L’Associazione Nazionale del Libero Pensiero “Giordano Bruno” come ogni 17 febbraio dalle ore 17.00, organizza in Campo de’ Fiori a Roma la cerimonia e il convegno in onore di Giordano Bruno per tenere vivo il pensiero e l’attualità di questo maestro di libertà, dignità, equità, che con la sua filosofia rivoluzionaria ha portato uno degli attacchi più formidabili al sistema di controllo politico, economico, sociale che ha nel confessionalismo religioso il suo alleato maggiore per creare e mantenere soggezione e rassegnazione.
«È stoltissimo credere per abitudine, è assurdo prendere per buona una tesi perché un gran numero di persone la giudica vera», era solito affermare Giordano Bruno.
Ed era la premessa per denunciare con forza l’abitudine al conformismo, che imprigiona la mente, che comprime l’intelligenza, che produce rassegnazione, soggezione, obbedienza passiva, riducendo a uno stato di servilismo che schiaccia dignità, autonomia, autodeterminazione.
Un servilismo funzionale a determinare acquiescenza verso chi detiene il potere di controllo politico, economico, sociale.
Contro tutto questo la filosofia di Bruno è un inno alla Libertà che richiede il rigore della conquista individuale e sociale.
Ma la libertà fruttifica solo nella laicità: nemica del dogmatismo, dell’arroganza e del privilegio.
Laicità che chiama all’impegno individuale e sociale per l’affermazione della dignità di ciascuno.
Laicità che è baluardo contro i rapporti gerarchici di potere.
Laicità che vincola lo Stato alla promozione dell’emancipazione dalla sudditanza mentale ed economica (di ciascuno e di tutti) affinché ognuno sia libero e proprietario della sua vita.
Niente è più ambizioso della laicità. La nostra Costituzione non a caso la pone a fondamento della Repubblica. Perché, per uno Stato liberal-democratico, le garanzie di convivenza civile non possono venire da supposte rivelazioni, ma dal patto laico di cittadinanza democratica.
Bruno individua con estrema chiarezza il percorso di liberazione individuale e sociale, e per questo la sua filosofia ha una portata politica formidabile, che ha fatto paura e continua far paura.
Era l’alba di giovedì grasso in quel 17 febbraio del 1600, quando a Piazza Campo dei Fiori Giordano Bruno veniva bruciato vivo.
Il tribunale della Santissima Inquisizione Romana, presieduto dal papa in persona, l’aveva condannato al rogo perché «eretico, impenitente, pertinace», e anche i suoi scritti, posti all’indice dei libri proibiti, venivano dati alle fiamme sulla scalinata della basilica di San Pietro.
Ma chi cercò di liquidare con quel rogo l’uomo e il suo pensiero, non c’è riuscito.
Quel rogo è diventato, infatti, la fiamma della liberazione da dogmi e padroni. E chiama ognuno a costruire un mondo dove la dignità individuale trionfi contro il sopruso.
Giordano Bruno ha lottato contro il dogmatismo, l’opportunismo, la pavidità, la rassegnazione, l’ignavia… che producono -scrive- il «servilismo che è corruzione contraria alla libertà e dignità umana».
La sua rivoluzionaria filosofia faceva paura, fa ancora paura …. perché è dinamite.
– Al principio divino, Giordano Bruno sostituisce la natura: materia madre che non dipende da altri che da se stessa nel suo infinito divenire. Ed è la fine del creazionismo. Quello che ancora oggi dogmatici e reazionari vorrebbero riproporre nell’illusione di oscurare la scientificità del darwinismo, che già Giordano Bruno aveva intuito.
– Alla conoscenza prefissata nel modulo della supposta “anima”, Bruno sostituisce la fisicità della mente – corpo – funzione biologica.
– Contro le morali del precetto, Bruno fonda quella che oggi si chiama etica laica.
