Governo e tradimenti. Riflessioni su una crisi
Paolo Flores d’Arcais (26-02-07)
1) Il quotidiano l’Unità ha annunciato le dimissioni di Prodi con un titolo in prima pagina, a otto colonne e caratteri cubitali: “Hanno tradito 19 milioni di elettori”. Nella stessa pagina veniva dato grande rilievo ad una dichiarazione di Prodi: “Ora voglio carta bianca”.
Proviamo a commentare titolo e dichiarazione. A commentarli senza ipocrisie.
E allora, per la cronaca e in spirito di verità:
Quando venne al pettine la questione del raddoppio della base Usa di Vicenza, per oltre una settimana il governo Prodi fece capire che l’autorizzazione non sarebbe stata concessa. E così scrissero tutti i quotidiani, reiteratamente. Quando il governo fece trapelare di essere incerto e combattuto, Piero Fassino proclamò solennemente che comunque l’ultima parola l’avrebbero avuta i cittadini di Vicenza con un referendum vincolante.
Sappiamo come è andata. Chi ha tradito dunque 19 milioni di elettori? Prodi e Fassino, o il senatore Turigliatto?
2) Appena insediato al governo, Romano Prodi ha proclamato urbi et orbi che mai più il segreto di Stato. Erano in ballo i crimini commessi nell’uccisione di Calipari e nel rapimento di un cittadino egiziano a Milano. Il segreto di Stato è invece stato opposto, alla grande e sistematicamente, fino alla Corte costituzionale, e con una legge che massacra i giornalisti che facciano informazione senza reticenze, e addirittura negando (Clemente Mastella) la richiesta di estradizione per quasi una ventina di cittadini Usa incriminati per rapimento (un delitto da ergastolo).
Chi ha tradito dunque 19 milioni di elettori? Prodi e Mastella o il senatore Ferdinando Rossi?
(Sul carattere sistematico del tradimetno del programma elettorale da parte del governo Prodi, si veda l’analisi dettagliata di Marco Travaglio nel numero 1/2007 di MicroMega).
3) Ma in questo modo si riconsegna il paese a Berlusconi, si dice. Semmai si riconsegna agli elettori. E dunque si pensa che nei mesi di governo Prodi il centro-sinistra abbia talmente deluso da perdere consensi.
E comunque, si ragioni almeno con onestà: si dica che bisogna votare a favore del governo Prodi, benché tale governo abbia fin qui sistematicamente tradito 19 milioni di elettori, perché (forse a causa di tale tradimento!) se si andasse al voto vincerebbe Berlusconi, e questa sciagura all’Italia bisogna risparmiarla. Ragionamento discutibile, ma ragionamento onesto.
(Discutibile, perché elezioni precedute da primarie vere, che candidassero un Veltroni, tanto per non fare nomi, sull’onda di una apertura autentica alla società civile e conseguente partecipazione entusiastica, non sarebbero affatto perse in anticipo. Anzi).
4) Prodi chiede ora carta bianca. Trascuriamo il fatto che i famosi 12 punti siano talmente generici da non vincolare un bel nulla, e si segnalino soprattutto per l’accantonamento dei Dico (benché non fossero neppure i Pacs, ma un pallido brodino vegetale).
Perché Prodi non ha preteso carta bianca quando poteva ottenerla senza difficoltà? Cioè il giorno dopo quel trionfale plebiscito che furono le primarie? Forte di milioni di voti ad personam (a dispetto dei partiti, e anche contro le loro nomenklature) poteva mettere in riga le bUrocrazie e aprire alla società civile. E preparare una vittoria trionfale. Ha preferito restare ostaggio di oligarchie autoreferenziali, rifiutare l’apporto delle liste civiche regionali, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
5) Cosa fatta capo ha, si obietta. Ora rimbocchiamoci le maniche, tutti uniti e unanimi, per evitare il peggio.
Ma così lo si evita davvero il peggio?
Nessuno ha osservato che le forze che costituivano nella prima repubblica il 90 per cento della rappresentanza parlamentare, dalla Dc al Pci (l’arco costituzionale, fermo almeno nella pregiudiziale antifascista), oggi non arrivano al 60 per cento (il centro-sinistra + il partito di Casini). E che un elettorato democratico orfano, perché impossibilitato a riconoscersi nell’attuale centro-sinistra (comprese le sue componenti a torto definite “radicali”) cresce di giorno in giorno.
Allargare questo fossato non diminuisce i rischi (di un ritorno di Berlusconi, o di altre avventure autoritarie e di regime), ma li moltiplica, li stratifica.
6) Il vero problema è oggi, più che mai, questo scollamento. Questa – crescente – mancanza di rappresentatività dei rappresentanti. Soprattutto del centro-sinistra: a destra ci si trova benissimo con la volgarità illiberale e populista, patrimoniale, post-fascista o leghista che sia.
Ecco perché l’unica via ragIonevole e moderata è quella di un rinnovamento radicale.
Definiamolo con un ossimoro, e anche sgradevole: QUALUNQUISMO DEMOCRATICO. Una ventata di partecipazione/indignazione della società civile democratica che metta ai margini la maggioranza dell’attuale ceto politico di centro-sinistra. E lo sostituisca con dirigenti nuovi, a livello nazionale e locale, che non vengano dagli allevamenti partitocratici in batteria, ma dal campo aperto delle competenze, dei saperi, delle passioni civili. Dirigenti nuovi, impregnati di una cultura della legalità/efficienza, che vale oggi da sola tutti i possibili “dodici punti”.
