Francesco Marchesi

MicroMega

Studente di Filosofia, Università di Pisa

1) Una delle accuse che vengono rivolte dai sostenitori della “riforma” Gelmini (ammesso che di riforma si possa parlare) al movimento di protesta è quella di rappresentare interessi corporativi ed esprimere istanze conservatrici.
E’ una critica fondata secondo te? Se si/no perché? Qual è l’idea di scuola e di un’università che questo movimento esprime? Quali sono le direttici di riforma che – se pur confusamente, come non potrebbe essere diversamente visto il carattere multiforme e composito del movimento – questa protesta tende a delineare?

E’ paradossale che i sostenitori della “riforma” Gelmini accusino chi dissente di difendere logiche corporative o baronali: i tagli prevedono infatti tra le altre cose, una riduzione al 20% del Turn over, rendendo se possibile l’Università italiana ancora più gerontocratica del passato. Da notare che per quanto riguarda le assunzioni non si parla necessariamente di un ricercatore ogni cinque pensionamenti, ma può anche accadere che venga assunto un membro del personale tecnico-amministrativo. Mi sembra evidente chi sia che attacca i giovani ricercatori e chi li difende. Detto questo, è chiaro che spesso la componente dei professori esprime istanze conservatrici ma, almeno a livello universitario, è molto difficile sostenere che i professori facciano parte del movimento (discorso diverso per i professori delle scuole).

2) Al di là delle strumentali posizioni sostenute dal governo, è oggettivamente difficile difendere la scuola, ma soprattutto l’università, così come sono oggi. Quest’ultima è il regno della gerontocrazia, dell’immobilismo, del feudalesimo accademico, della totale mancanza di meritocrazia. Quali sono secondo te le linee su cui dovrebbe essere impostata una “riforma organica” del sistema formativo e della ricerca?
Quali provvedimenti concreti si potrebbero adottare per migliorare le cose? Es. diverse regole per i concorsi, per l’assegnazione dei fondi, revisione delle lauree 3+2 e del sistema dei crediti, commissioni internazionali per la ricerca, nuovo sistema per la definizione degli insegnamenti, ecc…
Su questi temi sarebbero auspicabili proposte dettagliate.

Una premessa: è necessario fare attenzione all’ideologia del merito. E’ chiaro infatti che tutti siamo per il merito, ma non si può fondare una società (o una comunità) su questa base, la società è democratica non meritocratica (dove cioè comandano i migliori, “aristocratica” direbbero i greci), cioè basata sui diritti per tutti. Non si può pensare ad una società di talenti (alla Amici di Maria de Filippi): l’istruzione è per coloro che non sanno, non per i “Pierini”. Questo ragionamento nel movimento è molto chiaro e condiviso, ma è difficile farlo passare nei media, ma qui si arriva al problema della rappresentanza.
Per quanto riguarda le proposte concrete, noi su Pisa stiamo sperimentando alcune cose: lezioni e seminari autogestiti con professori e ricercatori disponibili, occupazione di spazi all’interno delle facoltà per spezzare il ritmo snervante del 3+2 e creare spazi di socialità interni, gruppi ristretti di studio studenti/ricercatori con richiesta di convalida dei crediti, in modo da fare “vertenza” sul problema crediti e creare un sapere di massa e di qualità.

3) Vista l’assoluta trasversalità di questo movimento, che riunisce praticamente tutte le figure del variegato sistema formativo italiano (studenti, insegnati, maestre, dottorandi, ricercatori precari, professori di ogni ordine e grado) è possibile che esso trovi la forza e la “maturità politica” per districarsi tra interessi che possono rivelarsi anche molto contrastanti tra loro se posti di fronte a proposte concrete di riforma? Ogni seria riforma – e per essere seria non può che porsi come obiettivo anche quello di rimescolare rapporti di forza consolidati da decenni – tende a toccare interessi molto concreti. Così come si è configurato questo movimento, può fare i conti con queste sfide? Ne è all’altezza? Quali interessi corporativi è disposto a colpire?