– A un’estetica di maniera che ingabbia il pensiero nella pedanteria della regola, Bruno contrappone il “pittore-filosofo”, che espropria all’ombra la realtà… e la definisce … e ridefinisce nella vertigine delle possibilità combinatorie di significato e significante. È la semiologia contemporanea!
– Alla politica del potere di alcuni, Giordano Bruno contrappone una società, dove nessuno sia escluso dal diritto di avere diritti. Dove la dignità è questione politica e sociale.
Giordano Bruno ha alzato la testa. E ci insegna ad alzare la testa per uscire da ogni sudditanza intellettuale, morale, sociale, politica, economica.
Bruno insegna a ribellarci a chi ancora oggi ci vorrebbe «gregge» «asino» «pulcino» «pulledro». Ovvero in uno stato di perenne infantilismo alla ricerca di padri-padroni … padreterni, che promettono cieli e miracoli, mentre intanto -scriveva il nostro filosofo- «stabiliscono il mio e il tuo» nelle simoniache alleanze dove sguazzano.
Bruno denuncia i meccanismi psicologici e consolatori, che portano tanti a farsi «guidare -scrive- con la lanterna della fede, cattivando [imprigionando] l’intelletto a colui che gli monta sopra et, a sua bella posta, l’addirizza e guida».
Giordano Bruno odia menzogna e ipocrisia, soprattutto quando vengono da quei molti “intellettuali”, che «vanno a buon mercato come le sardelle, perché come con poca fatica si creano, si trovano, si pescano, cossì con poco prezzo si comprano».
Magari navigano pure nell’oro ma sono corrotti e schiavi: «servi nella libertà, han pena ne i piaceri, son poveri ne le ricchezze e morti ne la vita: perché nel corpo han la catena che le stringe […] ne la mente il letargo che uccide».
Giordano Bruno sbatte in faccia a costoro la responsabilità di tradire il ruolo emancipante della cultura. «La sapienza e la giustizia -scrive nel De immenso et innumerabili bus- iniziarono a lasciare la terra dal momento che i dotti, organizzati in consorterie, cominciarono ad usare il loro sapere a scopo di guadagno. Da questo ne derivò che […] gli Stati, i regni e gli imperi sono sconvolti, rovinati, banditi assieme ai saggi […] e ai popoli».
Bruno denuncia con estrema chiarezza come l’orgia del potere generi corruttela generalizzata: «quel che era già liberale, doviene avar, da quel ch’era mite, è fatto insolente, da umile lo vedi superbo, da donator del suo è rubator ed usurpator de l’altrui, da buono è ipocrita, da sincero maligno […]. Pronto ad ogni sorta d’ignoranza e ribalderia […] che no può essere peggiore».
Bruno denuncia le rendite parassitarie, i privilegi e lo sfruttamento di quanti «dissipano, squartano e divorano»; e chiama all’impegno civico per impedire che a costoro «non gli sia oltre lecito d’occupare con rapina e violenta usurpazione quello che ha commune utilitate».
E il bene comune primario, sappiamo bene, è la salvaguardia della dignità.
E ognuno di noi deve pretendere che non venga mai calpestata. Perché, ci insegna Giordano Bruno. «È la voluntade umana che siede in poppa», ripeteva Giordano Bruno, consapevole che libertà e giustizia non sono un dono, ma conquista civile che chiede impegno, vigilanza … Lotta se occorre.
Bruno spezza i circoli conclusi del ritorno all’identico dell’acquiescienza. La rivoluzione copernicana è il trampolino di lancio per la sua filosofia dell’infinito. Dove, gli individui, fiduciosi nella ragione, nei sentimenti e nelle possibilità e capacità della loro azione, non più «ciechi», non più «muti», non più «zoppi», finalmente non devono più temere di «esplicar gl’intricati sentimenti […] far quel progresso col spirito […] e liberarse da le chimere», perché finalmente «no è più impriggionata la nostra raggione coi ceppi», scrive nella Cena delle ceneri con un linguaggio poetico che è coinvolgente inebriante invito al coraggio di pensare: luce intellettuale che metta in discussione schemi e rapporti di potere consolidati.