7) Utopia? Questo però avviene, in dosi più limitate ma certo significative, nei partiti del centro-sinistra europeo, e addirittura per vie interne (sono partiti in crisi ma meno sclerotici dei nostri, dunque).
E del resto, se il dilagante disprezzo per la “politica politicosa”, cioè per la partitocrazia, non verrà intercettato e contrastato da una ventata di politica nuova, di politica civile, sarà la destra a cavalcarlo fino a trionfare con modalità autoritarie imprevedibili ma certamente sciagurate.
Se nel centro-sinistra ci sono ancora dei politici responsabili, capaci di lucidità e senso dello Stato, è a questa prospettiva che dovrebbero votarsi: suscitare e catalizzare la ripresa di impegno nella società civile, e la cooptazione di tale impegno (idee e persone) in un centro-sinistra rinnovato da cima a fondo. Questo è riformismo, il resto è opportunismo, fiacca sopravvivenza, catastrofe annunciata.
8) Tutti a promettere una nuova legge elettorale. Ma non si dice quale. Maggioritario a due turni francese, e proporzionale corretta da energico sbarramento alla tedesca, sono due vie alternative, non unificabili in nuovi pasticci all’italiana.
E neppure si avanza la necessità che il sistema delle primarie entri con forza nel nostro ordinamento (vi entri per legge, dunque). Di modo che, ci troveremo a metà legislatura, alla fine del 2008, quando saranno passati i famosi due anni sei mesi e un giorno (e la pensione per i deputati di prima nomina non sarà più a repentaglio), e la crisi costringerà a votare, con la stessa allucinante legge elettorale.
Roberto Esposito (26-02-07)
Caro Paolo, sono francamnte sgomento. La mia impressione è che già si sia persa la straordinaria occasione di una vittoria, certo ridimensionata rispetto alle previsioni, ma pur sempre decisiva. Ciò per alcuni dei motivi che tu elenchi – ma più in generale per una mancanza di coraggio nel disegnare uno scenario che potesse entusiasmare, o almeno convincere, l’Italia dei giovani, l’Italia dei deboli, l’Italia degli onesti, tutti coloro che si aspettavano una netta rottura di continuità rispetto non solo al personale, ma anche al linguaggio, politico precedente. Ciò non c’è stato. L’impressione, nella stessa composizione del governo, è stata quella di
un compromesso tra istanze contrapposte e tutte orientate al rafforzamento degli uni a svantaggio degli altri. Onestamente, sul punto in discussione al Senato che ha determinato la crisi, vale dire sulla politica estera, mi pare che la posizione espressa dal ministro fosse ragionevole.
Direi, anzi, che la politica estera sia stata forse l’unica novità positiva di questo governo, con un atteggiamento equilibrato sul Medio Oriente e un tentativo di dare a una piccola potenza regionale come l’Italia la forza di una iniziativa che col governo precedente aveva del tutto perduto. Ma ciò non basta – e non è bastato. Come spesso avviene, qualcosa che non funziona cade proprio sull’unico punto accettabile. Personalmente sono convinto che se oggi si votasse, il centro-sinistra perderebbe – nonostante Veltroni e le primarie. Ma il problema è che nel giro di qualche mese probabilmente comunque si voterà – e dunque le cose non cambierebbero di molto. Tanto vale, in questo caso, farlo all’attacco e non in difesa. Forse la prospettiva peggiore è quella di una grossa coalizione alla tedesca – che spazzerebbe via qul poco di bipolarismo che abbiamo e terrebbe fuori una sinistra che comunque può dare molto all’Italia (contrariamente a quanto si sente dire). In definitiva, se Prodi dovesse avere la fiducia, mi pare che un ultimo tentativo di coerenza, rigore, capacità di coinvolgiemnto andrebbe fatto. Francamente non sono ottimista, ma sarebbe imperdonabile non provarci.
Massimiliano Fuksas (28-02-07)
Grande la confusione sotto il cielo.
Il mio voto è stato per riportare in Italia un sistema in cui le regole non fossero da rispettare solo per le classi più deboli o chi non ha mezzi per sfuggire a qualunque legge.
Ho votato per tenere il più lontano possibile il berlusconismo e il trasformismo dalla cosa pubblica.
Ho votato Prodi per rendere l’Italia laica quanto almeno lo sono gli altri paesi europei.
Ho votato Prodi per allontanare le guerre. Per la ricerca della Pace e di tutte le vie diplomatiche necessarie a tenere insieme un mondo costituito di culture, religioni e storie diverse.
Ho votato per ritrovare lo Stato di Diritto. Eliminare le leggi ad personam che hanno tanto inciso negativamente nei rapporti internazionali.
Ho votato per l’eliminazione totale e comunque del segreto di Stato.
Ho votato per non avere nel parlamento della Repubblica personaggi condannati in via definitiva.
Tutto questo non mi sembra (mio minimo programma) sia più possibile raggiungere…
Salvatore Bragantini (01-03-07)
(i punti si riferiscono al testo di Paolo Flores d’Arcais)
1) Mi permetto di dissentire. Segnalo che se c’è un campo in cui questo governo sta innovando decisamente questo è la politica estera. Che sia proprio la politica estera a costituire il motivo di dissenso nei confronti dell’azione di governo mi pare sintomo di una incapacità di capire le difficoltà pratiche del governo reale di un paese reale. Chi sta in quella posizione eredita impegni e posizioni già assunte, rispetto alle quali ha un certo spazio di manovra, ma non un enorme spazio di manovra.
Tenuto conto di questo, mi pare che sia un giudizio irrealistico e ingeneroso.
