Fine-vita, don Vitaliano: disumana e antievangelica l’ingerenza della Chiesa gerarchica
“C’è un tempo per nascere e un tempo per morire”
don Vitaliano della Sala, da www.donvitaliano.it/
La vicenda terrena di Eluana Englaro, con il suo triste epilogo, le strumentalizzazioni, il chiasso, gli insulti, i ritardi e le ipocrisie, dovrebbe far vergognare molti: tutti quelli che non hanno saputo rispettare il silenzio e non hanno saputo viverla con rispetto, ma l’hanno ridotta all’ennesimo scontro tra schieramenti politici. E i vertici della Chiesa cattolica italiana, anche in questa vicenda, hanno dato una contro testimonianza evangelica, con il loro modo sguaiato e disumano di affrontare quello che, purtroppo è diventato un “caso”, dimenticando che si giocava sulla pelle di una persona indifesa. Lo confesso: non ho certezze sulla vicenda, non so quando una vita può considerarsi conclusa, non so se l’alimentazione forzata sia una terapia o un inutile e innaturale accanimento terapeutico. So che nemmeno la scienza e la medicina hanno potuto pronunciare una parola certa. Perciò mi ha infastidito l’atteggiamento di chi proponeva certezze assurde e tentava di imporle con “violenza” agli altri. Tra questi le gerarchie vaticane e alcune frange di cattolici che rasentano il talebanesimo.
Da più parti, per fortuna, è giunta discreta la richiesta di un dibattito all’interno della Chiesa che rimetta al centro la persona, una riflessione che tenga conto dei cristiani come fedeli ma anche come cittadini rispettosi della Costituzione, così come il mettere da parte inutili e antievangeliche crociate.
Tanto più se si tiene conto di una regola morale che ho appreso, non attraverso Radio Radicale o su riviste bolsceviche, ma durante gli studi di teologia; perciò sono andato a rivedere gli appunti del corso di Morale e l’ho ritrovata: “Nessuno è obbligato ad usare mezzi non naturali per mantenersi in vita”. Chiarissima e pronunciata in una pontificia facoltà teologica.
Della Chiesa condivido ovviamente il sostegno alla vita e la sua difesa, ma non mi è piaciuto il modo sguaiato con cui la Chiesa ha posto il problema, imponendo e giudicando mentre avrebbe dovuto proporre i propri valori e testimoniarli senza entrare nell’agone politico, senza fare ingerenza. Il Vangelo è una proposta e non si impone mai. Penso che il principio generale della difesa della vita, che i cristiani debbono sempre riaffermare, vada applicato caso per caso e non deve diventare una ossessione con cui si arriva a «torturare» un ammalato terminale.
Il disegno di legge del senatore Calabrò, lascia forti dubbi sulla possibilità delle persone, delle famiglie e dei medici di essere coinvolte nelle decisioni che le riguardano: c’è da augurarsi che, passato il tempo delle stupide e inutili contrapposizioni, si trovi un equilibrio tra le parti. Nella vicenda Englaro siamo stati costretti dentro un dibattito politico che mi ha amareggiato. Non sono state affatto edificanti le squallide scene dei movimenti per la vita che hanno parlato di omicidio e di boia, di fronte alla sofferenza delle persone. L’atteggiamento giusto sarebbe piuttosto quello di ascoltare prima e cercare di capire la sofferenza proprio come faceva Gesù Cristo.
Dice don Andrea Gallo di Genova che “è sempre un’aberrazione trasformare in legge una convinzione religiosa. La Repubblica italiana non è una teocrazia e deve restare laica. I toni da inquisizione azzerano il messaggio cristiano. La democrazia non può fondarsi sulla fede ma su libertà, giustizia e diritti individuali. La legge del Pdl e dei vescovi è una violenza, un’offesa alla memoria di Eluana. Nella Chiesa il primato della coscienza personale è la base della dottrina e chi lo nega è un eretico”.
Paolo VI nel 1970 indirizzava ai medici cattolici una lettera nella quale scriveva: “Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita”.
Si dirà: erano altri tempi e c’erano altre sensibilità! Penso invece che questo bisognerebbe recuperare. Questo dovrebbe essere il contributo che con rispetto, discrezione e semplicità i cristiani dovrebbero proporre a quanti, pur non condividendo la loro fede, desiderano comunque che la società ritrovi un’etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà.
(10 marzo 2009)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.