I diocesani: il premier, espressione di un Paese che non sa più opporsi al compromesso e al disprezzo dei diritti

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di Valerio Gigante, da Adista 79/09

Nei vertici della Chiesa italiana le vicende che hanno recentemente coinvolto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi stanno creando – lo abbiamo già scritto – un forte imbarazzo. Da parte delle gerarchie, i silenzi reticenti sul “Casoria Gate” e sui festini a Villa Certosa e Palazzo Grazioli si sono alternati alla difesa pubblica del premier e del suo operato, oppure a mezze parole di censura – pronunciate però tra molti distinguo – rispetto a comportamenti che, tanto più per chi riveste anche un ruolo pubblico, sono tradizionalmente considerati inaccettabili dalla Chiesa.

Stima e deferenti saluti
Soprattutto, ci sono state le parole che Benedetto XVI ha rivolto al presidente del Consiglio in occasione dell’apertura del G8 dell’Aquila, che non paiono quelle di un’autorità morale preoccupata di mettere in guardia un capo di governo rispetto alle degenerazioni della sua condotta politica. “Sono stato informato dai miei collaboratori – ha scritto il papa – circa l’impegno con cui il Governo, che Ella ha l’onore di presiedere, si sta preparando a quest’importante appuntamento, e so quale attenzione abbia riservato alle riflessioni, che, sulle tematiche dell’imminente Vertice, hanno formulato la Santa Sede, la Chiesa Cattolica in Italia e il mondo cattolico in generale, nonché Rappresentanti di altre religioni”. Per poi concludere: “Colgo volentieri l’occasione per esprimerLe nuovamente la mia stima e, assicurando la mia preghiera, Le porgo un deferente e cordiale saluto”.

Vescovi fuori dal “coro silenzioso”
A tutt’altro spirito sono invece ispirate le parole di alcuni vescovi. Tra queste, quelle di mons. Alessandro Plotti, già arcivescovo di Pisa e vicepresidente della Cei, del vescovo di Lanciano e Ortona, mons. Carlo Ghidelli (Corriere della Sera, 21/6), il duro intervento di Famiglia Cristiana, gli articoli apparsi su Rocca e Il Regno (v. Adista n. 73/09). E recentemente, anche quelle del segretario della Cei mons. Mariano Crociata, il quale in una omelia pronunciata il 7 luglio scorso a Le Ferriere di Latina, in occasione di una celebrazione in memoria di Maria Goretti, ha dichiarato che lo sfoggio di un “libertinaggio gaio e irresponsabile” a cui oggi si assiste non deve far pensare che “non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati, soprattutto quando sono implicati minori”. A parlare di “disagio” che “inevitabilmente va montando sempre di più nella Chiesa” è stato invece il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero: nel Paese, ha dichiarato il 26 giugno, si sta determinando “uno sbandamento e una confusione”, che esigono un chiarimento da parte del presidente del Consiglio”. Secondo il vescovo, ora sta al premier “valutare” se “nel superiore interesse nazionale del Paese” sia opportuno dimettersi. Mogavero ha dichiarato di “parlare a titolo personale”, ritenendo però, riguardo al suo “sconcerto”, “di essere in buona compagnia nella Chiesa”.

