Guerra all’Isis: azioni o proclami?
Paolo Flores d'Arcais
Mentre in Turchia è ormai islamo-fascismo esplicito, l’Occidente, con un ritardo inqualificabile, racconta che saprà difendersi dal terrorismo islamico. Ma questa guerra, che è di legittima difesa, i nostri establishment hanno davvero intenzione di farla, combattendo ogni forma di fondamentalismo islamico? E l’Islam che si dichiara moderato e “scomunica” i terroristi, ha davvero deciso di parteciparvi?
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Oggi, in nome di non si sa che cosa, Obama, la Nato, l’Europa, hanno dapprima propiziato la vittoria elettorale di Erdogan (Merkel in primis) poi garantito il successo del golpe islamo-fascista permanente di Erdogan, sostenendolo nel far fallire il “golpe” più che mai enigmatico contro di lui. Nel frattempo l’Occidente scopre che l’Isis le ha dichiarato guerra. Benché la dichiarazione sia stata fatta un anno e mezzo fa, con la strage della redazione di Charlie Hebdo. Con un ritardo inqualificabile l’Occidente racconta che saprà difendersi. Ma questa guerra, che è di legittima difesa, l’Occidente ha davvero intenzione di combatterla? E l’Islam che si dichiara moderato e “scomunica” i terroristi, ha davvero deciso di parteciparvi? Perché la forza del terrorismo islamico è nel suo habitat di fondamentalismo islamico, che funziona da brodo di coltura e di reclutamento. Ma il fondamentalismo islamico è quello dell’islam salafita e di correnti analoghe, l’islam della maggior parte delle moschee, perché finanziate dall’Arabia saudita e altri Stati fondamentalisti del golfo, delle tantissime scuole private islamiche che soprattutto in Germania e Inghilterra si moltiplicano, dei simboli di fondamentalismo che sempre più spadroneggiano in interi quartieri/ghetto delle città europee. Perciò, non si combatte questa guerra di legittima difesa contro il terrorismo islamico se non si combatte con la stessa radicalità ogni forma di fondamentalismo islamico, non si pretende che vengano proibiti finanziamenti alle moschee da parte di Stati o associazioni islamiche internazionali (spesso travestite da Onlus) anche solo “in odore” di fondamentalismo, non si esige che tutte le prediche avvengano in lingua locale e siano dunque controllabili, non si decreta che è reato penale grave (con aggravante se si tratta di imam o altra personalità eminente nella “comunità”) ogni omessa denuncia non solo di minacce e progetti terroristici comunque ventilati, ma di ogni diffusone e propaganda di posizioni fondamentaliste, e di ogni comportamento lesivo di diritti civili elementari e dell’eguaglianza della donna rispetto all’uomo: mutilazioni sessuali delle bambine, matrimoni coatti o combinati, intimidazioni per comportamenti sessualmente “liberi”, pressioni per impedire che le ragazze frequentino lezioni di ginnastica o biologia, ecc. (va da sé: essere coinvolti in qualsiasi modo nel crimine di mutilazione sessuale dovrebbe comportare pene altissime). E non si combatte questa guerra di legittima difesa, in cui decisivo è l’habitat culturale ed “esistenziale” fondamentalista, se non lo si disinquina liberandolo da ogni simbolo di “soggezione” della donna e ogni discorso di rifiuto dei diritti civili (sessuali compresi) di ciascun individuo: nessun burqa neppure nella strade, niente velo nelle istituzioni pubbliche, diritto delle imprese private a vietarlo insieme ad ogni altro simbolo religioso, proibizione che nelle prediche si attacchino in qualsiasi modo diritti costituzionali e leggi democratiche, divieto di scuole islamiche. Ma come è possibile che i nostri establishment facciano davvero questo minimo culturale necessario? Perché è evidente che la libertà religiosa deve restare, ed eguale per tutti, e dunque il divieto di usare luoghi di culto per attaccare diritti costituzionali o leggi democratiche deve valere per ogni confessione, cristianesimi ed ebraismi compresi. Egualmente per il divieto di scuole non laiche/pubbliche, e per i simboli religiosi nelle scuole, ospedali, uffici e luoghi istituzionali, ecc. E come è credibile che gli attuali establishment conducano davvero questa