I dubbi della Germania, la credibilità dell’Italia
Luca Michelini
1. Non pochi opinionisti pensano: come dare torto ai dubbi della Germania sull’Italia, visto che il nostro Paese è contraddistinto da piaghe endemiche, come la corruzione, la mafia, il clientelismo e via discorrendo?
2. Rispondo dando loro credibilità.
Non considero, cioè, la loro argomentazione come una ben studiata ideologia (utilizzo il termine secondo la grammatica di Pareto: idee create deliberatamente per coprire precisi interessi) volta a giustificare, ancora una volta, le politiche di austerità neo-liberiste.
Né voglio considerare che questa argomentazione sia volta a salvaguardare l’interesse di altre nazioni, non certo di quella italiana. Anche se non da oggi potremmo legittimamente pensarlo, perché si tratta di una argomentazione tipica di una parte consistente della pubblica opinione tedesca, ben contenta della politica economica neo-mercantilista dei suoi governi.
Né voglio in questa sede ricordare, con dovizia eccessiva di rimandi bibliografici e storiografici, che quello che oggi gli economisti di tutto il mondo definiscono essere una politica economica “neo-mercantilista”[1] – la politica economica tedesca –, un tempo veniva chiamata, in sede scientifica, politica imperialista.
Di imperialismo tedesco disquisivano non solo pensatori marxisti come il socialdemocratico Hilferding o il rivoluzionario Lenin o radical-liberali come J.A. Hobson, che con i loro scritti presumo farebbero inorridire la pubblica opinione liberal. Di imperialismo tedesco parlavano e disquisivano anche economisti liberisti e reazionari come Pareto e Pantaleoni, cioè coloro i quali hanno forgiato la grammatica economica che oggi troviamo codificata nei manuali di economia e che supporta gran parte della logica neo-liberista oggi imperante.
Stiamo parlando di quella politica che portò allo scoppio del Primo Conflitto Mondiale e ai tentativi tedeschi di costruzione della cd “Mitteleuropa”. Per il lettore che volesse approfondire, suggerisco di leggere il libro di Friz Fisher Assalto al potere mondiale. La Germania nella guerra 1914-1918 (Einaudi, Torino, 1966): può essere molto utile per comprendere, tra le altre cose, anche la geografia politica attuale dell’Europa.
3. Per inciso: il tentativo di costruzione della Mitteleuropa fu un tentativo studiato anche da un economista liberale ed antinazionalista come Costantino Bresciani-Turroni[2], tra i primi studiosi dell’iperinflazione tedesca degli anni della Grande Guerra e del dopoguerra[3]. Non entro nel merito, ma voglio indicare una concatenazione di avvenimenti storici che forse i tedeschi tendono a rimuovere e che i testi dell’economista italiano pongono in evidenza. L’iperinflazione, infatti, che a tutt’oggi viene considerata come il pericolo sotteso alla nascita di una Europa sociale e politica, poiché, a tutt’oggi, si paventa che una monetizzazione del debito (la nascita degli Eurobond, la rinuncia al commissariamento dell’Italia tramite il MES) scateni un processo inflattivo dalle imprevedibili conseguenze e comunque consenta all’Italia di non ripagare il proprio debito (nato dalle famose piaghe endemiche); l’iperinflazione, dicevo, fu figlia della tremenda guerra e della sconfitta militare che la Germania subì negli anni 1914-1918 e di quella logica economica e politica che la strozzò con le cd riparazioni di guerra e che Keynes denunciò come foriera di nuove guerre e di disastri sociali nel celebre volume Le conseguenze economiche della pace, edito in Italia nel 1920[4].
Le riparazioni furono figlie proprio della logica economico-politica che oggi la Germania propone per l’Italia: di chi fu “la colpa” della Grande Guerra? Non era forse evidente, palese, un fatto, che era stata la Germania a invadere il neutrale Belgio e ad attaccare la Francia? Non è stata forse la Germania a dare l’assalto all’Impero inglese? Non era la Germania ad aver progettato di scaricare i costi della “guerra lampo” (dal Novecento, tutte le guerre nascono come “guerre lampo” per poi diventare guerre di posizione e “guerre totali”). Non è stata la Germania a finanziare Lenin per far crollare l’impero zarista e “balcanizzare” ciò che ne rimaneva? Se “la colpa” era della Germania, allora il costo economico della guerra doveva essere riversato sulla stessa Germania, che doveva pagare “le riparazioni”, adottando, in politica interna, tutti i provvedimenti economici del caso. In conclusione: è perverso, moralmente inaccettabile, è colpevole, oggi, avere terrore dell’inflazione, come la Germania, facendo di tutto per innescare ciò che ne è all’origine, cioè il conflitto tra le nazioni.
