GIORGIO BOCCA: Il dalemismo, malattia inattesa del conformismo

Giorgio Bocca


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La maldestra svolta del Pds sui giudici coraggiosi riporta in evidenza gli antichi vizi della tradizione togliattiana. Che cosa vuol dire ‘rivoluzione civile’.
, da MicroMega 5/1996

Invitato da Massimo D’Alema a uscire dalla polemica faziosa e a riflettere serenamente, mi sono confermato nell’opinione che la svolta del Pds sui giudici coraggiosi, sul governo Prodi e sull’Ulivo sia, a dir poco, maldestra. Vedremo in un prossimo futuro se essa è la politica intelligente che dice il suo autore, ma oggi, nel presente, sembra avere tutti i connotati di un machiavellismo di corto respiro. Condotta in un modo che lascia perplessi sulla intelligenza politica del gruppo dirigente.

Ma come! Si esce con pena e rischi dalla cultura staliniana e togliattiana della unanimità attorno al segretario infallibile e carismatico e poi, come burattini, come al «contrordine compagni», tutti passano dai giudici di Mani Pulite ai loro nemici e critici, e il compagno Folena, primo della classe unanime, arriva a parlare di nuovo medioevo nel senso di inquisizione, torture e roghi. Nel discorso che D’Alema e i suoi vanno facendo sulla magistratura c’è un sistematico rovesciamento della verità, condito, quel che è peggio, da ipocrite e generiche attestazioni di stima.

Si dice che la magistratura di Mani Pulite ha usurpato una funzione che non è sua o soltanto sua; che ha voluto da sola combattere la corruzione, compito precipuo della politica; e che per farlo ad ogni costo ha usato metodi inquisitori inaccettabili in uno Stato di diritto. A noi sembra che le cose stiano nel modo opposto: che una parte della magistratura abbia deciso di rompere il consociativismo di una politica in cui non esisteva più da anni una opposizione, in cui tutti, compresi i comunisti e i postcomunisti, avevano dei cadaveri negli armadi, in cui tutti avevano accettato come cosa naturale che i costi altissimi della politica fossero pagati con le tangenti, o nel modo diretto e spesso personalmente truffaldino dei partiti di governo, o in quello indiretto e personalmente niente o poco truffaldino dei comunisti. Dunque la magistratura di Mani Pulite non ha usurpato nulla perché non esisteva in Italia una politica capace di fare pulizia nei suoi palazzi. D’Alema rivendica il merito di aver fatto guerra a Gava e amici quando era direttore dell’Unità, ma non vorrà sostenere che il suo partito abbia fatto una guerra seria alla partitocrazia, sia andato sul serio a rovistare nel letamaio. Bettino Craxi e Giulio Andreotti il giorno prima che Di Pietro scoperchiasse la pentola della corruzione socialista a Milano erano in pole position per diventare capo del governo e presidente della Repubblica. Non risulta che la direzione comunista fosse sul punto di sventare quelle terrificanti candidature mobilitando le sue masse. Tutto consociativamente dormiva, tutto avrebbe continuato a dormire senza la scossa tellurica della Lega e l’iniziativa dei magistrati a cui, quasi inaspettatamente, si presentava l’occasione di recuperare la regola principe della giustizia: la giustizia è uguale per tutti, anche per i potenti.

Non risulta che negli anni precedenti all’arresto del compagno Chiesa la sinistra si sia decisamente, fortemente opposta a un rapporto fra politica e magistratura che alla resa dei conti vedeva sempre vincente la politica corrotta e corruttrice. E qui siamo al secondo argomento di questi improvvisati tutori del diritto. Usurpando una funzione che non è sua o soltanto sua – dicono – la magistratura di Mani Pulite si è sovraesposta. Non riusciamo a capire che significhi questa parola da fotografi. Le parole giuste a noi sembrano: esasperata, disperata, bistrattata e in parte rassegnata. Perché è un dato di fatto che questa magistratura usurpatrice, sovraesposta, faziosa, cospiratrice ha quasi sempre perso, quasi sempre è stata derubata delle sue indagini. È un elenco tanto noto quanto dimenticato in questo paese senza memoria.

Indagine sulla P2. I magistrati Turone e Colombo che hanno scoperto gli elenchi di villa Wanda vanno a Roma per informare il capo del governo Arnaldo Forlani. Li riceve nell’anticamera il prefetto Mario Semprini, tessera di iscrizione alla P2 1637. Dal mattino si capisce come sarà la giornata: dopo dieci anni arriveremo alla sentenza di una Corte di appello in cui la P2 è definita come un’associazione di affari, una specie di Rotary. Libero il venerabile Licio Gelli, libero il generale Palumbo, liberi tutti. Poi c’è il Giovanni Falcone cacciato da Palermo e il Paolo Borsellino confinato a Marsala, quanto a dire la cancellazione, per anni, del pool palermitano, ci sono le centinaia di sentenze della Cassazione che rimettono in libertà assassini e mafiosi, c’è lo scandalo dell’Iri che si procurava dei fondi neri da passare ai partiti facendo rimanere in giacenza presso banche amiche i suoi crediti e intascando gli interessi.