guerra di legittima difesa, se restano alleati di Stati (Arabia saudita in primis) dove il fondamentalismo della sharia è legge, e agli atei si taglia la testa, e le adultere vengono lapidate e gli omosessuali vengono impiccati? E tutto questo viene accettato in nome di lucrosissimi affari? Non si conduce una guerra (di legittima difesa come è quella contro il terrorismo e il suo habitat fondamentalista) se non si ha il coraggio minimo della coerenza, non si mette il denaro e il profitto almeno al secondo posto rispetto ai valori democratici, e non si trasformano radicalmente i servizi di sicurezza, che sono ancora quelli della guerra fredda e del controllo su possibili oppositori democratici interni (gli elenchi di giornalisti e magistrati “attenzionati” dai servizi “deviati” sono cosa di ieri che certamente prosegue anche oggi) anziché essere focalizzati con tutte le risorse necessarie nel controllo dei fondamentalismi (e delle mafie che con essi trafficano, o delle imprese “pulite”, spesso statali, che trafficano anch’esse: petrolio, armi, droga, migrazioni clandestine, riciclaggio …). Controllo che dovrebbe essere di difficoltà non improba, visto che il reclutamento dei terroristi avviene sui “social”, nelle carceri, nelle moschee e scuole, e insomma in luoghi tutti assai controllabili (ma se nemmeno i braccialetti elettronici funzionano, che senso ha invocare lo “Stato forte”? Funzione di propaganda elettorale reazionaria, come è ovvio). E non si prosciugherà mai l’habitat del fondamentalismo e dunque del terrorismo se non si procede alla integrazione degli immigrati, le cui ondate potranno essere limitate ma certo non bloccate. È inevitabile che tra tre o quattro o cinque generazioni gli immigrati o i loro figli e nipoti nati in Europa saranno la maggioranza della popolazione. Il problema è se saranno stati integrati ai valori di libertà civili e democrazia di cui l’Occidente si riempie la bocca ma che gli establishment infangano ogni giorno, oppure se saranno restati ghettizzati in comunità con valori premoderni che vinceranno per numero. Ma integrare significa assimilarli uti singuli, dunque impedire che nascano i ghetti, e garantire che ciascuno possa davvero godere di quella “liberté, égalité, fraternité” che dovrebbe essere trama e tessuto della vita quotidiana repubblicana. Altrimenti, se questa eguale cittadinanza non è l&r E non si può assicurare questa cornucopia doverosa e inevitabile di diritti sociali e civili all’immigrato se la si nega ai cittadini autoctoni, il dieci per cento dei quali vive sotto la soglia della povertà in senso proprio, mentre gran parte del mitico ceto medio perde reddito e status e una minoranza diventa sempre più mostruosamente ricca e sfacciatamente arrogante (dieci famiglie hanno in Italia lo stesso reddito dei sei milioni di più poveri!). I soldi ci sono, solo che sono nei forzieri e nei paradisi fiscali di minoranze che possono spendere in una festa di compleanno per il proprio “rich kid” l’equivalente del reddito di migliaia di anni di un pensionato (e di centinaia di migliaia di anni di un affamato dell’Africa). Ecco perché l’Occidente degli establishment la guerra di legittima difesa contro il terrorismo islamico non la vuole fare davvero: perché solo l’eguaglianza ci può salvare. Twitter @pfloresdarcais |
[Dopo i militari, i magistrati, i rettori universitari è la libertà di stampa a finire nel mirino di Recep Tayyip Erdogan. Oltre 130 media – 16 reti televisive, 23 radio, 45 quotidiani, 15 magazine e 29 case edititrici – sono stati chiusi negli ultimi giorni, decine di giornalisti arrestati e accusati di aver appoggiato Fethullah Gulen, identificato da Erdogan come fautore del golpe fallito e primo nemico di Ankara. Mahir Zewynalov, giornalista azero corrispondente per Today’s Zaman, editorialista per Al Arabiya e collaboratore di Huffington Post, residente a Washington, ha pubblicato sul suo account Twitter gli scatti dei colleghi turchi arrestati, scrivendo per ognuno una breve didascalia]
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(31 luglio 2016)
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