Giuliana Sgrena: Nessuna complicità
di Giuliana Sgrena*
Innanzitutto occorre chiarire che il velo islamico non è un obbligo religioso per le donne musulmane, ma viene imposto da una lettura fondamentalista dell’islam. Se veramente una donna sceglie «liberamente» di coprirsi con il velo o con il niqab vuol dire che aderisce a una ideologia che non possiamo condividere, quel fondamentalismo che dovremmo condannare sia nell’islam che nelle altre religioni. Tuttavia è difficile sostenere una libera scelta di donne, soprattutto quelle saudite, che non hanno nessuna libertà e non godono di diritti. Non sempre il velo viene imposto con la violenza, a volte è il condizionamento sociale, altre ancora questo condizionamento è psicologico. In Afghanistan, dopo anni di violenza e repressione, le donne avevano introiettato la convinzione che la loro sicurezza passasse attraverso la negazione del loro corpo, reso completamente invisibile dal burqa.
Comunque, il velo nelle sue varie declinazioni – burqa, niqab, hijab, turban, etc. – rappresenta sempre il simbolo dell’oppressione della donna. La donna che si deve coprire per non provocare il maschio, il pudore della donna garante dell’onore del maschio! La donna libera demonizzata oggi come ai tempi in cui si bruciavano le streghe.
E’ questa umiliazione della donna che dobbiamo difendere in nome della tolleranza? Qui non si tratta di tolleranza ma di complicità con chi non accetta il riconoscimento dei diritti delle donne, innanzitutto quello della propria autodeterminazione, attaccata non solo da religiosi di diverso credo ma da tutte le visioni patriarcali. Con questo non voglio dire che bisogna respingere tout court tutte le donne velate, ma aiutarle ad affermare i propri diritti e la propria dignità sì. Anche con forzature se possono servire alla donna a liberarsi dal giogo del potere maschile: la legge contro i simboli religiosi nelle scuole in Francia ha di fatto tolto agli integralisti musulmani un potere di controllo sulle giovani studentesse, almeno per quanto riguarda il velo. 47 studentesse musulmane in tutta la Francia si sono ritirate dalla scuola pubblica. La maggior parte di loro si sono iscritte alle scuole cattoliche, segno che non doveva poi essere la forte convinzione religiosa a motivarle. E ora nessuno manifesta più per portare il velo a scuola.
Soprattutto occorre la certezza della legge (con diritti e doveri) e la questione non può essere lasciata alla discrezionalità di un funzionario come succede in Italia dove la tolleranza zero colpisce tutti i migranti mentre la tolleranza di tanti democratici giustifica le più anacronistiche discriminazioni. In entrambi i casi si sottolinea quello che ci divide invece che quello che ci accomuna: la difesa dei diritti universali. Occorre chiedere il rispetto di doveri ma anche e soprattutto garantire dei diritti, molti dei quali non sono previsti dalla nostra legge o sono disattesi: proteggere le donne migranti vittime di violenze perpetrate dai mariti stranieri o italiani o dai genitori (per evitare un’altra Hina), garantire alle donne che rischiano nel loro paese un diritto d’asilo umanitario e alle donne divorziate un permesso di soggiorno anche se erano a carico del marito, il riconoscimento della cittadinanza ai figli nati in Italia, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori. Ma non si può tollerare la diffusione della poligamia e del ripudio, come purtroppo succede. Dare la possibilità alle donne migranti che vivono in Italia di conoscere i loro diritti e anche la lingua italiana in modo fa favorire i loro contatti. E questo può servire anche a sottrarle alla «protezione» oppressiva della loro comunità che impone alle musulmane il velo (anche a quelle che non lo portavano nemmeno nel loro paese!) per avere il rispetto dei propri connazionali.
Il paradosso è che mentre in occidente ci sono donne che difendono il velo, nei paesi d’origine, dove il velo viene imposto, le donne rischiano la vita per non portarlo (è successo in Algeria negli anni ’90) o finiscono in carcere (Iran).
Per le donne di passaggio in Italia penso che dovrebbero rispettare la legge italiana come noi siamo costrette a fare se andiamo nei loro paesi. Tra l’altro mi chiedo come venga riconosciuta una donna col niqab quando si presenta alla frontiera se non è presente un poliziotto donna. E che cosa succede se si sente male e in ospedale non è di turno un medico donna. Purtroppo sappiamo che molte donne non sono curate per questo motivo. Lo stesso vale per i maschi. Permettere che questo succeda nel nostro paese, e succede, non penso sia una manifestazione di civiltà.
* autrice de "Il prezzo del velo", Feltrinelli
(23 ottobre 2008)
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