Fine-vita, “Io sacerdote, che da anni assisto mio padre, vi dico…”

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di don Roberto Fiorini

Sembra che tra Vaticano e governo italiano ci sia “identità di vedute” sulla legge in cantiere che riguarda il testamento biologico. Questo traspare dalle dichiarazioni del presidente Berlusconi al termine della festa con le più alte cariche vaticane e della Cei per commemorare gli 80 anni del Concordato: “Assoluta identità di vedute – dichiara Berlusconi – da parte di tutti i rappresentanti della Santa Sede: c’è un riconoscimento entusiasta che mai si era verificato un clima come quello attuale, con la soluzione di praticamente tutti i problemi”. Va bene la legge sul testamento biologico, a patto che escluda l’autodeterminazione del paziente.

Ma che senso ha un testamento al quale viene sottratta al testante qualunque possibilità di scelta vera su quello che garantisce l’art. 32 della Costituzione, ovvero il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute? Togliere l’autodeterminazione vuol dire che un trattamento può esser imposto contro la volontà dell’interessato o di chi lo rappresenta. Imposto anche con la forza. Analogamente a quanto avviene con i malati psichiatrici in fase acuta, quando è previsto il trattamento sanitario obbligatorio.

Naturalmente la risposta pronta, cavata dal cilindro, è che in questo caso si tratterebbe solo di fornire alimentazione ed idratazione: quindi non sarebbe un trattamento sanitario, ma una somministrazione “naturale”, come è naturale mangiare e bere. Ovviamente si tace che attraverso il sondino o la PEG, si fanno passare notevoli quantità di farmaci, in rapporto alle patologie da curare. E si finge di ignorare che il sondino deve essere periodicamente cambiato, togliendo quello invecchiato che si sta ostruendo e impiantandone uno nuovo, attraverso procedimenti che non hanno proprio nulla di naturale e che devono esser attuati da un medico esperto o da un infermiere preparato e sotto controllo medico.

Da oltre sette anni a casa mia assisto mio padre con sondino a permanenza e so bene che cosa questo significa. Io stesso, che sono infermiere, dipendo dal buon cuore di un mio amico medico che viene da Verona quando occorre sostituire il sondino invecchiato. E so bene la fibrillazione che ti prende quando il sondino si ostruisce e devi ad ogni costo farlo diventare pervio, perché è l’unica via, una via artificiale, per introdurre le sostanze.

Mi sembra davvero osceno giocare in questo modo con le parole, manipolarle per aggirare la Costituzione italiana che prevede sempre il consenso informato e libero per i trattamenti sanitari.

Desidero aggiungere una cosa importante, soprattutto per chi è interessato al pensiero della chiesa.

L’impostazione del problema sul testamento biologico come in questi ultimi tempi viene presentato in Italia dai vertici vaticani e della Cei è ampiamente divergente rispetto a quanto è stato elaborato nella vicina Germania. Le chiese cattolica e protestanti insieme, nei loro vertici istituzionali (card. Karl Lehman, Presidente della Conferenza episcopale tedesca, cattolico, e Manfred Kock, presidente delle Chiese Evangeliche in Germania) nel 2003 hanno pubblicato un secondo documento che rivedeva il precedente del 1999, nel quale tra l’altro si dice:

“Le vostre Chiese offrono a voi, loro membri, e a tutti coloro che sono attivi nel campo della sanità, un’assistenza pastorale. Questo vale in modo particolare per decisioni gravi sul finire della vita. Nulla deve rimanere intentato per rendere possibili alle persone una vita in pace, dignità e autodeterminazione fino al giungere della morte”.

Si propone, inoltre, un formulario con l’invito ad esprimere “le disposizioni assistenziali-sanitarie del paziente cristiano:

“Per il caso in cui io non possa dare forma o esternare la mia volontà, dispongo quanto segue:
Non mi possono essere messe in atto misure intese a prolungare la vita se viene constatato, secondo scienza e coscienza medica, che ogni provvedimento per il prolungamento della mia vita è privo di prospettiva di miglioramento clinico e solamente ritarderebbe la mia morte.
In questo caso assistenza e trattamenti medici, come anche cure premurose, devono essere diretti al lenimento delle conseguenze del male, come p. es. dolori, agitazione, ansia, insufficienza respiratoria o nausea, anche se la necessaria terapia del dolore non esclude un accorciamento della vita.
Io voglio morire con dignità e in pace, per quanto possibile vicino e a contatto dei miei congiunti e delle persone che mi sono prossime e nel mio ambiente familiare.
Desidero assistenza spirituale. La mia confessione è …..”
Segue poi la parte nella quale il firmatario indica la persona di fiducia alla quale attribuisce la procura.

Questa posizione non è una stranezza tedesca, ma è in linea con quanto il catechismo della chiesa cattolica afferma al paragrafo 2278, dove, a proposito dell’interruzione di procedure mediche si afferma: “Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.

Proprio perché il baricentro della decisione riposa sul singolo paziente, naturalmente in alleanza con le competenze mediche, è ovvio che da situazioni analoghe possano scaturire opzioni diverse.

In tutti i casi, l’amputazione più crudele a cui può venire assoggettata una persona è quella di procedere sul suo corpo prescindendo o opponendosi alla sua facoltà di decidere sul proprio destino.

Termino richiamando il recente documento della Società italiana di Cure Palliative che, riferendosi al disegno di legge afferma che esso “ci imporrebbe, in ambito palliativo, di attuare pratiche contrarie al bene dei pazienti” e conclude con un appello: “chiediamo alla politica di ripensare il suo ruolo e di fermarsi di fronte a una decisione che potrebbe avere delle ricadute concrete e dolorose sulla fine, naturale e faticosa, di tante persone come conseguenza di malattie per cui purtroppo non c’è guarigione, ma per cui rimane possibile un percorso di cura che sappia dare un senso anche agli ultimi giorni”

(10 marzo 2009)



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