Fini e la giustizia

MicroMega

di Gianni Barbacetto, da societacivile.it, 10 gennaio 2009

Il presidente della Camera Gianfranco Fini propone sei punti per «riformare la giustizia». Subito accolti con entusiasmo da alcuni esponenti dell’opposizione. Effettivamente hanno un’aria diversa dai toni golpisti di Berlusconi e dei suoi ultrà. Ma vediamoli uno per uno.

1. «È auspicabile che le modifiche normative scaturiscano da un ampio confronto parlamentare tra le forze politiche e tutti gli operatori del settore» e non siano «frutto di situazioni contingenti», né siano reazione «alle ultime controverse vicende giudiziarie».

2. Ci sono «lungaggini e disfunzioni» e «un crescente sentimento di sfiducia nei confronti della giustizia»: per forza, tre quarti dei politici, presidente del Consiglio in testa, la delegittimano da 15 anni. La smettano immediatamente. E poi procedano rapidamente alla riforma che serve davvero: dare più mezzi e più uomini al sistema giudiziario e rendere più rapidi i processi.

3. «Il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale» è un valore, «risulta però svuotato della sua effettività». Quindi si facciano depenalizzazioni e poi «il Parlamento, sentita la Procura generale della Cassazione» fissi «i criteri per individuare i reati ai quali dare priorità di trattazione». Ma non è vero che oggi ci sia la «discrezionalità dei pm»: per tutti i reati di cui giunge notizia ai pm si apre un fascicolo, si deve aprire un fascicolo. E il gip deve, a indagine compiuta, dare le sua valutazione: anche obbligando il pm a riaprire l’indagine, se non è convinto che si debba archiviare. E poi: se anche fosse vero (e non lo è) che oggi i pm si possono imboscare le notizie di reato, visto che l’obbligatorietà dell’azione penale è un valore, allora la riforma da fare non è quella di rendere lecito l’imboscamento, ma quella di obbligare a rispettare l’obbligatorietà, dando ai magistrati i mezzi necessari.

4. Riformare il Csm per superare «in modo definitivo quelle nefaste logiche correntizie che lo hanno finora penalizzato e screditato». D’accordo, ma se poi la riforma del Csm, per colpire la sua "politicizzazione", è l’aumento dei membri di nomina politica, allora è una presa in giro.

5. La separazione delle carriere. «È necessario scindere i ruoli, ma senza che ciò comporti la subordinazione del magistrato requirente ad altro potere che non sia quello giudiziario». Le funzioni sono già state separate. Andare oltre significa sottomettere il pm all’esecutivo. Quanto al «periodo di tirocinio sotto la guida di un magistrato esperto», c’è già: hanno detto a Fini che prima di avere una propra sede i magistrati fanno un periodo da uditori presso magistrati esperti?

6. Le intercettazioni. «Sono e devono restare uno strumento indispensabile di ricerca della prova dei reati. (…) Escludere la corruzione getterebbe un discredito sulla politica devastante per la credibilità della democrazia parlamentare». E va bene. Ma poi Fini se la prende con «la gogna mediatica». L’informazione non è gogna, è diritto dei cittadini a conoscere le logiche dei poteri e le malefatte dei potenti. I divieti di pubblicazione valgono quando bisogna tutelare l’indagine. Per tutelare l’immagine, l’inquisto ha altre strade: per esempio non commettere reati.

(13 gennaio 2009)



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