nuocere alle cause più importanti della nostra epoca. La limitazione del dibattito, non importa se a opera di un governo repressivo o di una società intollerante, danneggia invariabilmente quelli che non hanno potere e restringe la capacità di partecipazione democratica di tutti.
La strada per sconfiggere le idee cattive è smascherarle, argomentare e persuadere, non cercare di metterle a tacere o sperare che scompaiano. Rifiutiamo qualsiasi falsa scelta fra giustizia e libertà, che non possono esistere l’una senza l’altra. Come scrittori, abbiamo bisogno di una cultura che ci lasci spazio per sperimentare, assumerci dei rischi e anche commettere errori. Dobbiamo preservare la possibilità di esprimere un dissenso in buonafede senza subire conseguenze drammatiche sul piano professionale. Se non difenderemo noi il fondamento stesso del nostro lavoro, non dobbiamo aspettarci che siano i cittadini o lo Stato a difenderlo per noi.
(da Harper’s magazine, traduzione di Fabio Galimberti da Repubblica)
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