La mia impressione è che ci sia, allo stato attuale, una fortissima condivisione tra tutte le figure citate sulla “pratica dell’obiettivo” (termine obsoleto): ovvero l’opposizione con ogni mezzo ai tagli. In secondo luogo mi sembra che ci sia una profonda comunità d’intenti tra studenti, professori medi e maestri, mentre le posizioni dei professori universitari e, a sorpresa, dei ricercatori, risultano più ambigue. Detto in modo schematico: i professori universitari tendono a rimpiangere, seppur non esplicitamente, l’università di elite, mentre quella di massa la concepiscono solo a patto di uno svilimento del sapere; i ricercatori (a Pisa tra i primi a dare il via alla protesta) sono accecati dall’ideologia del merito di cui sopra, e difendono quel poco che hanno; l’obiettivo comune a studenti e maestre (a Pisa molto radicali) invece mi sembra quello di trasformare la vertenza sul welfare (scuola pubblica) in un ragionamento sull’autoformazione.

4) Il governo – scottato dal crollo dei consensi che la protesta universitaria ha provocato – sembra voler procedere con maggiore prudenza nella riforma dell’università. Dopo una prima fase di straordinaria mobilitazione, riuscirà il movimento a mantenere alta la tensione e il coinvolgimento delle persone? Quali sono gli obiettivi di medio termine che dovrebbe porsi? Come dovrebbe procedere la mobilitazione? Quali idee concrete possono essere messe in campo per proseguire la lotta?

Da Pisa si ha uno sguardo privilegiato da questo punto di vista, perchè da noi la mobilitazione è iniziata una settimana prima rispetto a Roma o Milano. Sicuramente è stata importante la giornata del 7 Novembre, dove si è dimostrato che dopo una settimana di sostanziale pausa il movimento ha riportato in piazza molte persone, tra l’altro su una piattaforma di difficile attuazione come i blocchi metropolitani. Per il futuro sarà importante l’assemblea del 15-16 alla Sapienza: si dovranno elaborare proposte, stabilire collegamenti ecc. A mio modo di vedere sarà decisivo non tanto il rapporto con i partiti, quanto la possibilità di intrecciare le lotte con altre categorie, che so, i metalmeccanici o il pubblico impiego. Per questo trovo lungimirante la proposta di sciopero generale tutti insieme. Questo è l’obiettivo di medio termine.

5) Si è discusso molto sulla presunta “apoliticità” del movimento. E’ una lettura realistica e soddisfacente secondo te? Secondo te si tratta veramente di un movimento apolitico o forse è più che altro un movimento “apartitico”? Quali aspetti – se ve ne sono – ne determinano la “politicità”? Questo superamento delle tradizionali collocazioni – se c’è stato – ha aiutato il movimento a diffondersi o può essere una sua fonte di debolezza quando dalla protesta si passa alla proposta?

Questo è un movimento politico, ma apartitico. Per il resto è un problema di terminologia: molti, soprattutto tra i più giovani, lo definiscono “apolitico” perchè reduci dagli anni di Prodi e dell’antipolitica di Grillo (le due cose sono collegate ovviamente, poiché la seconda ha potuto proliferare sulla base della delusione scaturita dalla presenza di tutta la sinistra al governo). Questi ragazzi pi
ù giovani esprimono lo stesso concetto che io intendo col termine “apartitico” avendo avuto il mio battesimo politico col movimento no-global e pacifista, perchè so che esiste una politica fatta al di fuori delle aule parlamentari. Dico di più, questo movimento esprime idee di sinistra e anticapitaliste: si batte per la scuola pubblica, pratica la democrazia del consenso, parla di diritti. Il punto è che tutto questo viene coniugato al di fuori del linguaggio e delle pratiche della sinistra, perchè essa è vista come compromessa col potere. Però questo mi sembra più un problema di Rifondazione comunista, dei Verdi ecc. che nostro.

