GIORGIO BOCCA: Napoli fra degrado e riscatto
Giorgio Bocca
Marco Rossi Doria: Il libro di Bocca, Napoli siamo noi, documenta molti aspetti della Napoli contemporanea e si sofferma sulla critica della «napoletanità». A questo proposito, io credo che ci siano due aspetti da considerare. Il primo – ed è il merito del libro – è che Bocca ha messo il dito in una piaga e ne ha fatto uscire il pus, e la puzza di pus dà fastidio a quella parte di ciascuno di noi che non vuole sentirla. È la piaga di un sistema di potere che coinvolge molte parti della città e che è colpevole della sua divisione e del suo declino. Il secondo aspetto, invece, provoca un fastidio meno forte, meno doloroso: Giorgio Bocca ha fornito una descrizione di fenomeni diversi senza accompagnarli con dati e informazioni più attenti alla molteplicità e complessità delle situazioni e ciò gli impedisce di distinguere cose che hanno più aspetti, anche contraddittori. Credo, per esempio, che nella società napoletana vi siano elementi positivi e lo sto verificando in queste settimane: il neonato movimento Decidiamo insieme sta rompendo quella cappa, quell’opprimente gioco delle parti di cui parla diffusamente Bocca, e sta facendo emergere – come è avvenuto in altre stagioni della storia di Napoli – anche elementi costruttivi, «fantasiosi» nel senso propositivo del termine.
Quindi, per un verso, il grande merito del libro è di denunciare una verità, e ogni qualvolta in Italia si dice la verità si provocano reazioni di rigetto; per altro verso, è un libro che non prevede l’analisi approfondita. E per di più bisogna mettere in conto che dà sempre fastidio che qualcuno mostri i nostri difetti venendo da fuori: per fare un esempio, invertendo le parti, se io vengo a Cuneo e noto delle cose – ed è ovvio che a me saltino all’occhio più che a un abitante di Cuneo – agli abitanti di Cuneo ciò può dare fastidio.
Nelle reazioni napoletane al libro di Bocca, poi – che io ho trovato sopra le righe – credo si mischino tutti questi elementi.
Giorgio Bocca: A me per esempio ha stupito che un intellettuale come Ermanno Rea, di cui io sono stato compagno e collega al Giorno a Milano, scriva di me che sarei «una vecchia scarpa littoria carica di nostalgia». Ma è possibile che lui non mi conosca abbastanza per sapere che sono uno che ha fatto venti mesi di guerra partigiana? Che ho fatto tutto, nella mia vita giornalistica, per sostenere la democrazia? Mi sembra una strana dichiarazione.
Rossi Doria: Sono d’accordo con lei. Peraltro io ho un padre che è stato dirigente di Giustizia e libertà, quindi queste cose non le potrei mai dire. Penso che questo sia un vero malcostume italico, per cui ci si permette di usare epiteti contro le persone invece che entrare nel merito, magari anche criticamente. Anche in questa campagna elettorale, qui, a Napoli, c’è la tendenza a demonizzare le persone con dei prestampati sovietici, invece di argomentare il proprio accordo o disaccordo.
Bocca: Io, per esempio, sono stato molto impressionato dal dibattito che è stato organizzato a Roma da Corrado Augias, a cui ha partecipato il direttore del Mattino di Napoli. Il direttore del Mattino, in quell’occasione, ha detto che io mi sono inventato delle accuse verso Napoli e verso il suo giornale, che ho detto delle menzogne chiarissime: per esempio, che sul Mattino uscivano degli annunci a pagamento, con date di nascita o battesimi o matrimoni di camorristi. E invece questo è avvenuto: in questi annunci non compariva il nome esatto del camorrista, ma il riferimento era chiarissimo.
Rossi Doria: Di fronte a questi fenomeni, io cerco di mantenere una posizione eticamente molto ferma contro la pervasività del malaffare. Ma dato che ho fatto per anni l’educatore nei quartieri difficili, so anche che ci sono distinzioni da fare, nel senso che la vita civile, le speranze, la voglia di riscatto esistono anche nelle zone grigie della città e tra persone che sono vicine al malaffare per necessità. E quindi non si deve fare di tutta l’erba un fascio, non si deve pensare che non ci siano elementi di speranza; bisogna anzi sollecitare lo scollamento di queste zone grigie, che hanno caratteri anche positivi, dal malaffare organizzato, dalla struttura camorristica vera e propria. In molti abbiamo fatto questo per gli ultimi venti anni, con i ragazzi che non andavano a scuola, e ho visto che si ottengono dei risultati. Insomma, bisogna sapere qual è il nemico, bisogna essere molto fermi, ma al tempo stesso proporre e svolgere un’azione positiva tale da conquistare alla vita civile e legale chi è oggi nell’ombra delle forze criminali.
