“Gilet Gialli: la vittoria dei vinti”. Intervista a Edwy Plenel

Marco Cesario

“Contrariamente a quel che si dice, i gilet gialli non sono un popolo di fascisti né di estremisti, di violenti, di razzisti e di antisemiti”. In un clima di tensione crescente con la prefettura di polizia francese – che ha oramai vietato formalmente manifestazioni sugli Champs Élysées – Edwy Plenel, cofondatore del quotidiano Mediapart ed ex direttore di Le Monde, offre una lettura alternativa del movimento dei gilet gialli nel suo ultimo libro La Victoire des Vaincus – à propos des Gilets Jaunes (la Vittoria dei Vinti – a proposito dei Gilet Gialli). Per Plenel questo popolo di ‘vinti’ che provengono dal basso sarebbe portatore anche di un seme in grado di trasformare la nostra società. Lo abbiamo incontrato a Parigi, nella sede del suo giornale.

Partiamo dal titolo, perché La Vittoria dei Vinti?

È ispirato ad una tradizione che risale ad Antonio Gramsci e Walter Benjamin. È l’idea che la storia dell’emancipazione, delle libertà e dei diritti, avanza grazie alle promesse dei vinti. Una storia che si rinnova grazie agli sconfitti che in qualche modo ci cedono il testimone per il futuro. Da Spartaco ad oggi i vinti sono coloro che si battono per le libertà, per i diritti, coloro che provengono dal basso e che grazie alle proprie rivendicazioni permettono alla società di trasformarsi. Questi vinti – i gilets gialli a mio avviso lo sono perché si tratta di un popolo che proviene dal basso, di lavoratori poveri, di pensionati, di donne sole – hanno però già ottenuto due vittorie. La prima è l’aver imposto all’agenda politica pubblica di questo paese ciò che i partiti tradizionali, le associazioni, i sindacati non sono riusciti a fare: un’esigenza di uguaglianza di fronte all’ingiustizia (fiscale ma anche di distribuzione della ricchezza) e di essere riusciti ad ottenere misure contrarie agli obbiettivi del potere di Macron. La seconda vittoria è quella di aver portato al centro del dibattito francese – ed è la prima volta da Maggio ’68 – la questione del potere personale: ovvero di aver posto l’accento sullo scandalo del presidenzialismo francese, di questo cesarismo, bonapartismo o “monarchia elettiva”. È una questione essenziale che Marx avrebbe definito “una questione dei banchetti”.

Il suo è un libro in difesa dei gilet gialli ?

Si tratta di un libro “a proposito” di gilets gialli e non “sui” gilet gialli: la realtà, che abbiamo documentato giorno dopo giorno con il nostro giornale, parla di una realtà portatrice di valori profondamente politici e sociali. Magari un giorno il movimento sarà smantellato e scopriremo che ha favorito l’estrema destra ma almeno occorreva spogliare il fenomeno da storture e caricature.

La sinistra moderata continua a guardare questo movimento con freddezza stigmatizzandone le componenti violente. I gilets gialli sono visti come un movimento populista che veicola istanze profondamente conservatrici.

Il mio libro interpella tutte queste “sinistre”, quelle che ne prendono le distanze o altre – penso a Mélénchon – che tentano di avocarli a sé. Stiamo assistendo alla discesa negli inferi delle sinistre in quanto “sinistre di professione” ovvero fatte da deputati, politici che non hanno più radicamento nella società. Un movimento del genere destabilizza perché pone un interrogativo sui limiti della rappresentatività. È una questione democratica assolutamente nuova: non basta eleggere dei rappresentanti per essere rappresentati. In democrazia è necessaria la deliberazione, i poteri ma anche i contro-poteri.

Quale lezione dunque la sinistra può trarre da questo movimento?

Che occorre uscire rapidamente dal XX secolo. Ed è ciò che la sinistra non riesce ancora a fare. Il XX secolo è quello della grande tragedia: caduta dell’URSS, conversione della socialdemocrazia al liberalismo economico, sinistre di governo che si consacrano allo stato più che alla società, il secolo del partito come proprietà, della professionalizzazione della politica. Si dovrebbe a mio avviso guardare più al XIX secolo, al principio cioè del movimentismo e delle battaglie per l’uguaglianza: in quelle masse in cui si mescolano persone di orizzonti diversi, borghesi e proletari, massoni o libertari si veicola un’unica questione: quella dell’uguaglianza. A questo orizzonte di ricerca dell’uguaglianza propria ai moti del 1830, del 1848 e del 1871 si dovrebbe ispirare la sinistra oggi. Attorno ai gilet gialli ho visto crearsi delle piattaforme di intenti: essere accolti a Caen in uno squat di migranti, fare un’assemblea a Commercy per chiedere gli stessi diritti sociali per tutti coloro che vivono in Francia di qualunque nazionalità etc. Siamo di fronte ad una catastrofe politica, sociale e democratica, una crisi di civiltà. Oggi più che mai possiamo rifarci alla lezione di Benjamin che rispondendo a Marx (“le rivoluzioni sono le locomotive della storia”) indica la soluzione nei passeggeri (che hanno orizzonti molto diversi tra loro) i quali rendendosi conto che il treno si schianterà contro un muro decidono finalmente di azionare il freno d’emergenza.

