Fine vita, la Chiesa contraddice se stessa
di don Raffaele Garofalo
Uno Stato laico deve garantire le libertà di tutti e non obbligare nessuno a sottostare a principi che sono oggetto di libera scelta dei singoli.Il disegno di legge sul testamento biologico in approvazione in Parlamento sta suscitando un animato dibattito tra gli schieramenti politici e all’interno di essi. La gerarchia ecclesiastica ha posto il suo netto divieto alla sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiali mettendo in evidenza rilevanti contraddizioni tra le recenti posizioni che assumeva a riguardo e i documenti ufficiali dello stesso Magistero della Chiesa. Nel 1996 il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute pubblicava la Carta degli Operatori Sanitari in cui si sosteneva che “alimentazione e idratazione” dovessero ritenersi delle “cure”come le altre e, in quanto tali, legittimamente rimovibili quando si rivelassero “gravose”per l’ammalato. Nelle recenti posizioni della gerarchia ecclesiastica tale clausola è scomparsa e, in conformità al disegno di legge presentato in Parlamento, “alimentazione e idratazione” non sono più considerate “cure” ma “forme di sostegno vitale”. Il paziente dovrebbe sottostare, una volta approvata la legge, al trattamento anche nel caso esso dovesse rivelarsi “gravoso” fino a trasformarsi in una forma di tortura. Al punto 119 la Carta afferma: ” La medicina odierna dispone di mezzi in grado di ritardare artificialmente la morte, senza che il paziente ne riceva un reale beneficio. E’ semplicemente mantenuto in vita o si riesce solo a protrargli di qualche tempo la vita, a prezzo di ulteriori e dure sofferenze. Al punto 121, in perfetto parallelo con l’art. 32 della Costituzione Italiana, si legge: “Per il medico e i suoi collaboratori non si tratta di decidere della vita o della morte di un individuo. Si tratta semplicemente di essere medico, ossia di interrogarsi e decidere in scienza e coscienza la cura rispettosa del vivere e del morire dell’ammalato a lui affidato. Questa responsabilità non esige il ricorso sempre e comunque ad ogni mezzo. Può anche richiedere di rinunciare a dei mezzi, per una serena e cristiana accettazione della morte inerente alla vita. Può anche voler dire il rispetto della volontà dell’ammalato che rifiutasse l’impiego di taluni mezzi”. La Carta, che afferma quanto riportato, è tuttora compresa tra i documenti della Pontificia Accademia per la Vita e si colloca quindi all’interno dell’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica. Nella stessa direzione si muove un documento emanato dalla Chiesa cattolica tedesca, sottoscritto anche dalle Chiese evangeliche, nell’intento di dare legittimazione al disporre del proprio fine vita in caso di coma profondo. In “Disposizioni sanitarie del paziente cristiano” si evidenzia la differenza tra accanimento terapeutico, eutanasia attiva e eutanasia passiva. Al testo hanno aderito più di tre milioni di persone. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, inoltre, al comma 2278 recita: ”L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”. Sono parole dell’allora cardinale Ratzinger. In base a quanto riportano i documenti citati molti cattolici avvertono il dovere di fare appello alla Chiesa, e soprattutto allo Stato che emana leggi vincolanti per tutti, perché garantiscano ai cittadini la “libertà” loro dovuta di poter stabilire, tramite testamento biologico, le personali volontà riguardo al fine vita, senza obblighi né divieti per nessuno. Nel rispetto delle coscienze individuali.
(16 marzo 2009)
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