Nel caso specifico ricordato da Bocca, per esempio, devo sottolineare che non si tratta di annunci che prefigurano un’azione di guerra, di camorra, o un’azione criminale; là è la vita familiare, civile, che ha la sua espressione tradizionale, anche se certamente è frammista al resto. Ripeto: bisogna sapere distinguere, altrimenti non c’è speranza nell’azione propositiva. Lo so che è tutto mischiato, ma la fatica sta proprio nell’isolare la parte peggiore e nel conquistare lentamente il resto, altrimenti stacchiamo la città, la condanniamo tutta insieme alle sue parti peggiori e la mandiamo in mezzo al Mediterraneo.
Bocca: Una cosa che mi ha preoccupato e stupito è che io, avendo scritto un altro libro su Napoli già dieci anni fa, sono tornato e ho trovato la situazione peggiorata. Penso, poi, che questo modello napoletano si stia estendendo anche al Nord, ed è questo il motivo per cui ho intitolato il mio libro Napoli siamo noi: stiamo diventando tutti una società per cui il rispetto della legge non esiste, e questo è molto preoccupante.
Mi chiedo: è possibile che una società civile viva, come a Napoli, con 50 cosche mafiose in città e 100 nella provincia?
Rossi Doria: È molto duro vivere così, e ci sono migliaia e migliaia di napoletani onesti che stanno iniziando a ribellarsi, a costi evidentemente elevatissimi. Ma il problema è come uscirne. C’è da liberare Napoli da questo giogo, un compito immane e urgente, che è attuale anche in altre aree del Mezzogiorno, che chiama a un nuovo meridionalismo. Il problema di come liberare la città da questa tenaglia implica il riconoscimento di un blocco, che è anche un blocco politico.
Attenzione: questo blocco non è necessariamente una diretta emanazione della criminalità organizzata – anche se probabilmente qualche settore della politica è implicato. Quello che è successo è che si è creduto in uno sviluppo dirigista dall’alto, con regole chiuse che impediscono la partecipazione; la mancanza di democrazia partecipata fa sì che sia molto difficile per i cittadini prendere le decisioni e innovare la vita politica e il mancato affiancamento di una democrazia deliberativa alla rappresentanza politica sminuisce la possibilità di controllo delle infiltrazioni, delle pressioni e dei ricatti camorristici sulla politica. Al contempo il potere criminale cerca continui contatti diretti e compromessi con il potere politico perché ha un potere economico suo proprio, che tende a fare valere sulle decisioni di politiche pubbliche, sui canali di utilizzo delle risorse, sulla scelta di siti, manager, procedure. Infatti la camorra è forte di un vero e proprio capitale f
inanziario accumulato, legato al mercato immenso delle droghe e alle altre attività sistemiche quali la gestione dei rifiuti o dei suoli.
Nella nozione di blocco politico-sociale c’è un altro aspetto che Bocca ha notato. Settori di cosiddetta società civile alzano il prezzo della propria cooptazione – e su questo sono d’accordo con alcuni passaggi del libro di Bocca – e così non si riesce a combattere seriamente questo sistema.
Ma contemporaneamente va detto che interi settori della vita produttiva, imprenditoriale, del privato sociale, del movimento delle cooperative, del volontariato, della scuola militante, della ricerca che in questi anni hanno recato testimonianza di altro, lavorando duro, lavorando sodo – e questo il libro lo vede un po’ poco – ora si stanno rimettendo in discussione, perché il sistema è cotto e non ce la fa più a produrre ricchezza, a produrre speranza: c’è una cappa che pesa troppo. E penso che qualcosa succederà. Ben al di là della mia vicenda personale, della mia candidatura a sindaco di Napoli, è indubbio che le cose si stiano muovendo, anche se non sappiamo l’esito di questo movimento.
Non è solo una questione napoletana. Il clima nazionale non è stato certo d’aiuto: vige una mancanza di regole al vertice per cui a comandare è il più forte, il più furbo, che può fare quello che gli pare per il proprio tornaconto personale, o per l’equilibrio del proprio gruppo. In una città come Napoli, dove esiste una rete di malaffare, questo elemento nazionale diventa un moltiplicatore.
