Gli studenti e i ricercati precari di Bologna: “Costruiamo una nuova università”

MicroMega

Pubblichiamo il documento letto nell’assemblea d’Ateneo dell’Università di Bologna venerdì 24 ottobre.

Non siamo un’associazione riconosciuta. Siamo, d’altro canto, perfettamente riconoscibili. Abbiamo volti e storie che si possono incrociare quotidianamente dentro e fuori le mura delle facoltà dell’Università di Bologna.
Ed abbiamo una storia collettiva che si sta scrivendo in questi giorni: da questa storia non è possibile prescindere, né per noi né per voi. Siamo studenti…parecchi studenti…ma anche ricercatori e professori. Tra questi ultimi, alcuni sono strutturati, altri non lo sono. Dopo 7, 10, 12…15 anni di lavoro stabilmente precario, abbiamo deciso di ribattezzarli i “diversamente strutturati”. Siamo quelli delle lezioni in piazza e quelli delle occupazioni di questi giorni. Siamo quelli delle lettere, dei comunicati, delle e-mail che viaggiano rapide da un ateneo all’altro, da un nodo all’altro della rete e siamo quelli dei cortei spontanei e non autorizzati. Siamo quelli che discutono con il rettore. E siamo quelli che lo contestano. Ebbene sì, siamo tutte queste cose insieme. Perché non intendiamo la protesta come forma di rinuncia al diritto di parola, allo scambio, al confronto…e, per altro verso, siamo convinti che nessuno possa chiederci di rinunciare alla protesta, per ottenere titolo a discutere.

Ancora, siamo quelli dei seminari di autoformazione e siamo quelli del blocco del 1° binario alla stazione di Bologna. Perché sul 1° binario non vogliamo prendere nessun treno che porti in un’altra città o in un altro Paese dove sia possibile – diversamente da quanto accade dalle nostre parti – studiare e fare ricerca: abbiamo scelto di formarci, insegnare e fare ricerca esattamente e precisamente nell’ateneo di Bologna. E non vogliamo cambiare idea. Insomma, siamo quelli dell’ala dura e creativa, quelli dell’ala dialogante e radicale…in una parola non siamo altro che l’ala bolognese di quel movimento che nell’intero paese ha messo le ali e sta spiccando il volo.
Non ci è possibile, in questa sede, rendere conto del complessivo dibattito che qui come altrove stiamo sviluppando in ordine all’Università di ieri, di oggi e di domani. Dobbiamo limitaci, per ragioni di tempo, ad anticiparne solo talune conclusioni semplici, parziali e provvisorie: ebbene, il sistema formativo che vogliamo non è quello disegnato dalla coppia Tremonti-Gelmini, ma non è nemmeno quello odierno. Crediamo nell’autonomia della ricerca e della didattica, nella necessità di aprire nuovi spazi, orizzontali, in cui studenti, ricercatori e docenti producano sapere nuovo, vivo, in cui le diverse conoscenze si intersechino e i rigidi steccati delle discipline vengano superati. Respingiamo, perciò, con assoluta determinazione, ogni accusa di conservatorismo, peraltro assai bizzarra e pretestuosa quando proviene da chi si accinge, con vena persino restauratrice revanchista, a reintrodurre il maestro unico ed il voto in condotta nella scuola primaria. Non è un caso che manifestiamo tutti insieme, dalla scuola primaria all’università.

Venendo all’Università, andiamo subito al “merito” delle questioni, enucleandole in maniera schematica, seppur con un due brevi preamboli di carattere generale. In primo luogo, quanto al portato della Legge n. 133/08, va denunciata la drammatica miopia di chi sceglie con consapevole ed ottusa determinazione di disinvestire sul sapere, la formazione e la ricerca, che pure, per comune ammissione, rappresentano il cuore e i polmoni dell’attuale paradigma produttivo. Soffocare e sopprimere il sistema di formazione universitaria pubblico, equivale, da questo punto di vista, a soffocare ed uccidere il sistema sociale e produttivo nel suo complesso.
Tanto più nel tempo presente, quando l’università e i centri di ricerca – chi altri sennò – andrebbero investite del ruolo e della responsabilità di progettare alternative credibili ad un modello di sviluppo che attraversa oggi una drammatica crisi di natura strutturale.