4. È bene sottolineare che ancor oggi prevale quel tipo di lessico, che rischia di sottendere una logica pericolosa. L’ex-presidente del consiglio Mario Monti si mostra propenso ad argomentare a favore di quanto sostenuto da Mario Draghi sul “Financial Times” (in una “economia di guerra” il debito va monetizzato), si sforza di dimostrare che l’Italia non è la Grecia. Vuole cioè dimostrare (presumo alla pubblica opinione tedesca, presso la quale ha certamente credibilità), che, a differenza della Grecia, l’Italia oggi non ha “colpe”, non ha truccato i conti, è stata ligia e severa alle direttive di politica economica volute dalla Germania, cioè all’austerità[5].
Preciso che in Italia, oggi, questa logica deve suscitare il massimo rispetto, perché la sua credibilità è fondata anche sulla promulgazione della cd “legge Severino”: unico serio tentativo di trasformare l’Italia in una liberal-democrazia “normale”. Tuttavia, nel contesto di questa logica, è evidente, proprio come ai tempi della Grande Guerra, che l’emergenza Covid-19 appaia, implicitamente, come un evento “esogeno” al sistema economico, come uno “shock esterno”. Perché avrebbe implicazioni teoriche e di politica economica e politiche non indifferenti ammettere, invece, che la crisi sanitaria ha innescato una crisi economica spaventosa a causa dell’impreparazione sanitaria dell’Italia: cioè anzitutto a causa di quei tagli allo stato sociale (sanità, ricerca, sicurezza sul lavoro, individuazione di una filiera industriale strategica in campo sanitario ecc.) che tanto stavano a cuore ai fautori dell’austerità. In ogni caso, denunciare le piaghe endemiche dell’Italia (poniamo la mafia), facendo finta di ignorare che proprio queste piaghe (la mafia p.es.) si radicheranno ulteriormente (la mafia diventerà prestatore di ultima istanza per centinaia di famiglie, data l’enorme liquidità che possiede) in un paese privo di uno stato sociale e di uno stato industriale moderni, significa alimentare la guerra sociale.
5. Rispondo, insomma, rinunciando ad estremizzare la polemica. Entro questi limiti, rispondo dicendo che questo governo, che il governo Conte, moralmente e politicamente, è assolutamente il più presentabile che la Repubblica poteva mostrare. Dico di più: è assolutamente presentabile.
E questo grazie, di fatto, al movimento politico che lo ha reso possibile.
Lo dico oggettivamente, o almeno mi sforzo di farlo: oggettivamente perché tutte quelle piaghe endemiche che tanto preoccupano la pubblica opinione ted
esca, piaghe reali invero, certo non si possono imputare al movimento, per quanti errori (e li ho sottolineati anche io pubblicamente) esso abbia fatto e per quanto siano evidenti le incertezze e le impreparazioni che ne contraddistinguono fino ad ora l’operato.
Se c’è un movimento politico credibile, oggi, è quello che ha espresso Conte come presidente del consiglio. La pubblica opinione ha riversato e riversa su questa forza politica una delusione immensa (come dimostrano le prove elettorali) perché gli si è chiesto, e ancora gli si chiede, di fare in brevissimo tempo (e in tempi tremendi: di guerra) ciò che le altre forze politiche nemmeno si sono immaginate di fare in anni e anni di governo e di opposizione.
La speranza è che l’operato bipartisan che Conte ha oggettivamente svolto, avendo presieduto due governi di tendenze diverse, dia un enorme contributo affinché in quelle forze politiche (e certo anche all’interno del movimento, oggi molto disorientato e disorganizzato) si cominci a ragionare seriamente.