2) Anche qui valgono la gran parte delle considerazioni testè fatte. Mi pare certo che siano stati commessi gravi reati sul territorio italiano e che la magistratura stia facendo il proprio dovere. Il mondo è un posto molto complicato e, dato che non si può certo dire che il governo Prodi sia un fantoccio degli Usa, ho la convinzione che non conosciamo tutta la storia. Darei un giudizio definitivo solo “a carte viste”.
3) Ancora una volta, se il governo fa la cosa giusta ma cade il giorno dopo, ha fatto davvero la cosa giusta? Non credo proprio che il governo abbia sistematicamente tradito gli elettori. Qualcosa ha fatto, altre cose non le ha fatte. I conti dello Stato sono in via di risanamento e l’evasione fiscale, per ridurre la quale abbiamo tanto lottato, si è ridotta ponendo le premesse per una futura riduzione delle tasse stesse. E questa circostanza non è estranea al fuoco di sbarramento che ha investito il governo.
Se la destra critica il governo per principio e proprio perché sta riducendo l’evasione, dove finiremo se noi siamo i primi a non renderci nemmeno conto di questo lavoro? La critica concentrica di destra e sinistra potrebbe convincere tutti che davvero il governo deve andare a casa, ancor prima di quanto avverrà per altre ragioni. Potremo allora complimentarci per la nostra sagacia. A meno che non esistano miracolose strategie che non vedo all’orizzonte. Là vedo invece i vecchi volponi pronti a cambiare cavallo, per poi finire col sedere per terra, noi almeno.
Io parto dal presupposto che reggere il governo oggi sia compito improbo per via di una legge per il Senato demenziale, non per colpa della inadeguatezza di chi guida il governo. Per essere più chiari, credo che Prodi oggi sia colui che meglio di ogni altro può tenere assieme una coalizione troppo eterogenea.
4) Per fare a botte bisogna avere i muscoli, e Prodi sa bene quanto importante sia la forza che gli deriva dalle primarie, ma sa anche come i partiti avrebbero risposto se avesse forzato la mano, cosa che peraltro ha pur provato a fare nell’autunno del 2005. Avrebbero detto, e non avrebbero avuto del tutto torto, che il grande risultato era stato anche dovuto alla grande mobilitazione posta in campo. Solo una grande manifestazione popolare a suo sostegno quando a fine 2005 lo hanno gradualmente stretto, avrebbe potuto dargli questa forza, ma non c’è stata…
5) Al paese manca il senso di uno scopo comune, è questo che Prodi cerca in qualche modo di resuscitare; ricordo che è tutto il mondo che è cambiato in questo arco di tempo. Una parte di Dc e Psi è finita in Forza Italia, partito che rappresenta le nuove preferenze di chi, in un’Italia più ideologizzata, non avrebbe mai votato il partito di plastica. Ma è il mondo che è cambiato, non la politica italiana da sola, né tanto meno possiamo attribuirne la colpa alla leadership ulivista.
6) Caro Paolo, non sono d’accordo. In genere da questi lavacri si esce peggio di prima. Non possiamo evadere dalla nostra realtà. Guarda solo, exempli gratia, dove è andata a sbattere la grande ventata di sostegno popolare a Mani Pulite, una cosa che mette tristezza. C’è un fattore degenerativo in queste ventate, che non possiamo trascurare. Si veda ancora l’inchiesta sulle città italiane che sta uscendo su Repubblica, la realtà del Policlinico o del tribunale a Roma, quei becchini di Bari che spogliano i cadaveri. Un conto è auspicare il rinnovamento della nostra classe dirigente decrepita, altra cosa sperare nel qualunquismo democratico. Una cosa è la maggior partecipazione civile alla politica, altra una ventata d’irrazionalità. Essere ancora appesi agli Andreotti e ai Cossiga desta una profonda tristezza in chiunque ricordi di essersi svegliato alla vita con Andreotti già in grisaglia, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma da qui a sperare in un movimento che renderebbe ancor più minoritario che non sia il consenso della sinistra, mi pare davvero un passo troppo grande, un equivoco pericoloso.
7) Sull’ultimo paragrafo, finalmente, concordo, e in pieno.
8) Qui di nuovo mi sembri ingeneroso. Che la legge elettorale sia la peggior cosa fra le tante pessime leggi di Berlusconi, ne sono pienamente convinto. E ciò perché cambiarla richiederebbe il consenso di chi sarebbe danneggiato dalla nuova
legge, e i tacchini, si sa, non votano per il Natale. Come fa Prodi a cambiare la legge elettorale se proprio a causa di tale legge al Senato non ha la maggioranza per farlo, e se abbiamo tanto predicato che non la si cambia contro gli altri, ma a favore del paese? Che se poi la nuova legge nascesse da un accordo trasversale, molti griderebbero allo scandalo, e il governo dovrebbe comunque andare a casa dopo poche settimane. Prodi non è un re travicello, ma non è nemmeno il signore onnipotente che sembra uscire da certe critiche. È la migliore risorsa che abbiamo oggi, domani si vedrà.