Bocca: Io penso che il governo Berlusconi abbia incoraggiato l’illegalità…
Rossi Doria: Sono perfettamente d’accordo.
Bocca: Come dire: se comandano i più forti, i più furbi, allora facciamolo anche noi.
Rossi Doria: Ed è così in Sicilia, in Calabria, e in molte parti della Puglia: esistono intere zone del paese che sono completamente sollevate dalla responsabilità democratica.
Bocca: Negli Stati Uniti, in alcune città si è trovato come rimedio la tolleranza zero. A Napoli mi pare invece che la tolleranza sia totale.
Rossi Doria: Su questo punto io sto sostenendo un dibattito in questa città. Prendiamo due esempi: New York e Miami South. In tutti e due i casi la tolleranza zero è stata possibile, innanzitutto, perché il potere politico locale era fornito di forze di polizia direttamente al comando dell’autorità municipale, e questo, come è noto, non è nel nostro ordinamento. Quindi occorre un nuovo patto sulla battaglia dura contro l’illegalità, tra chiunque sia o diventi l’autorità politica di questa zona, regione provincia o comune, e l’autorità centrale.
E poi comunque c’è stata, anche in una persona come Rudolph Giuliani – e faccio il suo nome come metafora – un’attenzione a conquistare fette di società escluse. Insieme alla repressione, infatti, c’è stato il paradosso che finanche il sindaco simbolo della repressione a New York, repubblicano ed ex procuratore, ha favorito la spesa per la formazione, i centri sociali e di aggregazione per i giovani, le mamme sole, le famiglie povere.
In Florida c’è stata addirittura una proposta di questo genere: si garantisce la possibilità di aprire esercizi legali e ottenere micro prestiti anche a chi è coinvolto nell’illegalità, a condizione che queste persone escano completamente dall’influenza dell’organizzazione criminale.
Noi abbiamo decine di migliaia di ragazzi che hanno svolto piccole attività illegali, i quali poi, a trent’anni, si trovano ad avere i diritti civili dimezzati: non possono chiedere un micro prestito, non possono aprire un esercizio, non possono affittare un locale per svolgere un’attività commerciale e quant’altro perché non possono ottenere la licenza. Vogliamo regalare tutti questi giovani al welfare della camorra? Se non glieli vogliamo regalare, allora, per un verso, bisogna attaccare la camorra, per altro verso, bisogna fare una politica di sviluppo che cerchi di integrare queste fette di società. È una battaglia culturale e politica decisiva.
Bocca: Io ho notato con stupore che, a Napoli, il fatto che una parte della popolazione parteggi chiaramente per la camorra ha destato poco scandalo. Ci sono degli scontri contro la polizia in cui la popolazione è a favore dei camorristi…
Rossi Doria: Ce ne sono stati solo un paio, estremamente gravi, uno a Scampia l’anno scorso…
Bocca: Credo che non si tratti di casi isolati, ma che siano comportamenti generali. L’aiuto alla polizia è scarsissimo, l’omertà è abbastanza generale…
Rossi Doria: L’aiuto alla polizia è scarsissimo, ma i mezzi per difendere la propria integrità fisica, una volta che hai deciso di aiutare, sono altrettanto scarsi: il modo in cui si testimonia nei processi contro il malaffare sono tali da non offrire protezioni sufficienti. Questo non è un elemento secondario, sia in termini giuridici che in termini pratici, perché si mette a repentaglio la vita propria e quella dei propri figli.
Bocca: Questi comportamenti si stanno trasmettendo a tutto il paese. Anche al Nord la polizia incomincia a essere vista come nemica.
Rossi Doria: Ripeto: non è facile aiutare se non c’è protezione. Non è ammissibile che mi si possa vedere in faccia quando testimonio contro una cosca organizzata militarmente. Non posso uscire dal tribunale senza protezione, non si può chiedere alle persone di essere eroi, sempre, ogni volta.
Bocca: È vero, io stesso ho notato una qualche resistenza all’illegalità, ma mi pare che sia diminuita rispetto agli anni passati: mi pare che questo modello di tolleranza totale, o tolleranza molto ampia, conduca al peggio invece che condurre al meglio.
