Il “governo della peste”: la retorica dell’unità nazionale e la sparizione della sinistra critica

Alessandra Algostino

e Tomaso Montanari

Padrona del dibattito politico oramai da quarant’anni, la logica binaria torna a farsi, in queste ore, particolarmente virulenta. È la nefasta logica schmittiana dell’amico/nemico, quella che di male minore in male minore, in un’interminabile sequenza di appelli al «voto utile», ci ha condotto al punto in cui siamo: ad avere le destre neofasciste sulla soglia dei pieni poteri. La pandemia ha ulteriormente drammatizzato la contrapposizione e, nel contempo, ha evocato la retorica dell’unità nazionale, per emarginare ed espellere ulteriormente (dopo i vari decreti sicurezza) le possibilità di espressione del dissenso, non di quello, strumentale, à la Salvini o à la Renzi, ma di quello che nasce ed esprime il conflitto sociale.

Da una parte si sono schierati alcuni intellettuali di sinistra, per i quali il governo, novello Gesù Cristo, è quotidianamente «messo in croce» da mestatori interessati con argomenti «volgari», «immotivati», «ipocriti» e «pretestuosi», quando, sebbene non sia «forse [forse!??] il governo più perfetto che si possa immaginare», è pur sempre guidato da un Presidente del Consiglio che agisce «con apprezzabile prudenza e buonsenso», un esponente politico che «anche a confronto con gli altri governi occidentali […] ha svolto più che onorabilmente la sua parte».

Dall’altra gli ultraliberisti per i quali il governo ha fatto della pandemia «un pretesto per l’autoritarismo», cogliendo l’occasione per disporre «misure che restringono indefinitamente le libertà e i diritti fondamentali»: «confinamento con minime eccezioni», «impossibilità di lavorare e produrre», «manipolazione delle informazioni». Misure che «neppure la più terribile delle dittature» avrebbe osato adottare. Come se non bastasse, sullo sfondo incombe il risorgere dello «statalismo, l’interventismo e il populismo con un impeto che fa pensare a un cambio di modello lontano dalla democrazia liberale e dall’economia di mercato». Sui nostri usci si staglia nientemeno – attenzione, bambini! – che l’ombra minacciosa di un «Orco Filantropico»: molto probabilmente, un parente stretto di quella Bestia che, affamata da decenni di neoliberismo, oggi non è nemmeno più in grado di prendersi decentemente cura dei malati.

Così, sovrastata dal clamore dello scontro tra difensori e assalitori del governo (anzi, del Presidente del Consiglio), a tacere è oggi una critica libera, radicale, argomentata. Una qualunque sinistra: la cui voce è, di fatto, irrintracciabile.

Qualsiasi persona di buon senso non può che sorridere di fronte all’isterica denuncia della destra, che grida al «golpe sanitario» in atto. E non può che guardare con enorme preoccupazione alle torbide, irresponsabili e interessate manovre esterne ed interne volte a rovesciare – in un momento come questo! – il governo in carica. E ciò benché quello insediato a Palazzo Chigi sia sicuramente un pessimo governo, incapace di una reale discontinuità con il passato (dalla patrimoniale alla sanatoria per gli immigrati al reddito di carattere universale ecc.) e guidato da un uomo disponibile a qualsiasi giravolta pur di mantenersi al potere (e non immune a un certo protagonismo venato di paternalismo, patriottismo a buon mercato e narcisismo).

Ma colpisce negativamente anche l’incondizionato sostegno da sinistra a Giuseppe Conte: che ha firmato, e poi mai ritirato i Decreti Sicurezza che gli stessi attuali sostenitori del Presidente del Consiglio definivano ‘fascisti’. E colpisce la radicale rimozione dell’infame provvedimento con cui questo governo ha chiuso i porti ai migranti: poche settimane fa, in piena pandemia.

