I cattolici francesi s’interrogano: “Papa Benedetto XVI non è caduto dal cielo”
di Karim Mahmoud-Vintam, presidente dell’associazione francese Nous Sommes Aussi l’Eglise (Anche noi siamo Chiesa), da Libération, 13 aprile 2009, traduzione di www.gionata.org
Ben al di là di una tendenza generalmente e pedissequamente definita da contestatori, un crescente numero di cristiani si interroga sull’opportunità della loro affiliazione alla Chiesa cattolica.
A dire il vero, la maggior parte di essi non si era nemmeno mai posto il problema: erano cattolici allo stesso modo come sono Francesi (o del Benin, poco importa!), per eredità o per convenzione, se non addirittura per caso.
Tramite le sue affermazioni letteralmente incombenti (sulla contraccezione e sull’ AIDS) e le sue azioni di riconciliazione unilaterali (questi poveri integralisti Lefebriani [1] apparentemente non avevano chiesto nulla), senza nemmeno parlare della passata faccenda di Ratisbona o di quella recente di Recife, Benedetto XVI offre loro con una insistenza per lo meno singolare i motivi per interrogarsi.
E’ proprio necessario, nonostante ciò, abbandonare la nave, clamorosamente o in punta di piedi, secondo il proprio temperamento, il grado di esasperazione o di disperazione di ciascuno?
Si potrebbe immaginare di rinunciare alla propria nazionalità per motivi di disaccordo, anche completo, con il Potere del momento?
Senza dubbio è più che mai essenziale dire – e far capire – che il Papa, chiunque egli sia, non è in grado di parlare a nome di tutti i cattolici quando abbandona il suo ruolo di garante dell’unità della Chiesa per avventurarsi nell’enunciazione di una legge naturale che non è possibile ritrovare nei testi così come nei fatti concreti; quando viene meno al suo ruolo di custode del dogma – del quale egli, Simbolo degli Apostoli, rappresenta la quintessenza – per affermare come vere e indiscutibili delle costruzioni teologiche congiunturali e precarie che costituiscono oggetto di discussione tra gli stessi teologi; quando abbandona il suo ruolo di pastore per indossare l’abito del monarca per diritto divino, sordo alle reali preoccupazioni dei suoi fedeli, totalmente chiuso anche alla semplice prospettiva di entrare in un dialogo benevolo ed amorevole – cosa che non significa compiacente – con le donne e gli uomini del suo tempo.
Senza dubbio è più che mai essenziale dire – e far capire – che noi siamo (anche) la Chiesa, e che al di là di alcuni punti precedentemente sollevati, nessuna autorità ha il diritto di parlare a nome nostro, di svendere la credibilità della nostra fede agli occhi dei non-cattolici e di offuscare l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo che rimane il fondamento più saldo della nostra fede.
Un’altra questione agita molti cristiani di confessione cattolica: è necessario reclamare le dimissioni di Benedetto XVI?
Si avrebbe torto a credere che si tratti soltanto di gruppuscoli contestatori – a meno di considerare come tale un Alain Juppé che affermava recentemente che "questo papa comincia a rappresentare un vero problema!".
Lasciamo da parte la legittimità di una tale rivendicazione e poniamoci interrogativi sulla sua opportunità. In primo luogo la crisi che la Chiesa sta attraversando non è iniziata con l’elezione di Benedetto XVI.
Senza risalire fino a Teodosio, è sotto il pontificato di Giovanni Paolo II che fu condotto il metodico smantellamento delle acquisizioni del Concilio Vaticano II, che segnò un inedito tentativo di apertura della Chiesa alle preoccupazioni del suo tempo e di ricollocarsi attorno al popolo di Dio e farlo diventare l’elemento centrale.
E’ sotto il suo pontificato che venne condotta la repressione – orchestrata già allora da un certo Joseph Ratzinger – di quei teologi che intendevano interrogare liberamente la fede cristiana (Tissa Balasuriya in Sri lanka, Hans Kung in Germania, Ivone Gebara in Brasile…), e non sarebbe esatto credere che soltanto i cosiddetti teologi della liberazione fossero sotto tiro poichè fu tutta l’intelligenza della Chiesa ad essere costretta alla censura – o, peggio, all’autocensura – al servizio di una restaurazione dottrinale ed ideologica.