Una magistratura arrogante? Sta per uscire un libro di Gherardo Colombo e sentite cosa pensa quando gli dicono che lo scandalo si è risolto in una bolla di sapone, tutti assolti. «Quel mattino ero pieno di rabbia, dominato dall’impulso che solo a fatica avevo vinto di salire sul palco dove avrei dovuto tenere una relazione a un convegno del Consiglio superiore della magistratura, e annunciare le mie dimissioni, dicendo pubblicamente ai colleghi che mi stavano a sentire che non ne valeva la pena. La prima tentazione è proprio quella di andarsene. Poi prevale la consapevolezza che si tratterebbe di un gesto clamoroso ma inutile, una scena che ha poco a che fare con quello che sono. E allora mi tengo la delusione, la relego in un angolo della mente dove possa dare il minor fastidio possibile permettendomi però di ricordare che lì c’è qualcosa che oltre a far male conferma il mio modo di essere e mi insegna ancora qualcosa».

Arroganti? È un anno e mezzo che Antonio Di Pietro leggendo i giornali al mattino ci trova diffamazioni, insinuazioni, accuse ripetute le mille volte, le mille volte smentite anche da tre sentenze del tribunale di Brescia. Ma proprio a Brescia c’è una procura che non lo molla, ha già iniziato una nuova inchiesta, «un atto dovuto» come lo chiamano, che consisterebbe nel prendere sul serio una frase di un galantuomo come il banchiere Pacini Battaglia «ho pagato per uscire da Mani Pulite». Con accompagnamento della Guardia di finanza, del Gico che anche lui insinua, allude.

Sovraesposti? Prepotenti? I giudici di Milano stanno lavorando duro per tener dietro a un’indagine che si ramifica in cento direzioni, quando il ministro di Grazia e giustizia del governo Berlusconi, Biondi, gli manda degli ispettori, li mette cioè sotto accusa. Si dà il caso che questi ispettori siano delle persone perbene, le quali riferiscono a Roma che non c’è nulla di irregolare. Il successore di Biondi, il ministro Mancuso, dice che sono stati minacciati dalla procura milanese, manda nuovi ispettori. L’odio per Di Pietro e per Borrelli diventa ossessivo, la loro vita, le loro azioni vengono cosparse di inganni, di reati, di malefatte. Un procuratore, il dottor Torregrossa, ha tolto il processo di Brescia al giudice Salomone? È chiaro, è un amico di Di Pietro, pare che abbiano fatto affari insieme.

Dove sono finiti i vari scandali del petrolio e i generali della Finanza che ci partecipavano? Dove lo scandalo Enimont? Dove i miliardi dei conti protetti del signor Craxi che dice di averli mandati al partito ma che nelle casse del partito non sono mai arrivati?

Massimo D’Alema invita alla serenità. Dopo di che serenamente dice che quelli che non la pensano come lui sono dei faziosi di nessuna intelligenza. Ma noi sull’intelligenza politica sua e dei suoi stretti collaboratori cominciamo ad avere, a volte, qualche sospetto. Per esempio la presentazione assieme a Berlus
coni del libro di Vespa, che è un giornalista abile ma la quintessenza della informazione di regime – fu lui a dire che il suo azionista di riferimento alla Rai stava in via del Gesù, era la Dc. D’Alema scrive lettere amichevoli a Prodi, ma farsi vedere a fianco di un Berlusconi raggiante non è un gesto di inimicizia a Prodi? Non lo sa che ogni giorno la stampa di proprietà dei Berlusconi attacca la famiglia del premier, presenta come reati delle normali prestazioni professionali? D’Alema ha molta fretta di mettersi con quelli del Polo per fare le provvidenziali riforme. Ma non gli sembra che sia un’operazione rischiosa, non c’è il pericolo che i compagni riformatori siano nel frattempo finiti in carcere o incriminati? Nel Polo ci saranno certamente fior di galantuomini ma l’aria che ci tira è di restaurazione impudente.

Per esempio la difesa continua, generale fatta dai leader del Polo a Giulio Andreotti. Il buon Casini e Mastella che arrivano come delegazione amica al processo di Palermo, le accuse ad Andreotti scambiate come una congiura premeditata di giudici «comunisti» per affondare la Democrazia cristiana. Ora che questi giudici «comunisti» vengono attaccati dai postcomunisti, la storia delle toghe rosse è sempre più traballante ma si continua a dar credito alle tesi andreottiane anche se manifestamente false. Non sapeva chi erano i cugini Salvo? Non ha mai incontrato i cugini Salvo? Alla fine anche Giacomo Mancini, che con la giustizia non è tenero, è sbottato: ma come fa a negare l’evidenza! I Salvo erano i finanziatori della Dc, conosciuti da tutti, presenti dovunque.

