Francesco, un papa che gioca come il Barcellona
Pierfranco Pellizzetti
, dal IX rapporto sulla secolarizzazione curato da CGIL – Nuovi Diritti e Fondazione Critica Liberale
impegnarsi troppo. Se le religioni fossero molto chiare,
perderebbero, coll’andare del tempo, i credenti»
Leo Longanesi
«Penso che tutte le grandi religioni del mondo
buddismo, induismo, cristianesimo, islamismo e
comunismo, siano a un tempo false e dannose»
Bertrand Russell
Per l’estremista laico quale il sottoscritto, quindi ateo e conseguentemente anticlericale, imbattersi in un pontefice che si dichiara anch’esso “anticlericale” scompagina le collaudate modalità argomentative nei confronti della religione e dei suoi funzionari, impone la revisione delle concettualizzazioni correnti.
Dunque, papa Bergoglio come sfida. A parte il divertimento di assistere allo sconcerto dei papisti tradizionali, delegittimati proprio dal loro capo supremo; ascoltare gli oltranzisti clericali sibilare tra i denti che “per loro oggi il soglio pontificio è vacante”, così come in altri tempi lo dissero con papa Roncalli e papa Montini imperanti. Anche se poi la chiesa sotto Giovanni XXIII e Paolo VI rimase sostanzialmente la stessa dei loro predecessori; smentendo sia i catastrofisti come gli entusiasti, speranzosi di impossibili ritorni a origini idealizzate: un’agenzia bimillenaria, il cui core business è quello di ricavare il massimo delle risorse possibili (materiali e di influenza) dal monopolio della consolazione esercitata sull’umano male di vivere; lo sfruttamento inverecondo del dolore.
Difatti, mentre i due papi che lo hanno preceduto (il bellicoso crociato medievale Wojtyla e il vanesio neoplatonico naif Ratzinger) erano facili bersagli polemici, papa Francesco gioca come la squadra di calcio del Barcellona quando l’allenava Pepp Guardiola: senza mai dare punti di riferimento all’avversario. Non a caso: il gesuita con la maschera sorridente del caratterista hollywoodiano Jonathan Prynce si può dire un furbone di tre cotte; come lascerebbe intendere già il suo ordine d’appartenenza, specializzato nel giocare in partibus infidelium e nello spiazzare i propri critici uscendo dagli schemi.
Una tattica abile, dunque. Che tuttavia il laico radicale non deve perdere tempo nel contestarla a priori. Un po’ perché rischierebbe di incappare nella tipica colpa dell’avversario: risultare settario. Soprattutto in quanto non è attitudine del non credente quella di impancarsi a missionario antireligioso (chi vuol credere in dio lo faccia: sono fatti suoi). Molto meglio la tecnica del judo: utilizzare la forza dell’avversario per metterlo al tappeto. E il nuovo papa è certamente un avversario – per di più temibile – anche se da trattarsi con rispetto (proprio perché assai più temibile della macchietta e del residuato bellico che lo hanno preceduto).
Sicché, più che attaccare (tattica in questo caso immediatamente perdente), è preferibile giocare di rimessa: concentrarsi sulla verifica degli assunti, in apparenza innovativi, di chi dichiara la propria volontà di rottura; sulla base delle effettive coerenze. Insomma, se il “cattolico anticlericale” – per di più Sommo Pontefice – pretende di spiazzarci anticipando già lui stesso la contestazione delle storiche magagne oscurantiste imputabili alla propria parte, le possibilità sono due: o sta “suicidando” la sua stessa organizzazione, magari senza accorgersene, oppure sta avviando un’operazione di puro imbellettamento.
Nel primo caso la sua opera inintenzionale risulta ai nostri occhi meritoriamente eversiva: l’autoterminazione di un’istituzione di dominio che affligge i corpi colonizzando le menti. Anche se appare altamente problematico che sia effettivamente questo l’esito inconsciamente perseguito, considerando la più che esperta e collaudata natura del soggetto in campo.
Nella seconda ipotesi, la foga di spiazzare determina comunque importanti riconoscimenti (seppure strumentali) alle ragioni dello storico avversario – la modernità desacralizzata – che vanno immediatamente incamerati come assunti di partenza reciprocamente condivisi, poi messi a confronto con i comportamenti concreti e – se del caso – smascherati, qualora rivelino contraddizioni tra il dire e il fare. Tanto per capire se il revisionismo bergogliesco origina un’effettiva mutazione nel DNA dell’istituzione religiosa o non si tratta – piuttosto – dell’ennesimo peeling; l’esfoliazione di uno strato superficiale della pelle per farne emergere quello sottostante, meno rugoso e indurito dal tempo. Make up.
Insomma, la strombazzata “rivoluzione Bergoglio” va sottoposta alla prova finestra, qui e subito. Nell’oggi, lasciando perdere i controversi segnali che ci giungono dall’Argentina, sul comportamento tenuto dall’allora padre provinciale gesuita del Collegio Maximo sul Rio de la Plata, al tempo della dittatura Videla: troppo nebulose le informazioni per poter essere assunte a prova, tanto d’accusa come a favore.