Pierluigi Sullo (02-03-07)
Facciamo un gioco. Che come tutti i giochi non ha altro scopo che se stesso. Questo furono – evidentemente, per le ragioni di cui parlerò – un paio di anni fa le «secondarie», la consultazione tra i lettori del nostro settimanale su cosa considerassero necessario, dentro il programma dell’Unione, e tale da indurli a votare per Prodi e compagni a cuore più leggero. Rispose un mucchio di gente. Tanto che ci potemmo permettere, qualche mese prima delle elezioni politiche, di metter su – insieme ad altre pubblicazioni di sinistra o sociali – un «cantiere» per il programma, a una seduta del quale partecipò lo stesso Prodi, in persona. Dunque Carta – che non conta niente nella politica, ma forse tiene aperti canali con la società attiva – si è ben posta il problema di cosa un governo post-berlusconiano avrebbe dovuto fare secondo organizzazioni e reti sociali, e sindacati. Perciò il gioco è anche un po’ serio. Consisterebbe nell’elencare gli «altri» dodici punti, o dodecalogo della società civile, o una pulita dozzina (per parafrasare quel tale film). Insomma, il rovescio dei 12 punti che Prodi ha elencato ai capi dell’Unione, i quali hanno approvato per acclamazione.
Vediamo.
Uno: «Rispetto degli impegni internazionali e di pace…». Qui andiamo facile. La base di Vicenza non è un impegno formale e non è nemmeno della Nato. Per di più il senatore maligno a vita Cossiga ha rivelato (nel dibattito sulla fiducia) che il Dal Molin Usa potrebbe ospitare anche testate atomiche. Cosa dovremmo «rispettare»? Quanto all’Afghanistan, nulla impedisce di progettare una presenza italiana totalmente differente, ritirando i militari e mandando i civili: la dico all’ingrosso, c’è chi ha proposte molto serie. E in ogni modo, non sarebbe prudente cercare di capire davvero cosa accadrà nei prossimi mesi in Afghanistan, cercando di evitare che i nostri militari si trovino a scavare trincee e che Prodi debba baciare le bare di ritorno da Kabul?
Due: «Impegno forte per cultura, scuola, università, ricerca e innovazione». Beh, siamo ovviamente d’accordo. Il punto è come rendere concreto l’ìmpegno. Stabilizzando i precari della ricerca? Trovando molti altri soldi per la scuola e l’università (pubbliche, beninteso)? Dirò più avanti come si potrebbero facilmente trovare i soldi.
Tre: «Rapida attuazione del piano infrastrutturale e in particolare dei corridoi europei (compresa la Torino-Lione); impegno sulla mobilità sostenibile». Qui ci sarebbe da discutere. Diciamo all’incirca: l’impegno di spesa per la Tav (si vedano i 13 miliardi di debiti pregressi infilati di soppiatto nella prima finanziaria di Prodi e che hanno raddoppiato il rapporto tra deficit e Pil) distrugge le ferrovie che l’ottanta per cento dei cittadini usa, quelle regionali o a media percorrenza. Se si rinuncia alla Tav (spesa prevista, 100 miliardi circa), si possono rimettere in sesto le linee per esseri umani e i trasporti pubblici locali, e forse la Val Padana potrà rinunciare al primato di area più inquinata del pianeta.
Quattro: «… fonti rinnovabili e localizzazione e realizzazione dei rigassificatori». Ecco un ossimoro. Se si vogliono tredici rigassificatori, e quindi si punta tutto sul gas, su moltissimo, anzi troppo gas (come dice il Master Plan di Eni che Carta a suo tempo ha reso pubblico) vuol dire che non si vogliono il risparmio energetico e le fonti alternative, cui si dedicano buone parole e scarsissimi finanziamenti. E di nuovo non esiste alcun piano energetico nazionale. Ah, già, un altro miliardo l’anno si risparmierebbe abolendo i Cip6, quattrini regalati ad inquinatori presentati come produttori di fonti «rinnovabili assimilate» (gli scarti del petrolio che Moratti brucia in Sicilia, i rifiuti che amministratori del centro-sinistra e affaristi diversi vogliono bruciare in tutta Italia).
Cinque: «Prosecuzione dell’azione di liberalizzazione…». Lo sa anche Bersani che i taxisti sono un pretesto. Le imprese «multiutilities» (ex municipalizzate quotate in Borsa, come Hera o Acea) puntano a trasformare in mercato i servizi pubblici. Ma Prodi dovrebbe spiegarci: perché l’acqua non va privatizzata, come ora ammette anche la ministra Lanzillotta, se le privatizzazioni assicurano efficienza e bassi costi? Risposta: perché i cittadini sull’acqua non mollano, e perché ogni analisi (ad esempio delle privatizzazioni inglesi) dimostra il contrario, meno efficienza e costi più alti. Magari invece una gestione pubblica, locale e partecipata anche degli altri servizi li migliorerebbe radicalmente e assicurerebbe risparmi, vedi i rifiuti e la follia degli inceneritori (pagati appunto dai Cip6, cioè da noi, mentre Roma è ferma al 12 per cento di raccolta differenziata).
Sei: «Attenzione permanente al Mezzogiorno…». Sarebbe utile, su questo punto, leggere il programma – scritto a suo tempo da migliaia di cittadini in appositi «cantieri» – della candidata del centro-sinistra alla Regione siciliana, Rita Borsellino. Purtroppo. Borsellino ha perduto contro clientele e mafia (alimentate dalle politiche «di sviluppo»), ma le loro proposte restano le migliori.
Sette: «… Riduzione significativa della spesa pubblica e della spesa legata alle attività politiche e istituzionali». Sulla spesa pubblica, basterebbe quasi cancellare la Tav. Ma forse Prodi è consapevole, anche se il Tg1 non ne parla, che il suo governo ha stabilito il record della spesa militare (21 miliardi in totale, per fare un raffronto basti dire che la Cina ne spende circa 28). Quanto al costo dei partiti, penso che Prodi non dica sul serio: i partiti mantengono una qualche presa sulla società solo perché distribuiscono posti e sono pieni di soldi: escludo che si suicideranno.