Rossi Doria: Penso che sia molto vero quel che si dice, cioè che ci sia una vasta zona grigia, inattiva. Però c’è anche una specie di eroismo silenzioso. Faccio degli esempi. Un ragazzo che ha la terza media o due anni di superiori in tasca, e che intorno vede un livello di disoccupazione per il gruppo della sua età che è oltre il 60 per cento, non ha alcuna speranza. Eppure sale su un treno e va a fare il precario, il co.co.pro. – come si chiama adesso – o un suo equivalente, a Modena, a Reggio Emilia, nel Veneto o in Friuli per meno di mille euro al mese, e torna ogni tre settimane con il treno. Come negli anni Cinquanta, ma in una condizione peggiore dei suoi nonni, che partivano da Napoli per andare a lavorare alla Fiat o alla Pirelli, in tutt’altra dimensione. Oppure è costretto a lavorare in fabbrichette, servizi, bar, solitamente senza un contratto di lavoro: eppure lo fa, per 110-150 euro a settimana, con orari che vanno fino a 50 ore a settimana, mentre sul pianerottolo di casa gli propongono di vendere cocaina o altre sostanze stupefacenti o di fare altre cose molto più redditizie; e invece quello la mattina si sveglia, va e lavora a quelle condizioni. Insomma: questa parte della società, questo eroismo diffuso, più silente, più normale, che io vedo nel mio lavoro da anni e anni, a mio parere deve essere rimarcato perch&e
acute; indica che Napoli ha risorse popolari per il riscatto.
Bocca: Certo, io non ho preteso di fare un libro esaustivo su Napoli.
Rossi Doria: Io questo l’ho capito, e infatti ho apprezzato il libro, nonostante qualche critica che le ho fatto.
Bocca: Vorrei sentire la sua opinione sulla perdita della zona industriale, che a me sembra una perdita gravissima.
Rossi Doria: Mi batto per una Napoli integrata, in cui i settori produttivi, dalla cantieristica all’hi-tech alla ricerca applicata alle bio-tecnologie, dall’artigianato alla multimedialità, dalla logistica ai trasporti ferroviari, dal commercio al turismo si possano integrare. Occorre dare un sostegno all’impresa locale, piccola, media, grande, e, insieme, creare condizioni per attrarre le imprese e gli investimenti internazionali. Bisogna promuovere la creazione di imprese innovative, di microimprese per i giovani, di imprese anche solidali o cooperative: insomma, un sistema molto misto che solleciti sviluppo e sappia pensare anche in termini di integrazione formativa e sociale.
Oggi tutto questo anche se annunciato è sostanzialmente fermo perché si crede che l’emanazione dello sviluppo debba venire dal controllo del ceto politico, e questo non è possibile a Napoli come non è possibile in nessuna parte del mondo.
Bocca: Mi pare anche che ci siano dei veri e propri miti, come quello del turismo. Il sindaco mi ha magnificato progetti per hotel a cinque stelle. Io ci credo poco a questa prospettiva.
Rossi Doria: Il turismo, come dicevo prima, deve far parte di un sistema integrato di sviluppo e si può pensare a un nuovo turismo che preveda un sistema di offerte molto ampio per far trascorrere il tempo in città.
È una grande fatica far ripartire una città come questa. Però ci sono tante risorse, in centro e nelle periferie, innanzi tutto le risorse umane: abbiamo molti più giovani in percentuale delle altre grandi metropoli italiane, dove demograficamente la quantità di ragazzi è minore rispetto all’insieme della popolazione. Poi c’è l’occasione data dal fatto che quando si sta più indietro, c’è anche la possibilità di un salto più lungo in avanti – un paradosso noto in economia. Certo, occorre per un verso un’idea più aperta dello sviluppo locale capace di unire risorse pubbliche e private, e, per altro verso, vanno ripristinati quei limiti evocati da Giorgio Bocca.
Bocca: Io mi chiedo perché la classe dirigente napoletana non abbia mai pensato a fare una vera rivoluzione culturale. Perché è vero che a Napoli ci sono molte forze buone e democratiche, però c’è anche una sorta di campagna culturale in favore di una tolleranza e di una lode dei vizi napoletani.
Rossi Doria: Sì, c’è un crogiolarsi in questi vizi da parte delle componenti della società più abitudinarie. Aldo Masullo, per esempio, propone proprio una diagnosi simile: questa abitudinarietà smussa ogni rivolta; la pigrizia fa fallire la costruzione certosina e faticosa della responsabilità, la crescita dei diritti e dei doveri.
