GIORGIO BOCCA: Borghesia politico-malavitosa di massa

Giorgio Bocca


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La disgregazione dell’unità nazionale e la cecità dei partiti sono all’origine del fenomeno leghista. La novità è il fiorire nel Mezzogiorno di un vasto ceto criminale, che vive dei sussidi straordinari per il Sud e vede nella politica l’unico strumento di mobilità sociale. Ligato e Misasi, due figure esemplari di questa deriva.

, da MicroMega 5/1990

Il mio saggio La disunità d’Italia si apre con una cita zione di Giorgio Ruffolo, economista e intellettuale calabrese al di sopra di ogni sospetto leghistico: «Mai, negli ultimi cinquanta anni, l’obbiettivo della unificazione economica e sociale d’Italia è parso così amaramente lontano e frustrato». E qui vorrei cercar e di capire, di spiegarmi perché quel che dice Ruffolo è maledettamente vero.

C’ è una risposta onnicomprensiva a cui tutte le altre si riconducono, una risposta che diamo con la scienza di poi: solo oggi, solo dopo le elezioni del 6 maggio 1990, abbiamo preso compiutamente atto del fatto che una modernizzazione calata in strutture di povertà, una economia della emergenza continua, un consumismo senza investimenti produttivi, non accorpano ma disintegrano una società, non fanno nascere, ma soffocano sul nascere il rapporto fra istituzioni, società civile e impresa senza il quale non si dà sviluppo.

Siamo arrivati alla fine di un viaggio iniziato con grandi speranze e terminato con grandi delusioni; siamo successivamente passati dal lavo ro pubblico come infrastruttura unitaria e come occupazione di lavora tori in un Sud povero di industrie e di commerci al lavoro pubblico, all’investimento pubblico come stimolo al decollo industriale per arriva re mestamente alla economia clientelare gestita dalle combinazioni politiche mafiose, che ha toccato i suoi vertici, le sue «cime abissali » con il lavoro pubblico come «idea », completamente staccata dalle necessità e dai bisogni. In altre parole siamo passati dalle opere unitarie del regno – ferrovie, porti, poste, telegrafo, elettrificazione eccetera – ai poli di sviluppo del centro-sinistra e infine all’lrpiniagate con le sue «idee » di spreco metafisico, assoluto.

Esempio classico l’area industriale di Balvano. L’idea è: «Troviamo un sito, non importa quale, per insediarci una qualsiasi fabbrica in cerca di sussidi a fondo perduto, per esempio quella delle merendine Ferrero. L’ idea dentro l’idea è: in questo sito qualsiasi guardiamoci un po’ attor no e vediamo dove si presta meglio agli "imprevisti geologici". Così si trova una cava abbandonata sotto una montagna franante e proprio lì si colloca la zona industriale, naturalmente dando il via al lavoro "inventa to" dei gradoni che fasciano la montagna franante. E infine idea dentro l’idea dell’idea: si fa presente che non esistono strade di collegamento fra il sito qualsiasi e la litoranea tirrenica, ragion per cui occorre fare una bella supe rstra da che colleghi il vuoto al vuoto». Che le spese si siano decuplicate rispetto ai primi preventivi è un particolar e di cui «l’ idea » non si preoccupa. O se volete l’ultimo incredibile caso della «idea » per una diga in terra sul Motr amo, una «idea » di diga senza opere a valle, senza canali per il trasporto delle acque, una «idea » di bacino fine a se stesso. Ci vuole una certa audacia inventiva per concepirla e la certezza che nessuno, in otto anni, chiederà a che serve una diga senza canali.

La seconda grande mutazione della questione meridionale, una di quelle mutazioni che fanno dire a Ruffolo e a noi che l’unità economica e sociale del paese si allontana, è la formazione di una borghesia politico-malavitosa di massa. Un’alleanza fra i politici di governo, massime i democristiani, e la mafia o la camorra c’è sempre stata, ma come faccenda di vertici, come rapporto fra i Ciancimino, i Salvo e i signori della «cupola». Accordi di verti ce su grandi finanziamenti per grandi opere. L’alleanza attuale è tutt’altra cosa, è una alleanza di massa che nonostante una polizia inefficiente e una giustizia spesso dormiente riesce a mandare sotto processo 589 uomini politici in Calabria, 443 in Campania, 182 in Sicilia; è insomma l’ emerger e di una borghesia avida e disperata che si moltiplica nella economia della emergenza e che vede nella politica l’unico mezzo di mobilità sociale a sua portata, l’unico modo per uscire dalla palude delle professioni senza clienti, delle intraprese senza mercato, della finanza senza capitali. E questa rabbiosa, ansiosa corsa verso la politica va al suo fatale incontro con la malavita organizzata. È un incastro inevitabile: la malavita ha il controllo territoriale e il consenso dei complici o dei terrorizzati, dispone insomma di migliaia di voti di preferenza; quanto basta per avere una parte decisiva nelle elezioni, per dar corso a una selezione al peggio, per mettere le basi di ferrei dout des che ci ricorda il giudice Ayala: «Il politico non può ignorare di aver ricevuto voti dalla mafia, se ne accorge immediatamente dalla quantità. Non risulta che qualcuno li abbia mai rifiutati. Del resto sarebbe la sua fine come uomo politico, se non li prendesse lui andrebbero al suo concorrente».