Sì, veniamo colti ogni tanto da dubbi sull’intelligenza dei dirigenti postcomunisti. Il compagno D’Alema che ebbe a dichiarare che «lasciare i giornali invenduti nelle edicole è un atto di civiltà», che ha escluso dai suoi seminari i giornalisti che per decenni hanno cercato di testimoniare per l’onestà contro la corruzione, per l’informazione autonoma contro l’informazione subalterna, va a presentare il libro di Vespa. È davvero una mossa intelligente, un messaggio intelligente? È intelligente il presidente della Camera Violante quando si mette in cattedra contro i giudici di Mani Pulite come giudici di parte, lui che notoriamente è stato un giudice di partito, un giudice politico? Pensa di guadagnarsi la stima di coloro che hanno votato per l’Ulivo? O pensa ai voti moderati che potrebbero innalzarlo, Dio ne scampi, alla presidenza della Repubblica? È intelligente sabotare l’Ulivo, unica novità della sinistra italiana, per ritornare all’egemonia, alle discipline, alle superbie, ai vanti del grande partito verticista?

Il compagno D’Alema è inorridito leggendo in un mio articolo che i giudici di Mani Pulite sono stati l’avanguardia di una rivoluzione civile. Forse non sa cosa si intende per rivoluzione civile. Ebbene, si intende una rivoluzione delle coscienze, un rifiuto della intelligenza politica come puro cinismo, si intende una rivolta dei cittadini contro il potere occulto, e occulto perché i suoi legami con la malavita non gli consentono la trasparenza. Sa qual è la giustizia a cui pensano i restauratori? La giustizia normale in Italia dall’Unità, la giustizia eguale per tutti meno che con i potenti, la giustizia lodata, quasi venerata, quando sbatte in galera la gente comune ma che trova sempre il modo di mandare assolti i potenti magari con l’abilità avvocatizia di ex marxisti leninisti.

