I dilemmi della Brexit

Antonia Battaglia

La fase negoziale più importante delle trattative Brexit tra l’Unione Europea ed il Regno Unito è entrata nel suo momento decisivo. A più di due anni dal referendum che ha visto i britannici scegliere l’uscita dall’UE, dopo quella che è stata definita da autorevoli voci una campagna di informazione controversa, costruita su dati parziali e su una diffusa mancanza di chiarezza programmatica in merito alle scelte che l’uscita dall’Unione avrebbe comportato ed il loro reale impatto sulla vita dei cittadini, il futuro politico delle relazioni tra le due entità permane incerto. Mancano appena sei mesi dalla data fatidica di uscita: il 29 marzo 2019.
Il Summit europeo di Salisburgo, organizzato dalla Presidenza di turno dell’Unione, l’Austria, è l’occasione per fare il punto sullo stato attuale dei negoziati tra le due parti, dopo mesi di colpi di scena, ministri britannici dimissionari e incertezze che sembrano aver dominato il panorama politico londinese.
Il Governo del Primo Ministro May, infatti, deve ancora chiarire alcune scelte fondamentali in merito alla natura delle relazioni che il Regno Unito vuole con l’Unione Europea, in quella che sembra una scelta fondamentale che tocca i concetti profondi di sovranità nazionale. Se "Brexit means Brexit", la scelta politica conseguente è una ridefinizione in chiave nazionalista e sovranista delle posizioni in merito alla permanenza nel mercato unico europeo e all’unione doganale, con tutte le numerose conseguenze. La necessità di prendere posizione è ormai stringente: una volta uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito, infatti, dovrà rinegoziare almeno 759 trattati con 168 paesi non europei, con organizzazioni internazionali e altri soggetti di diritto internazionale.

Il Consiglio Europeo di Ottobre 2018 dovrà poi preparare le posizioni per il Summit Brexit, che siglerà l’accordo storico tra le due parti. Ma prima degli eventi europei, sarà fondamentale osservare l’evoluzione delle posizioni interne al Partito Conservatore, a cominciare dalla convention prevista a Birmingham tra il 30 settembre e il 3 ottobre 2018. Perché la proposta del Premier May, presentata a Chequers il 6 luglio scorso, prevede un accordo che tiene il Regno Unito molto vicino all’Unione Europea per mezzo di una cooperazione aperta in materia di libero commercio e di accesso all’unione doganale.

La proposta, tuttavia, non prende in considerazione gli obblighi derivanti dalla permanenza nel mercato unico, come la libertà di movimento dei lavoratori e i contributi al budget europeo e pertanto pone l’Unione davanti ad una scelta difficile, ponendo degli evidenti motivi di preoccupazione per i Paesi Membri e rimettendo in discussione due dei pilastri europei: il libero mercato interno all’Unione e l’assenza di controlli doganali. Inoltre, essa pare anche di difficile implementazione per via dei dettagli tecnici inerenti alla difficoltà di operare controlli su merci in un’area doganale che non fa più parte dell’Unione Europea.
Tuttavia, se da una parte il Premier May vorrebbe tenere il Regno Unito all’interno dell’area di libero scambio, la frangia più conservatrice del suo partito ne vuole l’uscita e ha criticato il suo approccio, cercando di indebolirne la legittimità a negoziare un accordo che possa essere lesivo della totale indipendenza e sovranità del Regno Unito rispetto all’Unione. Una profonda differenza di visione interna al partito, che avrà nel voto finale sull’accordo Brexit al Parlamento il suo ultimo atto.
Sono diversi gli studi che, in questi anni, hanno evidenziato quali sarebbero le conseguenze di una hard brexit per il Regno Unito, in termini di perdite economiche, di impegni sociali per cittadini e i lavoratori, e del venir meno dell’ampio ventaglio di diritti di cui l’Unione Europea è un indiscusso, seppur perfettibile, garante.

Ma perché la questione del mercato unico europeo e dell’unione doganale rivestono una così grande importanza in seno ai negoziati tra Unione Europea e Regno Unito?
Perché esse sono intrinsecamente legate al dissidio sul confine tra l’Irlanda del Nord (Regno Unito) e la Repubblica di Irlanda, che sarà tra pochi mesi il nuovo confine a nord tra l’Unione Europea ed una entità terza.

Sia che si vada verso una Hard Brexit, possibilità che l’Unione Europea vuole evitare, sia che si possa negoziare una Soft Brexit, quelle 300 miglia che separano le due entità saranno un nuovo effettivo confine e rappresenteranno un nodo delicato della storia dell’Europa intera. Il Partito Unionista di Arlene Foster, DUP, che non accetterebbe mai una divisione tra le due parti dell’Irlanda, tiene solido il Governo May.
A Belfast la tensione sale. Il Good Friday Agreement, firmato nel 1998, ha appena 20 anni e un clima politicamente irrequieto potrebbe portare nuove potenziali tensioni tra unionisti e nazionalisti. In un Nord Irlanda ancora poco sviluppato rispetto al resto del Regno Unito, con una economia stagnante costituita soprattutto di piccole e medie imprese che potrebbero soffrire pesantemente delle imposizioni doganali che renderebbero difficile il commercio, si vive il periodo pre-Brexit con grande ansia.
Appesantita da una crisi politica prolungata, dopo aver battuto il record del Belgio, rimasto per il più lungo periodo in assoluto senza governo centrale, l’Irlanda del Nord non ha governo locale eletto da più di 500 giorni. Una Brexit senza Ministri? Forse si. Nonostante l’urgenza, per dare adeguata rappresentanza alla voce di una comunità con un passato così fragile, di trovare un’intesa per partecipare a pieno titolo ai negoziati (interni) sulla Brexit.
L’uscita dall’Unione Europea avrà un impatto maggiore sulle aree più fragili del Regno Unito rispetto a quanto accadrà nella City e nelle regioni più evolute. L’Unione Europea ha erogato, come per tutti i Paesi EU, fondi che, nelle parole di alti funzionari del Nord Irlanda, sono stati e sono tuttora fondamentali per lo sviluppo dell’economia della regione e per creare quella rete di servizi atti a promuovere la crescita economica e a migliorare le condizioni sociali, contribuendo alla stabilità degli equilibri di pace.
Evitare la creazione di un confine duro tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord è il vero obiettivo della fase attuale dei negoziati Brexit. Le conseguenze sulle vite umane, le implicazioni sul futuro delle comunità locali e sullo sviluppo della regione sarebbero importanti nel caso in cui si optasse, nella scelta politica interna che il Regno Unito deve maturare, per una soluzione dura, che prediligesse i principî di sovranità e di integrità territoriale.
I confini rappresentano spesso un pericolo per i popoli e per il loro futuro, grandi forieri di tensioni e di profondi conflitti. Il futuro delle relazioni tra il Regno Unito e l’Unione Europea vedrà il suo nuovo giorno in un verdissimo pezzo di terra tra Belfast e Dublino.
(20 settembre 2018)





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