Solo in questa prospettiva, secondo Bruno, l’eliocentrismo può essere compiutamente rivoluzionario.
Se la terra gira, infatti, bisogna avere la consapevolezza che «con la terra si muovono tutte le cose che si trovano in terra».
Con l’infrangersi delle muraglie celesti, tutto si dilata, diviene infinito! La Natura, la Vita è infinita trasformazione nel suo particolare caratterizzarsi fenomenico, perché è Essere Tutto, Unico Infinito nella costanza del suo autonomamente farsi, del suo Infinito divenire biologico e storico come il nostro Filosofo argomenta nelle formidabili pagine del De la Causa principio et uno.
Insomma, nell’infinito bruniano niente è eterno e assoluto. Non ci sono verità rivelate che tengano. Non ci sono enti superiori, ma solo la fisicità dell’universale materia-vita che continuamente diviene.
E fisicità è l’essere umano, con le sue funzioni cerebrali e gli atti di volontà che sono fatti concreti con cui struttura se stesso e la società. Azioni-fatti, da analizzare, verificare aggiustare, cambiare (se necessario) a vantaggio del singolo e della collettività.
L’infinito bruniano non solo prospetta quelle che oggi sono acquisizioni scientifiche dell’astrofisica di un cosmo popolato di più mondi e soli, ma offre a ognuno infinite possibilità di stare al mondo come esseri umani liberi e responsabili.
L’umanità allora -scrive Bruno- può smettere di piangere il fatale destino della sua «bassa condizione» e intraprendere il suo volo conoscitivo ed esistenziale assumendosi la responsabilità del suo incidere sugli eventi. Fare storia. Modificare la storia.
E il Nolano chiama ognuno a usare le ali della ragione per sperimentare possibilità di pensare, conoscere, agire al di fuori del pensiero unico, che sogna replicanti di supposte appartenenze identitarie.
E in questo si è maghi. Si è dei a se stessi.
La magia è allora arte della conoscenza, «potenza cogitativa» -afferma Giordano Bruno- per disvelare, scoprire, individuare nessi causali. Per produrre memoria ragionata e sviluppare pensiero problematico. E Bruno ci invita ad addentrarci in sentieri inesplorati, in un continuo processo di trasmigrazioni concettuali, perché –scrive- il pensiero «seleziona», «applica», «forma», «ordina» gli «atomi corporei-mentali».
Un processo dunque tutto fisico, concreto, scientifico, dove la natura risponde ai suoi rapporti causali, alle sue leggi fisiche che non le vengono da altro che da se stessa.
Bruno libera energie per la doverosa azione di ciascuno nel mondo. E lo fa con un linguaggio chiaro e schietto.
Ce n’è abbastanza da far tremare i potenti che sulla terra hanno edificato le gerarchie di potere.
Ecco perché Bruno è scomodo. Ecco perché è stato mandato al rogo.
La sua è una radicale “renovatio”, che non può evitargli lo scontro con il totalitarismo ecclesiastico. Verrà ucciso, lo presagisce e lo denuncia nei suoi scritti. Ma vuole anche con forza, che del suo pensiero rimanga traccia.
Ama la vita, eccome. Ma è meglio morire che vivere da imbecilli, come già dieci anni prima del suo rogo aveva scritto nel De Monade: «Ho lottato, è già tanto, ho creduto nella mia vittoria […]. È già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver avuto paura di morire, aver preferito coraggiosa morte a vita da imbecilli. E tuttavia sii tale che, se anche non vinci, tu sia degno di vincere».
Il Nolano è continuamente in fuga dalle vendette dei pedanti, dalla feroce persecuzione della «vorace lupa romana» (così definisce la Chiesa nella sua Oratio consolatoria) che lo vorrebbe, scrive: «forzato ad un culto insano e superstizioso, oppresso dalla violenza della tirannide». Ma non si sottomette, perché sa che questo significherebbe la manipolazione, il riadattamento della sua filosofia.
