GIORGIO BOCCA: D’Alema, impenitente gaffeur

Giorgio Bocca


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, da MicroMega 4/2002

La prima gaffe colossale di quell’impenitente gaffeur che è Massimo D’Alema è stata quella sui giornali, la volta che disse e poi ridisse che lui di tutti i giornali in edicola avrebbe fatto un pacco per la spazzatura. Una gaffe colossale da parte di uno nato e cresciuto nel Partito comunista, perché non si può andare a testa bassa contro la propria storia, non si può ignorare che nella storia dei comunisti e nella storia politica in generale i giornali hanno avuto una parte decisiva, protagonisti della politica al punto di immedesimarsi in essa, primo pensiero, prima necessità di chiunque abbia fatto politica. I giornali del movimento operaio, l’Ordine Nuovo, l’Avanti !, l’Unità: come scrivere la storia della sinistra senza i giornali, e come parlare dei giornali come spazzatura essendo stato direttore di giornale?

Di Berlinguer Pajetta disse: si iscrisse giovanissimo nella direzione del partito. Così D’Alema, che da questa iniziazione precoce alla direzione di un partito verticistico, dall’aver appreso fin dalla più tenera età come si gestisce il rapporto fra il comitato centrale e la base, fra il gruppo dirigente che si autoconserva e si riproduce e i compagni delle lotte e delle grandi speranze, si è convinto di essere un politico eccelso che può stupire amici e nemici dicendo il contrario di quanto ci si attende da lui: «D’Alema, di’ qualcosa di sinistra».

Partito con quella gaffe colossale, il nostro è arrivato alla gaffe stratosferica della sua presenza alla beatificazione di Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Che non sarà come ora ci raccontano i revisionisti quella setta di integralisti quasi nazisti di cui il partito di D’Alema ci ha parlato per anni con orrore, ma è pur stato il ponte su cui il franchismo si è salvato trasbordandosi nella monarchia democratica, e pur sempre una massoneria clericale, ricchissima, potentissima, dovunque ostile alla sinistra anche se l’onorevole Casini la descrive come un movimento operaio.

Fra l’una e l’altra gaffe colossali una serie impressionante di gaffes, diciamo così, abituali. Quella recidiva della barca, per dire. Che consiste prima nel non capire che la «barca» da regata è nell’immaginario italico il segno di una ricchezza che esclude da ogni credibile rapporto con la lotta di classe, e poi nell’insistere a spiegare che no, la barca oggi è alla portata di tutti, cioè nell’insistere a fare un discorso da ragioniere alla gente delle grandi speranze. Prima la barca, poi le scarpe da un milione, e poi, a scuola di televisione da Costanzo, questo berlusconismo di ritorno: ho scoperto anche io la televisione, ho scoperto che la televisione arriva dovunque e che l’intervista televisiva debitamente organizzata è più sicura di quella giornalistica, ho scoperto che i libri pubblicati dalla Mondadori vendono di più e che presentati da Costanzo arrivano nel ceto medio indeterminato.

Ecco, la gaffe recidiva di D’Alema consiste nel fatto che per lui, figlio del Pci, Berlusconi è l’esempio, bisogna imparare da lui l’arte di comunicare e l’importanza dei soldi, e la disinvoltura dell’antimoralismo – come, arrivati a palazzo Chigi, circondarsi di una corte dei miracoli, pornografi e affaristi. E da ogni sconfitta, da ogni testata nel muro trarre la prova di essere il migliore, l’indispensabile.

Dicono che sia tornato il tempo delle personalità dominanti. Può darsi: anche come iattura. Dicono anche che ci sia da parte della nuova sinistra un accanimento contro D’Alema, un rancore che va al di là della delusione politica. Anche questo può essere, ma per una precisa ragione: un comunista che tradisce i valori e il costume dei comunisti ferisce anche coloro che comunisti non sono mai stati, ma che al comunismo si sono rapportati come a qualcosa di serio, anzi di tragico, che fa parte della loro vita.
(27 agosto 2020)





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