C’è bisogno di una nuova moralità, che, come ripeto, è diffusa, ma non riesce a trovare un catalizzatore. Ma ciò implica una rottura con il blocco del ceto politico e con il suo modo di operare.
Il ceto politico nazionale sta dando certamente un cattivo esempio riguardo al proprio distacco dai cittadini. A me pare che il non plus ultra siano state le vicende legate alle liste elettorali per le prossime elezioni politiche, per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica. Questa volta si voterà come nella Bulgaria degli anni Settanta, a lista bloccata, senza sapere chi si contribuisce ad eleggere. Qualunque sistema elettorale precedente era più democratico di questo, che segna un regresso rispetto a tutta l’esperienza democratica repubblicana italiana. È vero che l’ha voluto Berlusconi, e che quindi porta il marchio di una responsabilità precisa di centro-destra, ma è pur vero che il centro-sinistra non ha creato degli antidoti. Nessuno, nel centro-sinistra, ha pensato di fare una presentazione dei candidati, di descriverne le capacità, di spiegare per quale commissione parlamentare siano considerati competenti, di mostrarne la moralità e così via. Sono stati messi in lista da una ristretta oligarchia, nel silenzio, nelle stanze chiuse. Quindi, noi andiamo a votare i simboli e si salvi chi può. Le segreterie locali dei partiti d’Italia hanno deciso la composizione del parlamento della Repubblica, e secondo me questo è il gradino più basso mai raggiunto.
Bocca: Sì, è terribile. E della politica dei Ds, del «bassolinismo», che ne pensa?
Rossi Doria: Per mia inclinazione, ho modi «temperati», ma sono fortemente critico di questo dirigismo, che ha una ossessione di controllo centralistico. All’inizio, Bassolino è riuscito a catalizzare l’attenzione e a dare una speranza di salvezza. Ha fatto cose buone, altre ottime e molte altre avviate ma poi arrestate.
Però, questo modo di tentare lo sviluppo e la crescita civile di una città, da una parte con il dirigismo e dall’altra con il controllo – per cui prevale largamente il criterio della fedeltà nella scelta di chi occupa tutti i posti di responsabilità politica e tecnica – ha prodotto, con l’andare degli anni, danni paurosi in termini di confusione tra indirizzo politico e gestione e in termini di mancato ricambio di tutta la classe dirigente.
Bocca: È stato un tentativo di cooptare l’opposizione, di corromperla con l’aumento di nomine diffuse, anche fuori dalla coalizione.
Rossi Doria: Che ci sia la cooptazione, che le parti politiche di destra e di sinistra si vedano nei loro palazzi per arrivare a degli accordi, è evidente, ne parlano i giornali, lo sanno tutti ed è vero.
La mancanza di opposizione ha portato in Campania anche al declino dello stesso governo di centro-sinistra, che se avesse avuto alla provincia, alla regione e al comune un’opposizione vera e propositiva, sicuramente sarebbe stato meglio controllato e avrebbe fatto meglio.
Adesso bisogna uscire da tutto questo. Da qui nasce anche questa mia idea di presentarmi all’interno di un movimento più largo e composito, che è ancora agli inizi, ma sta crescendo e che si rivolge a tutta la città. Le elezioni daranno comunque un risultato: la cappa l’abbiamo alzata, stiamo facendo delle proposte fattive di programma e c’è un’altra possibilità di voto, che, anche in termini simbolici, è una cosa molto importante. E poi vedremo che cosa succede, perché gli equilibri si stanno spostando. Comunque, io ho promesso che, se non vinco, farò veramente l’opposizione, e questa è una novità: non ho alzato il prezzo per essere cooptato, e lo stesso vale anche per le tante altre persone che iniziano a seguirmi.
Bocca: Una cosa che ho notato come giornalista è che tutti i giornali di Napoli sono caduti nell’ inganno di dare grandissimo spazio alla cronaca nera, ai delitti, e non ai problemi della finanza e dell’economia. Per cui la cronaca nera, raccontata ogni giorno in questo modo, simula quella libertà di critica che in realtà non esiste.
Rossi Doria: Sì, da una parte questo è senz’altro vero. Dall’altra, di nuovo, anche in questo campo vi sono degli esempi positivi, contrari: i problemi che lei individua ci sono nelle pagine del Sole-24Ore, in quelle economiche del Mattino, della redazione del Corriere del Mezzogiorno e della Repubblica, più critiche oggi nei confronti della politica locale.