Il personaggio esemplare di questa politica come successo ad ogni costo, come sopravvivenza a qualsiasi prezzo potrebbe essere Ludovico Ligato, l’ex direttore delle Ferrovie assassinato dalla mafia. Figlio di un ferroviere calabrese, cronista alla Gazzetta del Sud, diventa il portaborse di Riccardo Misasi, si fa le ossa nella politica e quando si sente abbastanza forte si mette in proprio; partecipa alle manovre politico-mafiose che fanno eleggere al comune di Reggio Calabria il capo mafioso Giorgio di Stefano. Lui sì che si accorge che la ‘ndrangheta ha ricambiato il favore, alle politiche ottiene una valanga di voti, ottantamila voti di preferenza. Così la Democrazia cristiana deve trovargli un posto adeguato a Roma, lo nomina direttore delle Ferrovie e a chi mostra sorpresa dice: ma è figlio di un ferroviere. La direzione di Ligato alle Ferrovie è un lieto convivio cui partecipano tutti i partiti, comunista compreso; l’intero consiglio di amministrazione è stato rinviato a giudizio per malversazione e il buon Ligato si giustifica: «Ho dovuto pagare tutti dal direttore ai consiglieri». Cacciato dalle Ferrovie, Ligato, parole di Misasi, «ini zia una attività economica personale». Di che si tratta? Che cosa è per un politico di una provincia mafiosa una attività economica personale? È creare una ventina di società finanziari e fantasma, intestare a terzi tutti i propri beni, non pagare le tasse e darsi da fare a Roma per mettere le mani sul fiume di miliardi stanziati per «il risanamento e lo sviluppo di Reggio Calabria ». Probabilmente ha esagerato perché lo uccidono a Bovale presso la casa di vacanze intestata alla moglie.

Un’altra e decisiva mutazione verso il peggio, se per peggio intendiamo la disunità del paese, è quella della reazione localistica dell’Italia ricca, la formazione e l’esplosione delle Leghe. Sono stati passati al vaglio nei mesi scorsi tutti gli aspetti minori, folkloristici, grotteschi, rozzi, razzi stici e chi più ne ha più ne metta di queste Leghe, ma poi si è dovuto prendere atto che il voto del 6 maggio si configura come una reazione di massa, come un voto non tanto antimeridionale quanto anti-partiti. Ed è una reazione che ha serie motivazioni, fossero anche di ansia, di angoscia. I borghesi grandi e piccoli dell’Italia avanzata, gli ope
rai e gli artigiani si accorgono, fiutano, sentono nell’aria che si è superato il livello di guardia, che non si è più al vecchio rapporto gramsciano, al blocco storico fra un Sud agrario che trasferisce al Nord i risparmi e le deleghe politiche, ma non la mafia, non la cultura mafiosa; che siamo invece alla metastasi, alla richiesta da parte della malavita organizzata di partecipazione, alle prime teste di ponte a Milano e a Torino nelle imprese edili, nelle assicura zioni, nel turismo. E a questo nuovo rapporto, a questo gioco troppo rischioso borghesi, artigiani, operai dell’Italia ricca non ci stanno. Non per moralismo, per carità: questa borghesia ha spesso e volentieri compiuto la prima accumulazione del capitale frodando il fisco, usando il lavoro nero, sottopagando la manodopera. Ma se passa la mafia, se non è Palermo che diventa simile a Milano ma l’inverso, a questo non ci sta.

