Giganti dai piedi d’argilla. Il punto debole nel trionfo elettorale di M5S e Lega
Nicolò Bellanca
In questo articolo ci soffermiamo sulla tesi (3) dell’Istituto Cattaneo, per la quale Lega e Cinquestelle stanno con-dividendo la stessa funzione politica, di fronte a cittadini arrabbiati e sconfitti. Annotiamo che questa tesi appare meno solida non appena consideriamo due caratteristiche peculiari del successo elettorale dei Cinquestelle e della Lega. La prima caratteristica è nota a tutti, è discussa anche nel volume dell’Istituto Cattaneo, ma, a nostro avviso, spesso non viene intesa nella sua portata complessiva. L’altra caratteristica, invece, è stata “nascosta” dietro il tema dell’immigrazione (che occupa le “prime pagine”, dai tempi della campagna elettorale ad oggi), e cercheremo di trarla alla luce grazie a qualche nostra elaborazione statistica. Ma procediamo con ordine. Nel capitolo dedicato ai Cinquestelle, Il vicolo cieco ricorda che nelle elezioni nazionali del 2013 il partito fondato da Beppe Grillo fu quello maggiormente “nazionale”, in quanto i suoi quasi 9 milioni di voti ebbero una provenienza trasversale (sia di protesta, sia di delusione verso i vecchi partiti) e una distribuzione quasi omogenea sull’intero territorio italiano (26,6% di voti validi al Sud, 23,1% nel Nord-ovest, 24,8% nel Nord-est, 28,6% nel Centro e 25,7% nella Zona rossa). Al contrario, i 10,7 milioni di voti ricevuti dai Cinquestelle nel 2018 dipendono quasi totalmente dalle prestazioni avute nelle regioni del Centro (+ 7,2%) e, soprattutto, del Sud (+ 20,7%), mentre nelle parti restanti del Paese il consenso è sostanzialmente stazionario: si veda la Tabella 1.[5] Nella nostra interpretazione, le difficoltà di consolidamento dell’elettorato cinquestelle sono dunque elevate, derivando in larghissima misura dalla conferma nel tempo di un risultato che è probabilmente irripetibile. Il punto debole del loro trionfo sta nell’eccessivo radicamento territoriale al Sud, che potrebbe venire mantenuto soltanto se il formidabile livello di consenso del 4 marzo fosse alimentato da risultati politici all’altezza delle aspettative.
Fonte: elaborazione Istituto Cattaneo su dati del Ministero dell’interno
Lo stesso punto è ribadito dalla seconda parte dell’esercizio, consistente nel suddividere i Comuni italiani in base al livello del reddito (imponibile) pro redditiere dell’anno 2016 (dalle dichiarazioni fiscali 2017, ultimo anno disponibile). Collochiamo nelle quattro caselle i Comuni “poveri” (fino a 15mila euro pro redditiere), “mediopoveri” (da 15mila a 18mila), “medioricchi” (tra 18mila e 21mila) e “ricchi” (oltre 21mila).[11] Nella Figura 2 vediamo sintetizzati i risultati, dove, anche questa volta, il dato più rilevante riguarda la Lega, che incrementa di oltre 16 volte i suoi voti nei Comuni “poveri”, tra le elezioni nazionali del 2013 e quelle del 2018. Viceversa, nei Comuni “ricchi”, gli elettori della Lega sono aumentati “solo” (!) di 3 volte. Anche i Cinquestelle hanno avuto variazioni più “lusinghiere” nei Comuni a basso reddito. Addirittura, nei Comuni “ricchi” hanno avuto una leggera flessione (nel 2018, il 98% dei voti del 2013). D’altra parte, sebbene i due partiti che hanno trionfato alle elezioni 2018 hanno avuto i miglioramenti più consistenti tra gli elettori dei Comuni “poveri”, l’aspetto che merita di essere enfatizzato è che, nel caso della Lega, questo fenomeno è di gran lunga più ampio. Gli altri due maggiori partiti, PD e Forza Italia, diminuiscono in tutte le quattro caselle (valori sempre inferiori a 1), con un declino piuttosto omogeneo. Peraltro, il PD mostra di “tenere” meglio nei Comuni ricchi.
Scrivono gli autori de Il vicolo cieco: «se le elezioni del 2018 hanno rappresentato una vittoria per i “perdenti della globalizzazione”, lo stesso argomento vale per quei “luoghi abbandonati” – come li ha definiti di recente l’Economist – che sono stati soltanto sfiorati dalla ripresa economica. Per questo il 4 marzo abbiamo assistito alla riscossa delle “periferie” sui quartieri centrali delle città, delle province di frontiera sui capoluoghi regionali, delle aree più disagiate sui grandi centri urbani. E anche in questo caso il “megafono” che gli abitanti di questi territori hanno utilizzato per esprimere il proprio malessere è stato quello messo a loro disposizione dalla Lega e dai Cinquestelle, mentre il Partito democratico si è ridotto a rappresentare i settori di quella ristretta élite urbana cosmopolita e liberal che vive nelle “zone a traffico limitato” delle grandi città».[12] Piuttosto, abbiamo visto che, proprio nei riguardi dei “luoghi abbandonati” e delle “periferie”, l’esito politico delle due forze politiche vittoriose è stato assai diversificato. È vero che nel capitolo de Il vicolo cieco dedicato alla Lega, si sottolinea che essa «ottiene risultati nettamente inferiori nei capoluoghi di regione, mostrando di avere maggiore insediamento nell’Italia più rurale e profonda».[13] Tuttavia, ciò che abbiamo documentato va oltre: la Lega ha avuto il 4 marzo una capacità “sproporzionata” di catalizzare lo scontento, la disperazione e la rabbia dei territori che hanno maggiormente peggiorato il proprio tenore di vita negli ultimi anni, e che si collocano oggi in fondo alla graduatoria economica. Il punto debole del suo trionfo sta nell’eccessivo radicamento nei territori più disagiati, dove tale radicamento – come già abbiamo notato a proposito della debolezza dei Cinquestelle – potrebbe venire mantenuto soltanto se quel formidabile livello di consenso fosse alimentato da risultati politici all’altezza delle aspettative.
