Gianni Perazzoli: Viva l’impegno diretto in politica

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Ma perché questo tono così dimesso? Perché questo mettere le mani avanti e quasi chiedere scusa? A parte il calcolo del rapporto mezzi-fini, che consiglia di non togliere voti a Di Pietro, per non finire tutti fuori gioco e realizzare il contrario di quello che ci si propone, l’iniziativa va supportata con coraggio ed entusiasmo.
L’obiezione è che non ne può venire che “qualcosa” di piccolo. Tuttavia, non è meno velleitario, ammesso pure che sia auspicabile, proporsi di entrare in politica solo se si spostano le masse. La finalità che ci si propone è quella di favorire, con l’assunzione del rischio implicito in ogni scelta di idee, il rinnovamento politico e culturale della sinistra e della politica italiana. Dobbiamo scuotere l’albero che gli altri non scuotono.
Può bastare allo scopo una rivista, possono bastare dei libri? Non bastano. Ma questa non è una novità. Non sono mai bastati, specialmente non sono bastati nei momenti difficili. Che sono appunto quelli in cui non bastano i libri e gli articoli. Spesso MicroMega si è richiamata a Giustizia e Libertà o all’Azionismo… Ma Guido Calogero, Aldo Capitini, Piero Gobetti, i fratelli Rosselli, non scrivevano solo libri e interventi sulle riviste. A quei tempi, che erano peggiori dei nostri, non si producevano tante analisi sconsolate. “Avremo i soldi?”, “Ci rimborseranno le spese?”, “E se ci strumentalizzano?” Si faceva quello che si poteva. Ha ragione don Gallo. Lui la chiama “speranza”, altri dicevano “ottimismo della volontà”.
Il problema di oggi è la passività. Varrebbe la pena dell’impegno diretto in politica già solo il proposito di gettare un piccolo sasso nello stagno. Prima ancora delle percentuali, l’ambizione che fa tremare i polsi è quella di riuscire ad essere veramente la pietra dello scandalo.
Rispetto al passato, la fiducia nell’impegno politico è inversamente proporzionale ai mezzi di comunicazione a disposizione. Prima si arrivava appena a un manifesto da affiggere a un muro, oggi c’è internet. Naturalmente so bene che parte della sfiducia nasce dal fatto che i mezzi di comunicazione li hanno soprattutto gli altri. Ma, se si fanno due conti, anche noi ne abbiamo. Almeno per i nostri scopi. Che non sono quelli di cambiare il mondo, ma di fare la nostra parte, per quello che possiamo. Con due lire. Qualunque sarà il risultato, non sarà un fallimento. Né dovremo giustificare ad altri le percentuali ottenute. Tanto inique sono le condizioni di partenza, che una simile preoccupazione sarebbe ingiusto coltivarla.
Viva, allora, la piccola forza politica. C’è un punto importante che deve essere notato. Nella diffidenza verso la piccola forza politica gioca un ruolo importante il ricordo piuttosto fastidioso dei vecchi piccoli partiti, ora scomparsi. Ma il problema, in quel caso, non era che quei partiti fossero piccoli, bensì che fossero quei partiti che erano. Attaccati alle loro rendite politiche, che erano l’unica ragione fondante il loro essere “alternativi”. Non solo hanno reso deboli i governi, in nome della loro rendita, ma hanno anche impedito il rinnovo culturale e politico del paese. Le loro ideologie gli rendevano bene, ma erano i bond della Parmalat. Ecco anche perché c’è bisogno di una lista civica che nasca da quella parte della sinistra italiana che più si è assunta, invece, il compito di rinnovare la cultura politica del paese.
Nessuno ai miei occhi rappresenta meglio la casta, ad esempio, di Bertinotti. Per lui la politica era ”trascendimento dell’esistente”, e non passava frase senza un riferimento ai “processi di globalizzazione”. Ma se invece di andare a Puerto Alegre si fosse fatto una passeggiata in Germania, in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna (per non parlare della Svezia), se fosse entrato in un asilo pubblico di quei paesi, se avesse avuto un’idea dei diritti di cui gode da quelle parti un disoccupato, se fosse uscito dalla macchina blu, e soprattutto se fosse uscito fuori dai suoi paraocchi ideologici, si sarebbe reso conto