Niente moralismo, dicevo. Parecchi degli imprenditori dell’Italia ricca hanno partecipato al sacco della spesa pubblica nel Sud, hanno fatto passare per nuovi impianti obsoleti; grandi aziende milanesi e torinesi hanno fatto lauti guadagni nell’Irpiniagate, non hanno protestato se si decideva di costruire diciannove superstrade in gran parte inutili. Ma proprio perché conoscono i meccanismi perversi della economia malavitosa questi imprenditori o produttori si mettono sulla difensiva. Il motto lamalfiano «teniamoci aggrappati alle Alpi», per dire restiamo nel mercato europeo e non facciamoci risucchiare in economie da Terzo mondo non è tanto un bel sentimento o una forte angoscia, ma un preciso calcolo economico: la concorrenza con l’economia malavitosa è insostenibile, essa vince la concorrenza sparando, controlla il mercato del lavoro terrorizzandolo, dispone di capitali continuamente riforniti dai suoi loschi affari.

Ma se vince non è che poi sia una semplice sostituzione, non è che si metta lei a competere sul mercato. Se vince è la fine, è il deserto come nelle regioni meridionali dove l’occupazione industriale è un terzo di quella europea, inferiore a quella del Portogallo, della Grecia, dell’Irlanda. Se vince, chi intraprende può aspettarsi di essere crivellato di proiettili come i due dirigenti delle acciaierie Megara di Catania assassinati il 1°novembre per ché non avevano pagato alla mafia il permesso della ristrutturazione. Se vince, siamo a Reggio Calabria dove impresari edili e industriali hanno gettato la spugna.

Un’altra mutazione che potremmo definire storica riguarda i partiti, la politica. Per la prima volta una formazione politica, le Leghe, ha spezza to il monopolio bianco del Lombardo Veneto, per la prima volta nei quartieri operai di Milano i comunisti sono passati ad altra formazione, per la prima volta i partiti di governo sono stati sconfitti al Nord e premiati al Sud. E qui interviene ad approfondire la disunità anche la demografia: le nascite al Nord sono in calo da alcuni anni mentre al Sud sono ancora in un trend positivo, ragion per cui nei prossimi decenni il numero dei votanti del Sud sarà in crescita rispetto a quelli del Nord. E i partiti, come la Chiesa si sposta dalle sue roccaforti europee alle nuove frontiere del Terzo mondo, così seguono la quantità dei voti e se la disputano continuando imperterriti a finanziare l’economia della emergenza e della clientela.

Qui il personaggio esemplare è Riccardo Misasi, l’ex ministro per il Mezzogiorno che in fatto di dissipazione elettoralistica del denaro pubblico è uomo di assoluta conseguenza, di totale ortodossia. E infatti incurante di Irpiniagate e altri scandali pendenti ha continuato a man dare ai giornali e ai media quintali di carte compilate dai suoi dottor sottili per convincere l’opinione pubblica a continuare nello spreco, anzi a rilanciarlo con altri centomila, altri duecentomila miliardi.

C’è infine una mutazione della malavita, una sua crescita anarcoide. Di fronte alla strage quotidiana, indifferenziata, irrazionale iJ capo della polizia Parisi è uscito in questa bella trovata: su di cuore, è un buon segno, vuol dire che la malavita è sconfitta, che ha perso la testa. Ma no, eccellenza, sta solo crescendo, moltiplicandosi in una fioritura di clan e di sottoclan. Resiste ancora nella Sicilia occidentale fra Palermo e Tra pani la vecchia mafia controllata dalla «cupola» dei vincenti: la campagna elettorale si è svolta senza violenza, non ci sono sequestri di persona, restano le zone di rifugio e di calma come a Termini Imerese: l’organizzazione ha bisogno di ordine per continuare nel grande traffico della droga. Ma in tutto il resto del profondo Sud, da Catania a Napoli, siamo al ribollire di una malavita in cui le vecchie cosche convivono con le emergenti, dove ora si è alla selezione naturale dei malavitosi scelti fra i più duri e feroci ora si è ai conflitti fra i vecchi e i nuovi.

E questo cosa significa nell’economia, nella società? Significa che nessun primario vuole partecipare ai concorsi sanitari di Locri, significa che i manager chiedono per lavorare nel Sud stipendi e privilegi di tipo coloniale, significa che gli investimenti stranieri sono assenti. La disunità, piaccia o meno al presidente della repubblica Cossiga, c’è, di fatto, e una partitocrazia cieca e stolta chiude la porta a ogni proposta di rivoluzione culturale, di riforma istituzionale, di autonomie, di controlli. Le Leghe non sono un gran che, ma possono essere il punto di appoggio della protesta che sale.
(27 agosto 2020)





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