Un governo che ha sicuramente commesso errori di processo democratico nella gestione della stessa emergenza sanitaria. Come inequivocabilmente dimostra la sua stessa decisione di abrograre il decreto-legge inizialmente adottato per inquadrare l’emergenza (il n. 6/2020) e di sostituirlo con un secondo decreto-legge diversamente impostato (il n. 19/2020). Se il primo, infatti, attribuiva al Presidente del Consiglio il potere di adottare, con dpcm, «ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica», prevedendo sanzioni penali per i violatori delle misure adottate, il secondo elenca puntualmente le misure adottabili dal Presidente del Consiglio con dpcm, così restringendone i poteri, e converte le sanzioni da penali ad amministrative. Un radicale cambio di rotta: inspiegabile se non a partire dal riconoscimento dell’errore pregresso.

Ora, non c’è dubbio che non siamo di fronte ad un colpo di Stato, né ad una patente violazione formale della Costituzione: ma non ci può essere nemmeno dubbio sull’evidente disprezzo del Parlamento, e sulla irritualità di un processo decisionale che rinnega qualsiasi collegialità, perfino quella dello stesso Consiglio dei Ministri (come dimostrano le surreali discussioni pubbliche tra Presidente del Consiglio e Ministro della Salute su come si debbano interpretare i dpcm), per accentrare tutto nelle mani di un uomo solo alla guida. È evidente che si considera la democrazia una stanca ritualità, da accantonare nel momento dell’emergenza: e si può essere certi che molte delle stesse personalità che ora accorrono in difesa dell’esecutivo, avrebbero invece indossato l’elmetto se lo stesso accentramento ‘presidenzalista’ fosse stato praticato da altri presidenti del Consiglio (da Salvini a Renzi). Ebbene, non rischiano di essere proprio loro a usare la sfilza di pessimi precedenti formali creati da questo governo?


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E se anche gli intellettuali di ‘sinistra’ accettano di piegare i giudizi di merito alla logica amico-nemico, essi tolgono ogni spazio a una critica argomentata e serrata all’azione del governo. E questo è un errore davvero grave. Perché proprio perché questo è il ‘meno peggiore’ dei governi ora possibili, sarebbe necessario incalzarlo pubblicamente ogni giorno, perché si corregga e migliori la propria azione. Non c’è, infatti dubbio che altre correzioni saranno necessarie nel prossimo futuro (l’abuso dei dpcm è denunciato persino dai gruppi parlamentari del Pd, di certo non annoverabili tra le forze ostili all’esecutivo): dunque, ben vengano altre analisi e osservazioni critiche, tanto nel metodo, quanto nel merito delle politiche sociali, scolastiche, culturali, economiche, ecc. che, specie con il cambio di fase, sarà necessario mettere in atto. Errori molto seri sono, d’altra parte, evidenti anche nel merito: la cosiddetta fase 2 è presentata in modo confuso (e tale da lasciare, ancora una volta, un ruolo abnorme all’arbitrio delle forze di polizia), e non appare fondata su un reale accertamento delle dimensioni del contagio, ma invece innescata dalle pressioni delle forze produttive. La scarsissima attenzione dedicata alla scuola, e il primato riconosciuto da questo governo all’impresa rispetto alla centralità della persona umana, rendono evidente che il progetto della Costituzione non è la bussola politica del Governo Conte.

Norberto Bobbio ha scritto che «il primo compito degli intellettuali dovrebbe essere quello di impedire che il monopolio della forza diventi anche il monopolio della verità»: mai come in un momento in cui un governo è costretto a limitare così drammaticamente le libertà, quel governo deve essere sottoposto al vaglio costante e severo del pensiero critico. Mai come in un momento in cui i lavoratori rischiano di essere, letteralmente, carne da cannone c’è bisogno di una sinistra che non difenda il governo, ma i più fragili, i più esposti, i più poveri. C’è bisogno, insomma, di non lasciare proprio alla destra che vogliamo fermare il monopolio della necessaria critica.

È di questo che chi guida oggi l’Italia ha oggi più bisogno: di un pensiero critico – costruttivamente e disinteressatamente critico –, non di un pensiero strumentalmente amico.
(4 maggio 2020)



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