La posizione dei settimanali diocesani
E infatti, anche alcuni settimanali diocesani hanno dedicato spazio alle vicende di Villa Certosa e Palazzo Grazioli dando voce al disagio ed all’insofferenza crescenti nella base cattolica. Certo, la maggior parte delle testate affrontano la “questione morale” in termini piuttosto generici, accusando il ceto politico nel suo complesso di aver smarrito una dimensione etica nell’azione pubblica; alcune, però, attraverso editoriali ed articoli di commento piuttosto severi nei confronti di Berlusconi. La Voce della Vallesina di Jesi, ad esempio, che sembra scartare decisamente l’idea (sostenuta anche da autorevoli esponenti della gerarchia nonché da Marina Corradi su Avvenire, v. Adista n. 73/09) che non ci sia reato e quindi non ci sia problema. “È il momento di chiarire a noi stessi – scrive il direttore Vittorio Massaccesi sul numero del 28 giugno – che chi, a livello cittadino o regionale o nazionale, assume cariche nella pubblica amministrazione, diventa, in qualche modo, punto di riferimento, per cui non può nascondere la sua vita privata, né può appellarsi al diritto della privacy, plausibile o criticabile che possa essere il proprio comportamento in famiglia, in compagnia, nei circoli, nelle cene, nei compleanni”. Tanto più che “c’è un comportamento ‘godereccio’ del premier in forme fortemente discutibili, con insinuazioni giornalistiche che rimangono senza una risposta netta e chiara da parte dell’interessato”. Inoltre, “il gossip prodotto da fatti promossi dal premier sta determinando una patina di ridicolo sull’Italia e una certa perdita di autorevolezza politica nel contesto nazionale e internazionale”.
Non meno duro il direttore del Ponte di Avellino Mario Barbarisi. Nell’editoriale del 13 giugno, intitolato “Politica senza Amore”, Barbarisi scrive: “Ho visto le foto di Villa Certosa, pubblicate dal quotidiano spagnolo El País. Non entro nel merito della vicenda, anche se dopo la vista di alcune immagini, c’è poco da pensare. Una cosa è certa: questa politica è senza amore e pudore”. “Non è certamente un caso se aumenta il popolo dei non votanti. E c’è chi ha il coraggio di parlare di valori e di coerenza solo perché il palco elettorale, su cui è salito, è sollevato da terra e si avvicina al cielo. Pochi scalini non servono ad accorciare le distanze; Dio, per nostra fortuna, sta molto più in alto!”.
Durissimo l’atto di accusa contro Berlusconi, assieme ad una spietata analisi sulla riduzione del corpo femminile a merce, condotta da Mariapia Bonanate sul Nostro Tempo (Milano-Torino, 28/6). Nel suo articolo, “Berlusconi e le donne. Un doppio fallimento”, la Bonanate parla di un “Paese che ha smarrito se stesso, la propria dignità, le proprie tradizioni e memorie, il senso dello Stato come bene comune, quell’etica quotidiana che garantisce il rispetto di se stessi e degli altri, a cominciare proprio dalle donne. Un Paese che non sa più opporsi al male, al compromesso, al disprezzo dei diritti e doveri dei cittadini sanciti dalla Carta costituzionale”. In questo contesto, “la storia privata che confluisce, ahimé, in quella pubblica e istituzionale di Silvio Berlusconi è anche la storia di un fallimento femminile che sta vanificando una lunga battaglia per dare dignità e rispetto alla donna, per sottrarla a quel potere maschilista che per secoli l’ha sfruttata ed emarginata”. Oggi la “donna, complice tutto l’apparato mediatico, dalle televisioni alla pubblicità alla comunicazione, che è poi il modello berlusconiano vincente, è ritornata ad essere considerata soltanto merce, anche se di lusso. Corpo da utilizzare per esercitare il proprio potere e la rappresentazione del potere, per dimostrare uno status, come lo rappresenta una macchina fuoriserie”. Una deriva supinamente accettata dalle donne: “Un tempo, neanche poi tanto lontano, si andava in Parlamento accompagnate da bagagli ricchi di preparazione culturale e d’impegni civile e sociale. Magari si arrivava dalla Resistenza come una Tina Anselmi. Oggi l’unico bagaglio sono gli abiti firmati e pagati dal protettore di turno, la partecipazione, anche solo marginale, a qualche spettacolo televisivo o la sfilata su qualche passerella. Così stanno finendo le nipoti e le figlie, delle nonne e della madri che scesero in strada rivendicando il diritto a pensare. E purt
roppo sono anche convinte che l’essere usate dagli uomini è l’unica strada da percorrere per raggiungere successo e denaro”. “Mai nella storia dell’umanità – conclude sconfortata la Bonanate – il denaro aveva assunto un ruolo così devastante”.

(15 luglio 2009)



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