E’ sotto il pontificato di Giovanni Paolo II infine che ha avuto luogo la metodica ripresa del controllo da parte delle Chiese nazionali (il siluramento in Francia di Jacques Gaillot, nominato vescovo di Partenia, diocesi del deserto algerino scomparsa nel… VII secolo; l’episodio di Innsbruck in Austria nel 1995 che provocò l’Istanza del Popolo di Dio firmata in alcuni mesi da oltre 500.000 persone in Austria e in Germania; che nomina come capisaldi di potere di vescovi latino-americani o africani segnalati per la loro docilità nei confronti dell’Istituzione) e il sostegno senza indecisioni a movimenti il cui scopo manifesto non è il servizio della società ma la creazione di propri centri di attività e la sua dominazione (Opus Dei, Legionari di Cristo, Comunione e Liberazione…).
Benedetto XVI non è dunque piovuto dal cielo, e gli attuali problemi oltrepassano largamente la sua persona individuale. Chiedere le sue dimissioni? E sia, ma per quale successore dopo 30 anni di creazione di Cardinali-elettori il più possibile aderenti alle tesi ed agli orientamenti vaticani attuali?
La via d’uscita dalla crisi, se esiste (e per forza deve esistere), si trova altrove. La porta è stretta e il cantiere monumentale. Ma è anche straordinariamente stimolante, l’essenziale è non di arrivare ad una Chiesa perfetta (che presunzione e che ingenuità!) ma di camminare, di inciampare, di rialzarsi, ancora e ancora, verso una Chiesa più fedele a colui a quale essa fa appello, vale a dire al servizio di una umanità più libera, più giusta, più umana.
Noi siamo (anche) la Chiesa e spetta a ciascun cristiano/a costruire non un’altra Chiesa, ma una Chiesa altra, meno piramidale/clericale e più orizzontale/laica (in nome dell’uguale dignità di tutti i battezzati, uomini e donne); preoccupata di approfondire la fede che la fa vivere e di renderne ragione con umiltà; impegnata al fianco di coloro che soffrono, dovunque si trovino piuttosto che imbalsamata davanti agli altari e alle acquasantiere; preoccupata di ritornare indefessamente ai Vangeli, per interrogare ancora e sempre il testo e lasciarsi interrogare da lui; una Chiesa pluralista nella quale tutte le sensibilità religiose possano esprimersi (dato che sarebbe contraddittorio rovesciare una gogna dogmatica per sostituirla con un’altra) e comunicare nel rispetto reciproco e la libera ricerca; una Chiesa che sia il raduno di comunità diverse, la cui comunione è garantita dal collegio dei vescovi in generale e dal vescovo di Roma in particolare, una Chiesa che cammina nella teoria e nei fatti insieme a tutti gli uomini di buona volontà, qualunque sia la loro religione – ammesso che ne abbiano una!
Una tale metamorfosi sconcerterà o scoraggerà più di un fedele abituato a ricevere religiosamente, dall’alto, la rassicurante conferma di ciò che deve fare, pensare, credere.
Ma la credibilità della Chiesa e la sua fedeltà al Vangelo richiedono questo prezzo.
Più che mai la Chiesa cattolica ha bisogno di tutti coloro che, qualunque sia la loro storia, la loro origine o la loro vita, hanno sete di verità e di giustizia, e sono alla ricerca della forza di amare e di essere amati, questa forza che spesso ci viene a mancare e che pertanto è la sola manifestazione tangibile, nelle nostre vite, di ciò che noi cristiani chiamiamo Dio.
[1] Integralisti che, per inciso, sono meno da condannare (cosa ci sarebbe di più facile, d’altronde, in base alla sufficienza e alla stupidità delle affermazioni di molti di essi – per non parlare del neg
azionista porporato Richardson!) che da compiangere per la loro inattitudine di base a comprendere il mondo e, in fin dei conti, a viverci.
Karim Mahmud-Vintam, presidente dell’associazione francese Anche noi siamo Chiesa, è editore (Temps Présent Editions, fondata tra gli altri da Ella Sauvageot, François Mauriac et Jacques Maritain) e insegnante all’Istituto di Studi Politici di Lione.
(4 giugno 2009)
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