Raffaele Fitto (FI) – Ministro per i Rapporti con le Regioni
Anagrafe Nato a Maglie (Lecce) il 28 agosto 1969.
Curriculum Ex presidente della Regione Puglia; 1 legislatura (2006).
Segni particolari Figlio d’arte: il padre Totò era già stato presidente della Regione Puglia con la Democrazia cristiana.
Fedina penale Indagato a Bari per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti, una richiesta di cattura (a domicilio) inoltrata dal giudice il 20 giugno 2006 e respinta da Montecitorio.
L’accusa riguarda presunte tangenti versate a Fitto da Giampaolo Angelucci, re delle cliniche private romane e pugliesi, che gli avrebbe allungato 500mila euro per la sua lista alle elezioni regionali del 2005 (poi perdute contro Nichi Vendola) in cambio di favori illeciti per vincere l’appalto da 198 milioni che gli ha consegnato le undici residenze sanitarie «assistite» dalla Regione. Al termine dell’indagine, i giudici di Bari dispongono gli arresti domiciliari per Angelucci e Fitto. Il quale però si è messo al riparo, facendosi eleggere deputato appena in tempo. Davanti alla giunta per le autorizzazioni a procedere, lo stesso Fitto chiede di dare l’ok al proprio arresto; ma la giunta boccia la richiesta dei giudici (e dell’interessato) all’unanimità.
Il 19 luglio 2006 la questione passa all’aula della Camera.
Che, per legge, non può bloccare i provvedimenti restrittivi a carico degli eletti, salvo che si dimostri un fumus persecutionis, cioè un intento di persecuzione politica da parte dei giudici. Nessuno, nemmeno nel caso di Fitto, si prende la briga di dimostrarlo. In compenso si consente al candidato alle manette di attaccare i magistrati in pieno Parlamento e di riscrivere le indagini a proprio uso e consumo, senza che i pm e il gip possano replicare. Fitto spiega ai colleghi che quei 500mila euro erano un contributo «regolarmente registrato e speso per la campagna elettorale». Nessuno ribatte che, se quei soldi sono tangenti in cambio di favori, non basta registrarli e spenderli «regolarmente» per renderli leciti: le mazzette sono vietate anche se iscritte a bilancio. Alla fine ben 457 deputati (su 462 presenti) si bevono la sua orazione come ambrosia celestiale e votano no all’arresto. Solo quattro si astengono, solo uno (Antonio Borghesi dell’Idv) vota a favore. Non contenti, i deputati di destra e di sinistra salutano il miracolato con un lungo, liberatorio applauso bipartisan. Che diventa una vera e propria standing ovation quando Fitto si scaglia contro il presunto «uso abnorme delle intercettazioni, che distrugge persone e famiglie». Il verde Boato si associa: «La gogna mediatica anticipa la condanna a prescindere dall’esito del processo, l’utilizzo abnorme delle intercettazioni e il protagonismo indebito di qualche magistrato vanno a danno del giusto processo». Sergio Mattarella della Margherita corre a stringere la mano a Fitto, mentre Salvatore Tomaselli, deputato brindisino dell’Ulivo, lo abbraccia con calore. Casini sollecita il neopresidente Bertinotti ad attivarsi per «tutelare l’attività dei parlamentari» dai controlli illegali «di certa magistratura». A nessuno viene in mente che Fitto è deputato da soli tre mesi: fino ad aprile era un cittadino qualunque, privo di immunità, dunque chi l’ha intercettato (ben prima della sua elezione) non ha commesso alcun «abuso» e non c’è un bel nulla da tutelare. Eppure Bertinotti, su richiesta dell’Udc, invia gli atti della seduta al Csm, perché assuma «ogni eventuale iniziativa» nei confronti dei magistrati che hanno osato tanto.
Il Csm risponderà che i giudici di Bari hanno agito più che correttamente.
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