In secondo luogo, con specifico riguardo alle posizioni espresse dal senato accademico sulla 133, coerenti con quelle dell’AQUIS, denunciamo che la critica del senato sul taglio dei fondi e sul turnover al 20% si rivolge esclusivamente alla differente applicazione della legge e non ai suoi principi fondamentali. Più specificamente, il senato non dice nulla sul disegno di destrutturazione del sistema di educazione pubblico che la 133 porta a compimento. Quello che il senato accademico ha espresso è la richiesta di una differenziazione tra atenei – atenei di serie A e di serie B – non fondata tanto su parametri di qualità nella ricerca e nella didattica, ma sulla base di criteri aziendalistici e gestionali. Per avere accesso all’AQUIS, infatti, è sufficiente possedere 2 di 3 requisiti:
avere più di 15.000 studenti, aver speso meno del 90% dell’ FFO in personale ed essere recensiti in almeno una delle classifiche accademiche internazionali, senza ovviamente specificare la posizione. Sgombriamo il campo da un possibile fraintendimento: respingiamo con determinazione chi ci accusa di non credere nel merito, o chi sostiene che non ci opponiamo con forza a chi disperde le risorse pubbliche. Crediamo nel merito, nella qualità e nell’autonomia della ricerca e della didattica, e vogliamo che vengano valorizzati. Ma quelli delineati dall’AQUIS non sono reali criteri meritocratici; si tratta piuttosto di criteri puramente di bilancio spacciati per meritocratici. Non è casuale che i criteri dell’AQUIS si conformino totalmente alle linee guida delineate da Confindustria. In questo quadro, l’unico vanto dell’ateneo consiste nello sfornare un alto numero di pubblicazioni a basso costo, vista l’alta produttività e la pessima retribuzione dei ricercatori precari italiani. Ricercatori italiani e muratori rumeni.

Segnaliamo inoltre che il senato non si esprime in alcun modo sull’eventualità di trasformazione delle università in fondazioni private. Una mancata presa di posizione preoccupante, perché le fondazioni non offrono garanzie in merito al diritto allo studio, al mantenimento dell’offerta formativa e alla situazione lavorativa di dipendenti e precari, minando alle basi la natura pubblica degli atenei e la libertà di ricerca.
Mentre in altri atenei in un momento come questo i senati si aprono anche ai tanti che nelle istituzioni non sono rappresentati, agli invisibili, ai precari, che fanno vivere tutti i giorni l’università, qui a Bologna nessun intervento ufficiale è riservato ad uno di loro / ad uno di noi.
Per queste e per molte altre ragioni, gli studenti, i ricercatori ed i professori, in stato di agitazione permanente presso l’Università di Bologna

CHIEDONO

1) che il senato accademico, di concerto con i consigli di facoltà e i Dipartimenti, approvi e renda pubblico un
documento di integrale denuncia e rifiuto del complessivo disegno di ristrutturazione delle istituzioni formative
promosso dall’attuale Governo.
2) che gli organismi isituzionali della facoltà, insieme al corpo docente, ai ricercatori e agli studenti impegnati nella mobilitazione, si facciano promotori di iniziative di lotta che rendano visibile il dissenso esplicito e radicale contro l’attuale disegno di ristrutturazione dell’università proposto dal Governo, quali:
a) una giornata di blocco completo e g
eneralizzato della didattica, eventualmente in concomitanza con altre iniziative analoghe promosse in altri atenei;
b) una giornata di sciopero del lavoro gratuito, intendendo per tale una astensione collettiva del personale non strutturato dalle attività che vengono regolarmente svolte (anche e soprattutto durante le sessioni d’esame) al di fuori di ogni previsione, contrattualizzazione e formale riconoscimento, sicché si renda visibile e manifesto chel’Università italiana, incluso l’ateneo bolognese, vive strutturalmente sotto organico, reggendosi, in ampia misura, su un lavoro sostanzialmente disconosciuto.
c) la cancellazione dell’inaugurazione dell’anno accademico e la sostituzione della cerimonia con un’iniziativa pubblica per sensibilizzare i cittadini.
d) una grande giornata di mobilitazione territoriale, il 30 ottobre, costruita dal basso, da tutti i segmenti della formazione, dalle scuole primarie all’università, lanciata con una lettera aperta alla cittadinanza.
Per finire, siamo quelli che difendono la scuola, l’università, la previdenza, la sanità pubblica. Perché il “pubblico” che abbiamo in mente non è quello di questa università in crisi, dei tornelli all’entrata e dei ricatti, dei fannulloni e della caccia ai fannulloni.
Il pubblico che abbiamo in mente è quello che stiamo costruendo.
Non ci interessa la crisi di QUESTA università, perché ne stiamo costruendo – vogliamo costruirne – una nuova.

Assemblea di ateneo No Gelmini student* e ricercat* precar*

Info: http://it.groups.yahoo.com/group/no133bologna/

(31 ottobre 2008)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.