Otto: «Riordino del sistema previdenziale…». Al posto di Prodi mi preoccuperei del fatto che la precarietà del lavoro è tale che un’intera generazione va verso il disastro, nonché ovviamente lasciare all’asciutto le casse dell’Inps. Non si potrebbe, a proposito, cominciare almeno a parlare di reddito di cittadinanza? Per fortuna la legge Bossi-Fini sarà riformata immaginando che esiste solo il migrante-lavoratore (il ministro Ferrero è rimasto nel Novecento), e quindi gli incassi dell’Inps aumenteranno. A meno che quei lavoratori non finiscano in un Cpt, che nonostante ogni evidenza non verranno chiusi, e nemmeno «superati», come dice il mitico programma dell’Unione: sono galere etniche «bipartisan».
Nove: «Rilancio delle politiche a sostegno delle famiglie…». Giusto, Di che tipo di famiglie stiamo parlando? Le coppie di fatto, come è noto, non sono famiglie, come dice Andreotti.
Dieci: «Incompatibilità tra incarichi di governo e parlamentari…». Altri suicidi di massa in vista?
Undici: «Il portavoce del presidente
…». Ecco, qui siamo d’accordo. Trovo umiliante, per la categoria cui appartengo da trent’anni, affollarsi a microfono proteso e dandosi di gomito attorno ai prodi e ai berlusconi.
Dodici: «… Al presidente del consiglio è riconosciuta l’autorità di esprimere in maniera unitaria la posizione del governo…». Affari loro, noi ci preoccupiamo che le comunità, la società civile, esprimano in maniera plurale la loro posizione. Purtroppo siamo convinti – con Paul Ginsborg e Danilo Zolo – che la democrazia rappresentativa è malata grave. E certo è – come scrive Flores – una situazione molto pericolosa. Perciò ogni altra forma di partecipazione e di democrazia va promossa e sostenuta. Ma questa urgenza è irrimediabilmente fuori dall’orizzonte della politica. Dovremo fare da soli.
Pierfranco Pellizzetti (09-03-07)
Caro Paolo, forse mi ripeto (del resto, lo hai fatto un po’ anche tu), comunque insisto: nella morta gora in cui ci dibattiamo, nulla di veramente risolutivo può venirci da soluzioni salvifiche tipo regole di rivitalizzazione della rappresentanza o da cambi in corsa del leader con personaggi mediaticamente meno usurati, alla Walter Veltroni. Per inciso: se D’Alema è la faccia tracotante della paraculaggine, il primo cittadino romano è quella piaciona e vaselinosa (vedi la recente vicenda della dedica della Stazione Termini a Woytjla, papa da Anno Mille). E poi, conclusa l’esperienza amministrativa in corso, non doveva andare a far volontariato in Africa?
A volte mi trovo a pensare che la nostra generazione ha fondato il proprio immaginario sui film western e mantiene un’incrollabile fiducia nell’arrivano i nostri. Quasi una sorta di storicismo a scartamento ridotto. Che so, i cavalleggeri del tenente Rip Master guidati da Rin-Tin-Tin (come dice Alessandro Bergonzoni, “non un nome ma il rumore che fa un cane cadendo dalle scale”).
Purtroppo non c’è un cavaliere senza macchia e senza paura che giunge in nostro soccorso sul bianco destriero e il processo di degenerazione della politica ha raggiunto quello che mi sembra un punto di non ritorno. Consegnandoci un paese sfinito e sfibrato. Una prostrazione che non può essere sollevata proprio perché il punto archimedico su cui fare leva non esiste. Per inciso, trovo in una recente pubblicazione di due comunisti delusi un’informazione che mi mancava: l’immancabile conflitto di interessi lambisce perfino il nostro caro Prodi. Infatti, quando da presidente dell’IRI vendeva la Bertolli alla Unilever, sembra mantenesse rapporti di consulenza con quella stessa multinazionale anglo-olandese. Potremmo commentare: “non facciamoci del male”. Ma potremmo anche dire: “non lasciamoci prendere per i fondelli”.
Per questo motivo non riesco più a illudermi: da oltre trent’anni gli argini formali dell’etica pubblica sono stati minati; da altrettanto tempo il pensiero sul cambiamento (ovviamente di sinistra: la consapevolezza dell’ingiustizia da contrastare come sfida per l’impegno pubblico) è andato esaurendosi. Al loro posto troviamo l’opportunismo come pura tecnica del potere, in misura prevalente, e il dogmatismo come retorica, in talune frange. Entrambe scelte di posizionamento personale di stampo carrieristico.
Intanto perdevamo per strada ben due generazioni, quella dei quarantenni e quella dei trentenni. Ci apprestiamo a perdere pure i ventenni, nonostante evidenzino potenzialità interessanti; ma che non riescono a canalizzare verso la dimensione pubblica, anche perché le prevalenti modalità comunicative (e le relative concettualizzazioni indotte) rendono loro impossibile pensare in termini di “Noi”. Sicché si è volatilizzata quella dimensione relazionale che indirizzava naturalmente la nostra generazione all’impegno pubblico attivo. Ora l’interlocuzione a mezzo sms è di coppia, non certo plurale; “you and me”, secondo una nota pubblicità wireless. Il televisore non ti risponde, al massimo lo puoi spegnere. Il pc favorisce atteggiamenti intimistici proprio mentre promette la connessione globale.
Insomma, la mia impressione è che siamo alla fine di un mondo, il mondo che abbiamo conosciuto. Che non possiamo salvare con manutenzioni o aggiustamenti. Perché è avvenuto il prosciugamento della dimensione pubblica. Dunque della politica, se la intendiamo come possibilità dell’azione comune, pur nella consapevolezza delle rispettive diversità.