6) E’ condivisibile che si ricerchi un’intesa anche con organizzazioni studentesche esplicitamente di destra in nome dell’unità della protesta studentesca oppure no? La partecipazione di queste organizzazioni a manifestazioni pubbliche dovrebbe essere incoraggiata, tollerata, oppure concretamente osteggiata?

Da noi a Pisa questo problema è venuto fuori alla prima assemblea a Lettere: è stato subito detto che l’ultima cosa che dobbiamo fare è il movimento di unità generazionale (non a caso slogan del Blocco studentesco), la corporazione degli studenti. Infatti nel movimento pisano i fascisti non ci sono, anzi quei pochi che sono presenti (siamo pur sempre in Toscana) si contrappongono, e si sono resi colpevoli di atti di vandalismo in alcune sedi occupate. In generale credo che il movimento debba essere antifascista, e secondo me lo è diventato dopo i fatti di Piazza Navona.. Quel giorno è stato la fine dell’ingenuità del movimento, si è fatto un grande salto in avanti: anche perchè gli studenti più organizzati e con maggiore cultura politica si sono opposti al Blocco, il quale ha a quel punto mostrato il suo vero volto, cioè violenza e autorità.
Altro discorso è la presenza di studenti di destra (ma non fascisti) nei cortei: io stesso ho visto amici poco interessati o addirittura di destra mutare profondamente in queste settimane. Sono i movimenti che cambiano il senso comune, un’esperienza straordinaria, che avevo letto solo sui libri.

7) Negli ultimi anni il nostro Paese è stato caratterizzato da una grande diffusione di movimenti (da quello no-global, ai girotondi, al movimento per la pace, alla battaglia sindacale per la difesa dell’articolo 18, alle vertenze territoriali come il No-Tav e No-Dal Molin, ecc.). Colpisce però la discrepanza tra la straordinaria capacità di mobilitazione, di fare “massa critica” anche ad un livello sociale e culturale diffuso, e la scarsissima “capitalizzazione politica” che ne è seguita. Oggi siamo addirittura l’unico Paese europeo a non avere una riconoscibile rappresentanza di sinistra nelle istituzioni rappresentative. Il problema dello “sbocco politico” è un problema che questo grande movimento nato nelle scuole e nelle università si deve porre? Oppure va privilegiata la totale “autonomia” del movimento? Quali rapporti possono essere instaurati con le forze politiche esistenti? E se quelle esistenti non offrono possibilità di un’interlocuzione soddisfacente, può essere utile e realistico porsi l’obiettivo di una organizzazione politica nuova, che superi anche i limiti del “modello partito” tradizionale, o più modestamente di liste elettorali di “società civile”, senza partiti, nelle diverse occasioni?
Insomma, il problema della rappresentanza è un problema che questo movimento – che si definisce “irrappresentabile” – dovrà prima o poi porsi?

Domanda difficile. Da un lato abbiamo l’esigenza di non “morire di noi stessi” (come la Pantera ad esempio), dall’altra però comincio seriamente a dubitare che le cose possano cambiare attraverso il parlamento, cioè con un ipotetico nuovo governo di centro-sinistra. Per altro secondo me dovremmo dialogare con i partiti di sinistra, la situazione però è tale che questi sembrano, come dire, non interessati, chiusi in dispute interne. Per quanto riguarda il Partito Democratico è invece opinione diffusa nel movimento che esso sia uno dei principali responsabili della situazione dell’università italiana (riforma Berlinguer) e che, al di là di una opposizione di facciata, condivida la logica reazionaria e classista che anima questa riforma.
In questo senso il movimento dovrebbe a mio parere prendere esempio dalle pratiche di base di chi ci ha preceduto (no-global, no tav ecc.), cercando di costruire una unità, nella differenza, ad esempio con certe categorie di lavoratori, e tentare di consolidare la protesta in “istituzioni dal basso”, che esplicitino anche un’idea più generale sulla società.

(25 novembre 2008)



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