Penso, insomma, che si possa rompere l’accerchiamento, e che quindi si debba unire tutto quello che è suscettibile di essere unito: gli imprenditori piccoli e meno piccoli; gli artigiani, che o sono rimasti fuori dai giochi, o che magari hanno fatto le inevitabili mediazioni con il potere, ma che hanno mantenuto un po’ di indipendenza; una parte importante del volontariato e del privato sociale, che sta a contatto ogni giorno con i problemi dei giovani e dei non giovani; molti funzionari della pubblica amministrazione, anche molto competenti, civil servants che hanno continuato a fare un lavoro prezioso di mantenimento delle istituzioni, e che in queste settimane stanno portando i loro contributi al dibattito, con me, ma non solo con me, anche negli stessi partiti (ed è questa l’anomalia innescata da questo movimento); una parte del mondo giovanile; l’arte che è stata esclusa dalle grandi correnti di potere, e che quindi vuole manifestarsi; la cultura teatrale, musicale e così via.
Insomma le risorse si stanno mettendo in moto e la stessa politica, anche se reagisce male, è comunque costretta a riposizionarsi.
Bocca: A me sembra che fare queste mostre di pittura, queste stazioni della metropolitana piene di opere d’arte, mentre ci sono dei problemi molto più urgenti, nasca dalla convinzione che l’apparire conti più dell’essere.
Rossi Doria: Io procederei per addizioni. Sono d’accordo con lei che le cose sostanziali devono avere un peso maggiore, per esempio la manutenzione ordinaria della città. Però, se si mantiene ferma l’attenzione per le cose sostanziali, mettere poi delle opere d’arte nelle stazioni delle metropolitane può essere un valore aggiunto.
Il problema nasce quando si dice che le cose più appariscenti sono anche le più importanti. Allora, quando è così, sono pienamente d’accordo con lei. Trovo che il problema sia stato non tanto quello di aver fatto cose straordinarie, ma di averle fatte senza aver curato l’ordinario.
Bocca: Da cosa deriva questa convinzione della cultura napoletana secondo cui l’intelligenza e la furbizia sono meglio della disciplina e dell’onestà?
Rossi Doria: Da una lunga storia che ha visto il susseguirsi di diverse dominazioni a cui bisogna adeguarsi di volta in volta. Ma, senza esaltare la napoletanità, ci potrebbe essere anche un carattere più creativo, una specie di autogoverno in senso positivo che andrebbe anche utilizzato, a condizione che ci sia una crescita della disciplina civica.
Io devo dire che un po’ di speranza la ho. Nei primi anni di Bassolino, la gente si fermava ai semafori e faceva le code. C’è un orgoglio di Napoli che va ritrovato appieno. Facciamo l’esempio dei rifiuti: adesso è un disastro, si sono sprecati milioni e milioni di euro, i rifiuti sono riuniti in ecoballe, senza distinzione, e ci vorranno cinque anni per bruciarli; bisogna portarli in Germania, pagandone il trasporto, quando invece potrebbero essere almeno parzialmente una risorsa, e così via.
Invece, secondo me, si può ripartire dall’orgoglio napoletano: io ho visto fare la raccolta differenziata dei rifiuti dai miei alunni dei Quartieri Spagnoli, dai ragazzi di Soccavo, per vari mesi. Ci hanno provato, ci hanno creduto, poi hanno visto che era uno sforzo inutile perché il differenziato era una farsa.
Invece, se si riparte da questo orgoglio, quegli elementi diffusi di cittadinanza buona, anche un po’ gioiosi, caotici, se si vuole, tipici di questa città, possono trovare una disciplina interiore. Non so se ci si riesce, ma bisogna almeno esercitarsi e provare. Io sono fiducioso che c’è un elemento di orgoglio che può risuscitare questo senso civico, che non avrà mai le forme di quello del Nord, ma che nella sostanza potrebbe essere altrettanto forte.
Per chiudere, vorrei ringraziare Giorgio Bocca, perché questo libro, su cui per molti versi non sono d’accordo, in città ha comunque funzionato da specchio; molta gente si incontra per strada, nei bar e si ripete: ma l’hai letto il libro di Giorgio Bocca? Però, quante verità!
(a cura di Stefano Velotti)
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