Egli non rinuncia, insomma, alla libera ricerca intellettuale, perché significherebbe divenire uno dei tanti «asini-pedanti» di cui descrive la metamorfosi involutiva nella Cabala del cavallo pegaseo: «Fermaro i passi, piegaro e dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovaro qualsiasi uman pensiero, riniegaro ogni sentimento naturale, ed infine si tennero asini. E quei che non erano, si trasformaro in questo animale: alzaro, distesero, acuminaro, ingrossaro e magnificorno l’orecchie, e tutte le potenze de l’anima riportorno e uniro nell’udire, con ascoltare e solamente credere».
Contro tutto questo, Bruno auspica un’umanità nuova, che rifiuti di trascorrere la sua vita «con man gionte e ‘n ginocchion…aspettando da Dio la sua ventura», come scrive nella Cabala del cavallo pegaseo.
Pensiero libero contro fideismo! È questo il filo rosso della Nolana filosofia, in cui filosofia e vita coincidono.
E sa bene che gli uomini saranno liberi se avranno saputo sgombrare il campo dai confessionalismi, utili al governo dei popoli «rozzi» e «ignoranti»; se avranno avuto il coraggio di uscire dallo stadio della «fede asinina» per esercitare responsabilmente la propria individuale e sociale dimensione etica. Una dimensione che Bruno delinea compiutamente nello Spaccio della bestia trionfante e nella Cabala del cavallo Pegaseo, contestualmente con l’approdo politico della sua riforma.
Eccola in sintesi: – fornire l’istruzione a tutti perché ognuno possa emanciparsi; – rimuovere gli ostacoli degli svantaggi individuali, sociali ed economici; – togliere i privilegi; – deporre i tiranni; -scegliere governanti onesti, preparati e capaci.
In uno straordinario passo dello Spaccio della bestia trionfante, Bruno usa la metafora della fortuna cieca in modo assai originale per sottolineare come l’ineguaglianza sia frutto del potere.
«Io che getto tutti nella medesima urna della mutazione e moto, sono equale a tutti, […] e non remiro alcuno particolare più che l’altro […]. Da voi, da voi, dico, proviene ogni inequalità, ogni iniquitade […] Da voi che non fate tutti equali e che avete gli occhi delle comparazioni, distinzioni, imparitadi ed ordini, con gli quali apprendete e fate differenze. Da voi, da voi, dico, proviene ogni inegualità, ogni iniquitade». Insomma, continua Bruno, attenti a chi consentite di governarvi: «quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser principe o ricco, non è per colpa mia, ma per inequità di voi altri che, per esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste prima. O non lo spoltroniste o sforfantaste al presente, o almeno appresso […]. Non è errore che sia fatto un prencepe, ma che sia fatto prencepe un forfante».
Nella bruniana filosofia del divenire si colloca, in opposizione al fideismo confessionalista, la religione civile. Patto sociale, lo chiamiamo oggi per creare il legame di pacifica convivenza, a cui ogni essere umano è chiamato a dare il proprio fattivo apporto, per realizzare un mondo più libero e più giusto.
La libertà e la giustizia non sono un dono. Sta a noi costruirle, perché, scrive Bruno: «due son le mani per le quali è potenza a legare ogni legge, l’una è quella della giustizia, l’altra è della possibilità; […] atteso che quantunque molte cose sono possibili che son giuste, niente però è giusto che non sia possibile».
Dunque è l’azione che fa la differenza! Ed è sul primato dell’agire consapevolmente che Bruno prospetta la sua riforma politico-sociale.
Giordano Bruno ha alzato la testa… e ci insegna ad alzare la testa, perché l’inalienabile diritto alla dignità individuale si concretizzi nel dovere di farne la pratica del dovere individuale e sociale.
(16 febbraio 2019)
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