Dato che anch’io devo sopravvivere, cerco di consolarmi coltivando la convinzione che il discorso pubblico democratico sia rivitalizzabile partendo dalla sfera locale. Purtroppo la pratica quotidiana procura di darmi immediata smentita: la fine del sistema dei partiti non ha liberato energie partecipative tali da impedire un prevalente riassetto di segno contrario. Ossia, cordate verticistiche di interessi spesso trasversali, cementate dagli affari (sempre meno occultati dai fumismi che vorrebbero riproporci gli schemi e i linguaggi di quando la politica organizzava in discorso pubblico le differenti istanze del corpo sociale).
Dunque, a tutti i livelli una situazione che assomiglia al tramonto del mondo antico. Per questo, se penso all’oggi in chiave comparativa, non mi vengono in mente i grandi esploratori di una modernità in ascesa. Da Marx a Weber. Semmai figure che appaiono nella luce fioca dei remoti ricordi liceali. Le sensibilità inquiete e ferite che nascevano dalla percezione – per dirla alla Gibbon – della decadenza/caduta del proprio mondo. Che ne so, gli Ausonio che sulla Mosella coltivavano la nostalgia, i Marco Aurelio che ripiegavano nel privato (“animula vagula blandula”), i Paolo il Silenziario in fuga verso l’afasia (“il mio nome è… e che importa?”).
Per questo, restando nella metafora, occorrerà predisporci ad attraversare il nuovo medio evo incombente. Sapendo che, ancora una volta, le possibilità sono due. Come per il monachesimo. Quello orientale degli stiliti sceglieva la solitudine e il solipsismo. Quello occidentale dei benedettini e dei monaci irlandesi optava per un impegno attivo volto ad alimentare barlumi di civiltà.
Dichiaro la mia scelta per Benedetto e San Patrizio: la resistenza come impegno di conservazione, testimonianza e trasmissione di valori.
Nella consapevolezza che la marcia sarà lunghissima. Anche se, visti i tempi accelerati del postmoderno, per giungere all’autunno del nuovo medio evo non occorrerà certo un millennio. Ma – francamente – qualche generazione sì.
Come quelli costruivano monasteri, anche a noi spetta ora il compito di creare luoghi fisici e virtuali dove sia possibile coltivare idee. Per dirla con Seneca, “coltivare umanità”. E quindi il solito invito vale sempre: non perdiamoci di vista.
Mauro Barberis (12-03-07)
Caro Paolo,
ti ringrazio per questa nuova, anzi ennesima provocazione, che merita solo di essere raccolta, come cercherò di fare qui di seguito. Punto per punto:
1) La storia del raddoppio della base Usa di Vicenza, per non parlare del rifinanziamento della missione in Afganistan è stata gestita malissimo, come scrivi. Ma avrebbe potuto essere gestita meglio, da una maggioranza composita che si ritrova con uno o due voti di maggioranza al Senato? Vogliamo ricordare quello che sanno tutti, ossia che l’attuale maggioranza, da Bertinotti a Mastella, è solo, al peggio, un cartello elettorale anti-berlusconiano, al meglio un piccolo CLN, come ripete da tempo Enzo Marzo? Vogliamo ricordare l’avvelenamento dei pozzi da parte del precedente governo, con una legge elett
orale fatta apposta per diminuire il vantaggio allora goduto dal centro-sinistra nei sondaggi e, se non per batterlo, almeno per impedirgli di governare? A questo punto, poco importa se tradire il programma sia stato Prodi o il senatore Turigliatto. Il programma era così vasto e ingestibile perché non serviva a indicare le cose da fare, bensì per prevenire le possibili divisioni nella maggioranza: divisioni che si sono puntualmente verificate anche nonostante il programma, o forse proprio grazie ad esso.
2) Hai ragione a ricordarci il cambiamento di posizione del governo sul problema del segreto di Stato, così come ha ragione Marco Travaglio a ricordarci, nel numero 1/2007 di MicroMega, il carattere sistematico del tradimento del programma. Ma, di nuovo, era possibile agire diversamente per una maggioranza così debole da dover mettere un Mastella al ministero della giustizia? Churchill avrebbe fatto di meglio, se avesse dovuto governare tenendo conto degli umori di una decina di partiti, e di una opposizione il cui unico obiettivo, sin dalla famosa discesa in campo, era di non lasciar governare nessun altro? Certo, Churchill si sarebbe comprato i senatori che gli mancavano, cone ha fatto sostanzialmente Berlusconi nel 1994, e come sta certamente cercando di fare anche l’attuale maggioranza. Solo che, per fare certe cose, bisogna esserci tagliati.
3) Certo che in questo modo si riconsegna il paese a Berlusconi: e lo si riconsegna nel modo e nel momento peggiore, dopo una finanziaria sangue-sudore-lacrime e senza aver ancora restituito una lira di tasse, senza poter fruire della ripresa economica, senza avere spostato una pianta alla Rai, e con il Cavaliere ancora saldamente in sella, nonostante tutto, mentre domani o dopodomani chissà. Perché Berlusconi ha potuto sgovernare per cinque anni, mentre Prodi non può arrivare all’anno? Come si può fare un confronto fra i due governi, su queste basi? Anzi, come si può fare un confronto tout court, fra un regime basato sul controllo dell’informazione e sull’illegalità sistematica, e un governo anche solo semplicemente normale? E come si può pensare di vincere semplicemente bruciando, nel momento peggiore, la carta Veltroni?