Come vede il contesto politico in Italia?

La lezione italiana, di ciò che è accaduto con il M5S, è eclatante. Un movimento nato dalla società come reazione alla corruzione della classe politica, che si fa portatore di questioni ecologiche, nato dal basso ma che rapidamente cade in una doppia illusione: la prima è che il virtuale possa rimpiazzare il reale (con il click, dunque, senza deliberazione, confronto), e la seconda è la scorciatoia elettorale. L’alleanza con la Lega Nord è stata una catastrofe per il M5S. Da partito più forte della coalizione il M5S è diventato la stampella dei neofascisti. Il PD non voleva alleanze? Allora meglio non governare che allearsi coi neofascisti, meglio restare all’opposizione, costruire dei rapporti di forza sia all’interno del parlamento sia dentro la società. Invece sono diventati lo sgabello su cui si è drizzata una forza autoritaria, anti-egualitaria, identitaria.

Il M5S ha cercato di costruire ponti in vista delle europee proprio con i Gilets Gialli incontrandone uno dei leader, Chalençon, un personaggio inquietante che predica la guerra civile e che vorrebbe ridare il potere ai militari.

I gilets gialli non hanno leader, sono un movimento che si auto-organizza. Questi leader di cui si parla, Chalençon, Eric Drouet, si sono autoproclamati leader ma lo sono soltanto di sé stessi. Sono leader dei like su Facebook, leader virtuali. Qualcuno che voglia incontrare davvero i gilet gialli va alle loro assemblee. A Commercy l’assemblea è durata due giorni. La prossima sarà a Saint-Nazaire ed il dibattito durerà ben tre giorni. Quella del M5S è stata una strumentalizzazione politica per animare un dibattito solo virtuale. Siamo in un’epoca di narcisismo, che produce persone innamorate del proprio ego. Vedi Macron o Trump. Di fronte a ciò dobbiamo riattivare il controllo da parte del collettivo: ecco cose’è l’auto-organizzazione.
< br /> Tra i gilet gialli si muovono però forze inquietanti, radicali…

Non nego che i gilet gialli siano attraversati da forze verticali, autoritarie ma qui è il punto della questione: se restiamo in panchina a vedere cosa succede in campo è a questi personaggi che regaliamo i gilet gialli. Il mio libro è anche un appello alle forze di emancipazione per accompagnare i gilet gialli, per impedire che scivolino verso derive autoritarie. Non prendiamoci in giro. Il potere francese detesta i gilet gialli, fa di tutto perché questo popolo sia definito brutto, vile, violento. Perché? Perché vuole lo scontro, creare la dicotomia “o l’estrema destra oppure noi”, “o il caos o noi”. Ma così agendo, assomiglia a questo caos. Il governo francese ha scelto la repressione ed è in piena deriva autoritaria. In campo sono scesi addirittura i blindati e i militari per reprimere un diritto fondamentale, quello di manifestare. La polizia ha in dotazione granate con esplosivo, che hanno provocato un morto, una persona ha perso un occhio, cinque persone hanno perso una mano. Abbiamo repertoriato oltre 600 atti di violenza poliziesca illegittima, ci sono oltre 2.000 condanne. Una cosa mai vista in nessun movimento sociale in Francia. Ci sono state gravi violenze nei movimenti operai nel ’79 ma non c’è stata mai una repressione simile, neanche nel ‘68. La violenza che si è espressa di converso non contro persone ma contro simboli (banche, ristoranti di lusso) è una reazione a questo stato di repressione. Poi di fronte alla paura di questo popolo ‘dei bassifondi’ c’è stata anche la levata di scudi di alcuni intellettuali (vedi Lui Ferry, Alain Finkielkraut), dei benestanti, dei possidenti che hanno ingaggiato lo stato al proprio servizio, per trasformarlo in uno stato di violenza sociale. Si comportano proprio come quegli intellettuali che stigmatizzarono i resistenti della Comune di Parigi e lodarono le repressioni sanguinose del potere (vedi lo stesso Zola). Ecco perché se si lascia i gilet gialli abbandonati a sé stessi, senza solidarietà e soli di fronte ad un apparato governativo repressivo si favorisce soltanto la regressione politica. Vuol dire metterci di nuovo davanti alla scelta obbligata Macron o Le Pen. Ma già ci hanno fatto questo scherzetto nel 2017. Non si può più ripetere.

(2 aprile 2019)





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