di che cosa è il welfare europeo: il welfare dietro l’angolo, di cui nessuno di noi, in Italia, ha mai sentito parlare. Il Lord si scatenava contro le rendite, per difendere il suo latifondo ideologico. E come i banchieri americani, si è liquidato riccamente, lasciando dietro di sé solo la bancarotta di una realtà politica che era “tecnicamente fallita” svariati anni prima. In realtà, di società giusta, di meritocrazia, di socialdemocrazia, di riformismo, ne sanno molto di più i ventenni che partono con la borsa di studio dell’Erasmus per Berlino, Parigi, Madrid, Londra, che non la nostra “classe dirigente” . Fausto Bertinotti o Michele Salvati non fanno differenza.
Ben venga allora la lista civica. Chi altri deve assumersene l’iniziativa, se non coloro che hanno rappresentato l’unica voce critica, l’unica voce fuori dal latifondo nostrano della rendita ideologica di destra o di sinistra? Saranno quattro gatti? Non importa. Da qualche parte si deve pur cominciare. Almeno per sciogliere la contraddizione di lamentarci tra noi, ma in bella prosa.
La crisi del Pd va a nostro vantaggio, almeno quanto la sua ripresa di vigore sarebbe un nostro successo.
Anche l’argomento pessimistico secondo il quale “ti ascolta solo chi è già convinto”, nel caso che ci troviamo di fronte, non è più vero. Infatti, qui non si tratta più di parlare ai berlusconiani, ma ai nostri. E questa è una differenza essenziale. Di cui noi sottovalutiamo forse la portata, mentre loro non la sottovalutano affatto.
Oggi la differenza la fanno i piccoli numeri. Proprio noi allora ci vogliamo tirare fuori? Se i tassisti e i gondolieri possono determinare le elezioni, ci vogliamo tirare fuori noi? E, in ultima analisi, non saremo mica da meno di Calderoli.
Detto questo, in omaggio al centralismo democratico, ecco qualche critica alla proposta di Paolo Flores d’Arcais.
1)Flores d’Arcais può anche decidere di non candidarsi. Ma non per non essere strumentalizzato dalla destra. Intanto perché chi vuole strumentalizzare, strumentalizza comunque. E se non trova niente, qualcosa la inventa (Flores d’Arcais potrebbe scoprire di essere candidato comunque dai media, senza saperlo!). E poi perché – e questo credo sia essenziale – è proprio la paura di essere strumentalizzati che deve cadere, che fa il gioco delle televisioni. Ci strumentalizzano? A Roma si dice: “me rimbalza”. Tanto più fa paura la strumentalizzazione, tanto più si cade nella trappola che essa appresta.
2)Non voterei una lista che si proponesse solo di punire il Pd. Se si fa politica, la si fa sul serio. Ci si occupa di contenuti: di università, di welfare, di scuola, di lavoro, di economia, di riforme, di giustizia, di mafia.
3)Capisco il fastidio contro coloro che hanno fatto della politica una professione, che peraltro esercitano male. Ma mandare in Europa delle turnazioni di personalità, mi pare inopportuno, almeno se si crede che il Parlamento europeo sia un’istituzione da prendere sul serio. Questo sì che sarebbe strumentalizzabile, e con successo. Capisco il senso della proposta. Ma mi pare ancora un “chiedere scusa” del fatto che si faccia politica, un mettere le mani avanti, un prendere sul serio le strumentalizzazioni, che non vanno prese sul serio. Mettersi sulla difensiva conduce all’implicita ammissione di una debole legittimità. Si può mantenere l’idea della turnazione, ma sol
o se finalizzata a un progetto reale e non a dimostrare che “a-noi-non-importa-niente-del-potere-mentre-gli-altri-stanno-attaccati-alla poltrona”. In definitiva, perché dovrebbero arrivare i voti a chi, in partenza si tira fuori, negando valore intrinseco alla funzione specifica per la quale si indicono le elezioni, quella del Parlamentare europeo? Perché si dovrebbe votare un semipartito? Sarebbe un voto nichilistico.
Resta però fermo il principio, che la lista non ci sarebbe stata se non fosse stato per l’assenza del Pd. Comunque, Alea iacta est. Dobbiamo andare per la nostra strada.
Gianni Perazzoli


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(15 ottobre 2008)



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