Restiamo all’oggi, se è qui dove le contraddizioni stanno emergendo. E non potrebbe essere diverso, data l’intrinseca natura immobile dell’organizzazione che si vorrebbe mettere in movimento. Infatti, al di là di un atteggiamento preliminarmente problematico (calcisticamente dicesi “melina”), al dunque le posizioni dell’attuale papa su tutte le più importanti posizioni “sensibili” non si discostano dal tradizionalismo: la chiesa deve “femminilizzarsi” ma resta indiscusso il veto al sacerdozio femminile; il singolo gay non va giudicato, fermo restando la condanna dell’omosessualità come “pratica immorale”; dura e costante la critica del Potere laico, anche se negli anni Settanta e Ottanta il papa fu uno dei più feroci critici della teologia della liberazione.
Nella conferenza del clero latinoamericano, tenutasi nel 2007 ad Apareicida, proprio Bergoglio fece ribadire nel documento conclusivo la condanna di ogni forma di eutanasia, nonché il rifiuto della somministrazione dei sacramenti ai divorziati e alle donne che abbiano abortito. Del resto sono ben note le sue polemiche con il governo argentino quando la Casa Rosada promosse distribuzioni gratuite di contraccettivi. Per non parlare delle scelte in materia di matrimonio omosessuale della presidente Cristina Fernàndez de Kirchner.
A tale proposito, nel 2010 Bergoglio inviò una lettera alle Suore Carmelitane di Buenos Aires scrivendo che «Il popolo argentino dovrà affrontare, nelle prossime settimane, una situazione il cui esito può ferire gravemente la famiglia. Si tratta del disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. […] È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre. È in gioco un rigetto frontale della legge di Dio, per di più incisa nei nostri cuori. […] Non siamo ingenui: non si tratta di una semplice lotta politica; […] bensì di una mossa del Padre della Menzogna che pretende di confondere e ingannare i figli di Dio».
Semmai, il massimo dell’aperturismo lo si ha con la scelta furbescamente ecumenica – in sostanza finalizzata a incrementare quantitativamente il target dei fedeli/clienti – di concedere il battesimo ai figli delle coppie di fatto.
Insomma, sul piano pratico, la grande rivoluzione si riduce alla traduzione in dottrina di una saggezza popolare di stampo tradizionale; qualcosa che assomiglia molto ai quadretti idilliaci del Mulino Bianco, agli stereotipi consolatori da immaginetta. Ma che proprio per la loro capacità semplificatoria possono funzionare alla grande per gli immaginari banalizzati dalla mediatizzazione dei messaggi nel format delle televisioni commerciali. E poi c’è la faccenda dei soldi, quello che resta il pi
ù attendibile dei banchi di prova.
Sbandierando l’assunzione di un nome carico di messaggi impliciti come “Francesco”, il nuovo papa proclama l’intento di riportare la chiesa alla povertà. Benissimo. A quando la notizia dell’avviato smantellamento dei marchingegni predisposti dal clero per spillare soldi agli Stati; in particolare quello italiano? A quando la denuncia di privilegi vaticani in materia immobiliare o delle appropriazioni indebite, tipo spartizione dell’ottopermille non attribuito? A quando distribuzioni delle proprie dovizie per lenire povertà vecchie e nuove, di immigrati e indigeni?
Silenzio. E finché tale silenzio perdurerà, noi laici ci sentiremo legittimamente titolati a segnalarne l’ambiguità. Quell’ambiguità consustanziale tanto all’ordine di appartenenza di Bergoglio come al santo di cui ha voluto assumere il nome.
Infatti l’esercito dei gesuiti, sempre acquartierato sul fronte del cambiamento per evitare che ne derivino minacce all’istituzione ecclesiastica, proprio in Latino-America ha dato le più evidenti prove del proprio effettivo militare dalla parte di una repressione che si vorrebbe caritatevole: la catastrofe delle “reducciones” tra il Paraguay e l’Argentina, in cui gli indios guaranì vennero disarmati e concentrati (con il proselitismo missionario a fungere da specchietto per le allodole) ed infine consegnati alla totale sottomissione da parte degli estancieros schiavisti, è l’indicazione lampante di quanto la presunta carità possa essere funzionale al dominio. Il “poverello d’Assisi” Francesco, che mai seppe mettere in discussione le simoniache gerarchie romane del suo tempo, offrì inconsapevolmente armi efficacissime per la persecuzione dei veri eretici (tanto da essere fatto santo per “meriti sul campo”).
Questo è quanto dal punto di vista di un non credente e di un non simpatizzante si potrebbe dire del simpatico leader che da qualche mese siede sul soglio di Pietro (magari tenendosi lontano da certe stanze vaticane, dove ti offrono certi caffè e certe tisane dagli effetti mortiferi…). Certamente più gradevole dei suoi colleghi cardinali, diafani alla Ruini, magri e verdognoli come in un quadro di El Greco, grassi alla Sodano, che sembra un dipinto di Fernando Botero. Ma certamente più pericoloso, in un mondo alla disperata ricerca di leadership in cui identificarsi; nel fallimento dei cavalcatori della paura alla Bush jr e vari imitatori (come i nostrani Berlusconi o Grillo/Casaleggio), cui stanno facendo seguito i flebili curatori fallimentari tipo Obama (gli Hollande, i Monti e i Letta).
Ben altra potenza comunicativa quella di Bergoglio; come quando va a Lampedusa e denuncia “la globalizzazione dell’indifferenza” o stigmatizza la corruzione metaforizzata a “dare pane sporco ai propri figli”.
Grandi invenzioni linguistiche. Per cui occorre stare sempre più attenti al dove vogliano andare a parare.
(27 marzo 2014)
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