4) Sul fatto che ora Prodi chieda carta bianca, temevo la famosa risposta di Totò al generale tedesco. È vero, semmai, che doveva chiederla prima, invece di fidarsi della sottoscrizione di altra carta, un programma di centinaia di pagine; è vero che avrebbe dovuto accettare l’apporto delle liste civiche regionali; è vero che i Dico sono una questione di principio sulla quale potrebbe anche valere la pena di cadere a testa alta, altro che l’allargamento della base di Vicenza. Ma tutto questo rientra nell’ordine delle recriminazioni che non ci possiamo più permettere; ora si tratta solo di evitare il peggio: ossia il ritorno trionfale di Berlusconi al potere e altri cent’anni di solitudine, altre traversate del deserto, per quella che resta comunque la parte migliore di questo paese.
5) Ti chiedi, giustamente, se così lo si evita davvero il peggio; e noti, ancora più giustamente, che le forze dell’arco costituzionale, fermo almeno nella pregiudiziale antifascista, oggi non arrivano al 60 per cento (il centro-sinistra più il partito di Casini). Ma è proprio per questo – per questa differenza sui valori ultimi, non negoziabili, come la pregiudiziale antifascista – che questo governo e l’altro possibile, il peggio da evitare, sono incommensurabili: tra loro, letteralmente, non c’è scelta. Certo, il modello CLN poteva essere una buona soluzione per l’opposizione, ma si è rivelata un disastro per il governo; per il governo – se non per quello di oggi, per quello di domani – sono necessarie grandi riaggregazioni dell’attuale pletora di partiti e partitini. Non so tu, ma personalmente ne vedo solo tre: un grande partito di sinistra radicale, da Rifondazione al Correntone, un vero Partito democratico, veltroniano e comunque nuovo, diverso dagli attuali Ds e Margherita, un partito liberale, radicale e laico. Ma tutto ciò dipende dalla riforma del sistema elettorale, e in parte anche dall’adozione delle primarie, come tu stesso riconosci al punto 8.
6) Il vero problema non è la mancanza di rappresentatività dei rappresentanti: i quali, purtroppo, rappresentano sin troppo bene i loro elettorati, soprattutto quello del centro-destra. Il problema vero, al contrario, sono i filtri, i sistemi di mediazione istituzionale e costituzionale che dovrebbero darci dei rappresentanti migliori dei loro rappresentati: che è un po’ quello che avveniva nella cosiddetta prima repubblica (cosiddetta perché costituzionalmente non è cambiato quasi niente, oggi quasi neppure il sistema elettorale). Il mito del rinnovamento radicale della classe politica, per non parlare dello slogan del qualunquismo democratico, non ci portano da nessuna parte: non abbiamo una classe politica di riserva, sin qui rifugiata nelle catacombe della società civile: la ventata di partecipazione/indignazione della società civile democratica contro la maggioranza dell’attuale ceto politico di centro-sinistra, da te invocata, travolgerebbe solo questa maggioranza, senza produrne una nuova. Chi, nelle condizioni attuali, o peggio dopo la fine traumatica del governo Prodi, sarebbe ancora disposto a spendere la propria faccia in politica?
7) Che poi la tua non sia un’utopia, e che proprio queste ventate di disprezzo nei confronti della politique politicienne avvengano nei partiti del centro-sinistra europeo, meno sclerotici dei nostri, è tutto da dimostrare; per fare solo un esempio, io stesso avevo pensato la stessa cosa per Segolène Royal in Francia, ma devo riconoscere che la sua avventura sembra disgraziatamente arrivata al capolinea. Proprio Segolène mostra bene i limiti della – nobilissima – politica civile da te prefigurata: proprio come lei, i politici responsabili e capaci di lucidità e senso dello Stato, che dovrebbero suscitare e catalizzare la ripresa di impegno nella società civile, rinnovando il centro-sinistra da cima a fondo, verrebbero probabilmente dalle seconde file dell’attuale classe dirigente e non ci porterebbero più lontano di questa. La politica, ormai, si è mangiata anche la società civile.
8) Sul destino di questa legislatura, e sui tuoi pronostici per la fine del 2008, quando saranno passati i famosi due anni, sei mesi e un giorno (e la pensione per i deputati di prima nomina non sarà più a repentaglio), ti confesserò che la penso proprio come te: e da tempi non sospetti. Ricordo una cena, poco dopo le ultime elezioni, in cui un famoso giornalista propose, come gioco di società, di scommettere sulla data della fine del governo Prodi e/o della legislatura. Tutti vollero fare mostra di realismo, o di cinismo, e scommisero che Prodi non sarebbe arrivato a mangiare il famoso panettone; se ben ricordo, solo il sottoscritto si sbilanciò sino a puntare – con realismo o cinismo forse ancora peggiori – per i due anni, sei mesi e un giorno. Devo vergognarmene? Questa è la politica, baby.
9) Aggiungo un nono punto, un po’ perché non mi piacciono i numeri pari (neanche il dieci del decalogo e il dodici del dodecalogo di Prodi), un po’ per rispondere all’amico Pellizzetti. Se il Medio Evo davvero incombe, faccio anch’io, come lui, la scelta del monachesimo occidentale: «la resistenza come impegno di conservazione, testimonianza e trasmissione di valori». Ma, nelle nuove condizioni della comunicazione politica, e forse anche in quelle vecchie, non sogniamoci di poter lasciare alle generazioni future altri documenti cartacei, ch
e documentino solo, come questa discussione, i nostri dubbi e il nostro scoramento. Quello che dobbiamo lasciare nella memoria sono atti pubblici, gesti da ricordare, miglioramenti concreti portati nella vita di tutti. Per questo, e non per altro, mi sento di difendere, come l’ultimo samurai, il governo Prodi: potrebbe essere la nostra ultima occasione, come dice Pellizzetti, forse non per un millennio, ma certo per qualche generazione.