In conclusione, la tesi dell’Istituto Cattaneo secondo cui Cinquestelle e Lega raccolgono (sebbene in modi diversi) lo stesso disagio sociale, non sembra del tutto corroborata dai fatti. Il partito di Di Maio recepisce in maniera indifferenziata e uniforme il disagio di un’intera area della nazione; quello di Salvini incassa, con tassi d’incremento eclatanti, il disagio di tanti specifici territori che hanno perso colpi e che stanno male. Pur nella differenza delle rispettive basi di consenso, Cinquestelle e Lega appaiono accomunati dall’essere giganti dai piedi d’argilla. Il partito di Di Maio dipende quasi del tutto dal consenso meridionale; il partito di Salvini è legato sensibilmente al consenso riscosso nei Comuni più in declino e a più basso reddito pro capite. Nessuno dei due partiti può confidare in una “crescita economica” così vivace e diffusa da “sollevare tutte le barche”, soddisfacendo l’elettorato di entrambi. I Cinquestelle dovrebbero elaborare e promuovere una politica meridionalista; la Lega dovrebbe intercettare ed esaudire il pulviscolo di domande provenienti dai “luoghi” più disparati e disperati. Al momento, i Cinquestelle rispondono promettendo di “regalare soldi a tutti, per sempre”;[14] la Lega cerca di convincere i più disagiati che la cittadinanza italiana costituisce un capitale tale da differenziarli in positivo da coloro che, ancora più disagiati, ne sono privi. Prima o poi, tuttavia, i loro rispettivi elettorati cominceranno a chiedere il conto.
[1] Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo, Il vicolo cieco. Le elezioni del 4 marzo 2018, a cura di Marco Valbruzzi e Rinaldo Vignati, Il Mulino, Bologna, 2018.
[2] «Quando i populisti distinguono tra “popolo” ed “élite”, descrivono ciascuno di questi gruppi come omogeneo. Il popolo ha un insieme di interessi e valori, l’élite ne ha un altro, e questi due insiemi non soltanto sono diversi, ma fondamentalmente opposti. Le divisioni sono sia morali che empiriche. Il populismo concepisce l’élite come irrimediabilmente corrotta, il popolo come uniformemente virtuoso, il che significa che non vi è alcuna ragione per cui il popolo non debba governare sé stesso e la propria società senza restrizioni istituzionali. E i leader populisti sostengono di rappresentare da soli il popolo, l’unica forza legittima della società». William A. Galston, “The populist challenge to liberal democracy”, Journal of democracy, 29(2), 2018, p.12.
[3] Marco Valbruzzi e Rinaldo Vignati, “Introduzione. Un’elezione ‘storica’ in tempi straordinari: tutto cambia?”, in Il vicolo cieco, cit., p.10.
[4] Ibid., p.10.
[5] Cecilia Biancalana e Pasquale Colloca, “Il Movimento 5 stelle alla prova dell’istituzionalizzazione: una metamorfosi incompiuta?”, in Ibid., pp.92-93.
[6] Alfredo Del Monte et al., “Disuguaglianze e immigrazione spiegano il voto di marzo”, 13-4-2018, http://www.lavoce.info/archives/52441/disuguaglianze-e-immigrazione-spiegano-il-voto-di-marzo/
[7] I dati elettorali su cui sono state eseguite le elaborazioni provengono da: https://elezionistorico.interno.gov.it/
[8] I dati comunali sui redditi provengono da: http://www1.finanze.gov.it/finanze3/pagina_dichiarazioni/dichiarazioni.php
[9] In realtà sarebbe più corretto definirlo “reddito pro redditiere”, in quanto calcolato, per ogni Comune, come rapporto tra la somma dei redditi imponibili e la somma degli individui che percepiscono un reddito (imponibile).
[10] Queste soglie sono state determinate, in quanto suddividono i Comuni italiani (circa 8mila) in 4 gruppi di numerosità simile (circa 2mila Comuni per ogni fascia).
[12] Valbruzzi e Vignati, “Introduzione”, in Il vicolo cieco, cit., p.12.
[13] Davide Vampa, “Il Centrodestra a guida leghista”, in Il vicolo cieco, cit., p.73.
[14] Sul reddito di cittadinanza o di base, vedi Nicolò Bellanca, “Regalare soldi a tutti per sempre? Il reddito di base come trionfo dell’impolitico”, su questa rivista all’indirizzo http://temi.repubblica.it/micromega-online/regalare-soldi-a-tutti-per-sempre-il-reddito-di-base-come-trionfo-dell-impolitico/
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.