Dicevo che forse il compagno D’Alema non ha capito cosa volevo dire parlando di una rivoluzione civile guidata dall’avanguardia di Mani Pulite. Cercherò di essere più chiaro. La durata di Mani Pulite, cinque anni, è di per sé una rivoluzione, qualcosa che nella storia italiana non è mai avvenuto. Anche in passato, vedi i processi alle immobiliari romane o alle cosche mafiose, la magistratura aveva operato contro la corruzione e la malavita organizzata, ma non aveva mai neppure tentato di mettere sotto accusa un intero sistema, di fare un quadro quasi completo dei rapporti fra corruzione privata e pubblica, fra grandi aziende di Stato o private e partiti politici, fra apparato statale e interessi di partito o personali. Non era mai accaduto che la magistratura varcasse i confini del paese per trovare la collaborazione di altre magistrature con centinaia di rogatorie. Non sempre l’operazione è riuscita, ci sono state magistrature che si negavano «per mancanza di tempo», altre che si chiudevano per respingere una pretesa lesione della loro autonomia, ma la rete delle connivenze e degli occultamenti verso i conti-protezione è stata in buona parte scoperta e si è accertato che questo segreto non è poi così inviolabile. E questa non è rivoluzione? Non è rivoluzionario il risultato di aver convinto anche segretissime banche svizzere o londinesi o lussemburghesi a collaborare? Quando si era mai visto un paese straniero, una giustizia straniera come l’inglese spedire quindici casse di documenti sulla contabilità Fininvest? Quando si era mai trovata una magistrata elvetica come la Del Ponte disposta a lavorare per un’inchiesta italiana?
Ma il cuore di questa rivoluzione civile è ben altro. Rompere per la prima volta, incrinare per la prima volta il pack del potere per arrivare direttamente ai cittadini, alla pubblica opinione. E questo Mani Pulite lo ha ottenuto. Prima appoggiati da un sistema informativo i cui padroni li avevano sottovalutati poi assediati, bombardati senza interruzione e senza decenza, i giudici hanno compiuto il miracolo di restare in presa diretta con la pubblica opinione. Forse solo nel periodo peggiore della guerra fredda il sistema di informazione si era così compattato nell’offensiva contro il comunismo staliniano. Ma in condizioni oggettive molto diverse. Intanto alla base di quella campagna c’erano i delitti e la ferocia dello stalinismo e poi si trattava di fatti lontani difficilmente controllabili. Inoltre quel sistema informativo era relativamente debole, non esistevano le televisioni, non c’era il turbillon dei talk-show, la radio si occupava poco di politica. Ma il potentissimo sistema attuale, il concerto tambureggiante delle accuse non ha impedito che l’opinione pubblica si mantenesse a larga maggioranza favorevole a Mani Pulite.
La rivoluzione civile consiste nel fatto che per la prima volta una maggioranza italiana si dichiara favorevole all’osservanza delle regole più che all’osservanza dei poteri e sembra aver capito che anche le regole dure che impongono sacrifici possono dare in cambio una vita più chiara, più rispettabile. Non siamo certamente a una rivoluzione vittoriosa, siamo ancora in bilico fra una società europea e una levantina ma che si tratti di un conflitto di tipo rivoluzionario e non di una semplice rivolta, di un semplice fuoco di paglia lo dimostra il fatto che lo scontro non è solo fra due poteri, quello dei giudici coraggiosi e quello dei potenti dell’economia e dello Stato, ma è anche uno scontro che coinvolge gran parte dei cittadini in sospeso fra il vecchio secolare costume italiano e il tentativo di una minoranza di massa di rinnovarlo. Il partito della restaurazione, dei poteri costituiti e impuniti non ha potuto contare soltanto sulla complicità dei disonesti, ha trovato l’appoggio anche di quel modo di pensare italico per cui i poliziotti e i giudici sono in ogni modo sbirri, le regole in ogni modo inique; e bravi i furbi che le eludono.
Certo a questo modo di pensare non mancano anche oggi fior di ragioni: le leggi sono infinite, spesso incomprensibili e contraddittorie e regola principe popolare resta il «fatti gli affari tuoi». Questa Italia pessimista ha certo fatto da cassa di risonanza alla restaurazione, le ha comunque permesso di ricorrere ad argomenti falsi, logori che provengono, ha ragione Di Pietro, dal famoso poker d’assi che Craxi diceva di avere in mano, sempre le solite quattro carte false in cui c’era già tutto l’armamentario accusatorio, dai soldi di Pacini Battaglia alle frequentazioni discutibili del magistrato, dalle indagini segrete della Finanza ai pretesi affari sull’informatica. Il segno che questa minoranza di massa esiste è il successo di vendite del Giornale di Vittorio Feltri a cui il ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, forse con ironia poco comprensibile, ha fatto per lettera «i complimenti per il suo ottimo giornale». Più il Giornale sparava accuse e diffamazioni più la tiratura saliva come se a fiuto di Feltri avesse scoperto quel giacimento anarcoide. Ma la maggioranza degli italiani continua a sostenere Mani Pulite anche se quasi tutti i sondaggi hanno per così dire il veleno nella coda, sono fatti in modo da far cadere in trappola gli intervistati. Ma si ha un bel destreggiarsi nelle domande infide, si ha un bel spargere trappole, alla fine gli interrogati rispondono settanta su cento di essere sostanzialmente dalla parte dei giudici. In questo inizio di rivoluzione civile, in questo tentativo di fare chiarezza nelle regole del paese, nella sua classe dirigente, nella sua storia, la svolta del Pds può avere effetti pessimi, ed è singolare che i dirigenti del partito non se ne rendano conto.
Le loro critiche ai magistrati di Mani Pulite sembrano rispondere alla vecchia predica reazionaria che tutti i gatti sono bigi, che non ci sono giudici migliori degli altri, che sì quelli di Mani Pulite al principio qualcosa di buono hanno fatto, ma ora tornino nei ranghi, non si sovraespongano. Di questo compattamento al peggio, di quest’accordo nazionale al peggio fa parte anche la campagna aperta dal presidente della Camera Violante e ora ripresa dal presidente della Repubblica Scalfaro per la riconciliazione nazionale. In una pubblica cerimonia davanti a palazzo Venezia il capo dello Stato ha detto che bisognava affratellare in un comune rimpianto i morti partigiani e i combattenti di Salò che su opposte sponde si erano battuti «in buona fede». Ha fatto bene Vittorio Foa a rispondergli subito che non si trattava di compiangere i morti ma di giudicare i vivi, di ricordare che da vivi quei combattenti in buona fede erano stati dalla parte del nazismo razzista, che se avessero vinto avrebbero imposto una dittatura razzista. Come non bastasse la cerimonia militare, il giorno dopo c’è stata una messa funebre, presenti le più alte autorità.
Queste non sono operazioni di chiarezza, questi sono i tentativi di ciò che resta della Prima Repubblica di passare nella Seconda grazie al consenso generale, grazie a degli embrassons nous che puzzano di ipocrisia lontano un miglio. Questo paese sepolto, addormentato, addomesticato sotto strati secolari di indulgenze, di perdoni, di pacificazioni è un paese che ha un grande bisogno di chiarezza.
(27 agosto 2020)





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