Pancho Pardi (15-03-07)
(i punti si riferiscono al testo di Paolo Flores d’Arcais)
1) Non posso dire di ricordarmi che il governo aveva fatto capire che avrebbe negato l’autorizzazione. Ma in ogni caso il diktat dalla Bulgaria -“decisione già presa”- è stato un grave errore per vari motivi. Primo: pare che la decisione non sia stata davvero collegiale; alcuni del governo non sapevano e quindi l’atteggiamento premierale di Prodi era sbagliato (anche se anticipava i superpoteri che la coalizione gli ha poi dato in seguito). Secondo: non si capisce perché una vaga disponibilità mostrata dal governo Berlusconi dovesse diventare un obbligo per il governo dell’Unione: il volere degli Usa è sempre un obbligo per noi? E i problemi posti dalla extraterritorialità, come quelli del Cermis? Terzo, e meno importante, dopo quello di Berlusconi su Santoro e Biagi i dirigenti dell’Unione dovrebbero evitare proclami bulgari.
Stabilite le responsabilità principali, considero quello di Turigliatto e Rossi un atto non di coscienza ma di incoscienza. Ha trovato invece la soluzione giusta Franca Rame: ha espresso la sua libertà criticando fino in fondo il governo ma poi, consapevole del rischio, ha votato per senso di opportunità. Quando si sta in una coalizione al governo in una fase di assoluta emergenza, il voto dei parlamentari non deve esprimere pulsioni personali ma tenere conto dello stato di necessità generale.
2) Non ho molto da aggiungere. Il problema del segreto di Stato è in primo piano proprio per la base di Vicenza: che cosa non sappiamo o non dobbiamo sapere sulle ragioni che la rendono così inevitabile?
3) Penso che tutte le critiche che si sono fatte e si possono fare al governo Prodi (e considero fondamentali quelle sull’assenza totale di risanamento istituzionale: abrogazione leggi ad personam, conflitto d’interessi, sistema televisivo) non possono eliminare l’emergenza. Per essere chiaro: il governo Prodi deve durare tutto il tempo necessario a rendere impossibile una nuova candidatura di Berlusconi. Se non ce la farà avremo nel migliore dei casi un governo istituzionale che cincischierà per qualche anno e nel peggiore nuove elezioni con inevitabile sconfitta e nuovo governo Berlusconi.
Dato lo stato attuale delle cose (davvero peggiorate al confronto anche con le aspettative meno ottimistiche) non mi sembra realistico sperare che una candidatura Veltroni possa rovesciare i pronostici.
4) Sono d’accordo. La critica all’irresolutezza di Prodi non fa una grinza, ma ciò secondo me non cambia le conclusioni accennate sopra.
5) E’ vero. Infatti da ora in poi non si può aspettare la soluzione dalla classe dirigente dell’Unione, perché essa stessa è il problema (e non la soluzione del problema).
6) Capisco la voglia di provocazione ma il termine qualunquismo democratico mi sembra poco felice. La ventata di partecipazione-indignazione sarebbe salutare ma l’esperienza ci mostra che essa si è manifestata con grande spontaneità quando si doveva contrastare il centro-destra. Al contrario l’inanità del centro-sinistra genera nei suoi elettori più depressione che ribellione. E sulla base della depressione si costruisce poco e male. Ma poiché c’è davvero un enorme deficit di rappresentanza politica bisogna decidere se da ora in poi il protagonismo civile sarà capace di esprimere una sua proposta di soluzione. In qualsiasi modo si vada al voto la prossima volta sarà necessario che l’elettorato orfano abbia la possibilità di votare per qualcosa di diverso dai partiti che non riescono più a convincerlo.
8) Il proporzionale con sbarramento alla tedesca favorirà in Italia un predominio del centro, e perciò riceve i favori maggiori. Anche se la rappresentanza politica più giusta è col proporzionale (una testa un voto) preferisco il maggioritario a doppio turno alla francese perché col primo turno funziona quasi come una primaria e permette la rappresentanza dei gruppi minori, mentre col secondo turno obbliga a scegliere tra due alternative. Si vota così il male minore? Può essere, ma quando mai abbiamo potuto votare il bene maggiore? Sempre meglio che avere il dominio del male maggiore insediato al centro.
Ma il problema attuale della legge elettorale è il rovesciamento delle parti. Prodi, che era stato contro la riforma costituzionale del centro-destra, ne fa riproporre alcuni punti pericolosi (il premierato) perché pensa che gingillandosi con le modifiche costituzionali può durare di più. Berlusconi che voleva affossare la Costituzione repubblicana ora non vuol sentir parlare di modifiche e vuole poche correzioni alla legge elettorale per tornare subito al voto.
Noi dobbiamo temere la sostanza delle modifiche costituzionali (soprattutto il premierato) e sperare che la melina sulle modifiche abbia solo valore strumentale. Perché, comunque la mettiamo, se andiamo al voto tra breve è sconfitta sicura e forse disastrosa. Mentre se guadagniamo un po’ di tempo abbiamo anche l’opportunità di costruire qualcosa di inedito nella politica italiana.
Comunque sia, se per qualche accidente dovessimo andare al voto subito, la sicurezza che una quota importante di cittadini si rifiuterà di votare per questo centrosinistra ci obbligherà a fare il tentativo prematuro di dare una rappresentanza all’elettorato orfano. Assistere al disastro senza fare nulla non si può.
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