Nel PD, la speranza è che riscopra con ben maggior coraggio di quanto sta facendo ora, il senso della socialdemocrazia: fino a spingersi a ragionare sui limiti intrinseci del capitalismo[6]. Il che, tuttavia, non significa affatto propugnare improbabili patrimoniali (bene che Conte le abbia smentite nella conferenza stampa). In economia di guerra non si danno, di fatto, patrimoniali; pena la disfatta o la nascita di un sistema socialista, che presumo non sia negli orizzonti del PD e che, comunque, realisticamente non è all’orizzonte, come poteva forse essere nella Germania di Weimar del 1918. La patrimoniale, oggi, sottende una logica fiscale del tutto interna alle politiche di austerità (la patrimoniale l’ha imposta il governo Monti, infatti) figlie di politiche di potenza[7]. E quanto parlo di PD, mi riferisco sia alla componente di matrice social-comunista, sia, e soprattutto (perché della cultura delle origini, costoro hanno imparato ben poco abbracciando acriticamente l’ideologia liberista), a quella di matrice cattolica[8], che con la stagione di B. Andreatta e di R. Prodi ha le maggiori responsabilità della stagione neo-liberista e della distruzione di ciò che coraggiosamente era stato costruito nel corso della Prima Repubblica.
Nella Lega e nel centro destra italiano, la speranza è che abbandonino il modello dell’imprenditore-Stato, del tutto insensibile al tema dell’interesse effettivamente generale (il caso autostrade è emblematico) e dello stato sociale (che cosa dire della sanità lombarda?), abbracciando per davvero i canoni della serietà e del liberalismo sociale.
Infine: mai come ora una realistica analisi dei limiti dell’attuale architettura europea, sull’orlo dell’implosione, cioè mai come ora una realistica valutazione dell’importanza delle leve della sovranità nazionale, può consentire un realistico e per ciò stesso efficace governo del passaggio storico che stiamo vivendo. Pensare che puntare su queste leve implichi propugnare il “sovranismo” (ma usiamo le parole corrette: il nazionalismo)[9], significa non avere chiara la realtà dei fatti.
6. O sarà una Europa sociale e politica o l’Italia dovrà fare da sé, innescando, di fatto, un conflitto economico con il resto dell’Europa di portata imprevedibile, fino alla realizzazione del cd. piano b di Paolo Savona. I risultati finora conseguiti nell’Eurogruppo sono esigui, perché gli strumenti di intervento per fronteggiare la crisi sono del tutto riconducibili all’interno della logica imposta alla Grecia[10]. Conte si sta giocando la propria credibilità su questo punto, come il movimento che lo ha espresso. E senza credibilità non vi è futuro politico. I provvedimenti di politica economica fin qui presi sono importanti, ma insufficienti, perché ancora ingabbiati in una logica “fiscale” (criteri di eleggibilità, soglie, vaglio burocratico o bancario ecc.), che è ben diversa da quella dell’economia reale. Una logica fiscale, è bene precisarlo, costruita non certo da Conte, ma imposta dalle forze politiche prima citate: nulla di più adatto a distruggere lo Stato sociale e industriale che imporre una rete inestricabile e immobilizzante di vincoli amministrativi e burocratici.
E tuttavia Conte ha le idee molto chiare e coraggio e con l’intervista del 10 aprile ha dettato una precisa linea politica, che spinge l’Europa a fare un salto di qualità importante: gli strumenti finora individuati dall’Eurogruppo per fronteggiare la crisi non sono adatti e sufficienti.
Non è detto che Conte riesca nel suo intento. Forse è per supplire alla tremenda debolezza della politica e per evitare la possibilità che l’Euro imploda, forse è per questi motivi che Mario Draghi ha invitato a riflettere, sul “Financial Times”, che la monetizzazione del debito è l’unica strada percorribile. Di fronte all’incapacità dei singoli Stati europei, e della Germania in particolare, di fare un salto di qualità, che non rimanga altro che spostare il conflitto dall’Eurogruppo, all’interno della governance della Banca Centrale Europea? La Bce dovrebbe insomma comperare direttamente il debito dei paesi membri[11]? Agli storici futuri l’analisi del nuovo tipo di Stato che nascerebbe, così, in Europa.
Se invece prevalesse la logica del MES, degli aiuti condizionati, della politica di potenza, non rimarrebbe all’Italia che portare il conflitto all’esterno. P.es cominciando a promuovere una legislazione fiscale che colpisce duramente le multinazionali che spostano la sede in paesi di comodo e che oggi ci troviamo contro, come l’Olanda. Oppure “boicottando”, secondo la logica di guerra mercantilista, prodotti stranieri, poniamo (come han fatto gli USA) il settore autoveicoli tedesco e spingendo, con una sagace politica industriale (oggi ai suoi esordi), alla rinascita di una filiera italiana votata alla motorizzazione ecologica. Difendendo, al contempo, l’economia e la società italiane con una sapiente politica economica che non distrugga la coesione sociale: cominciando p.es. a controllare i prezzi di quei beni di cui è vertiginosamente aumentata la domanda (prezzi amministrati, rinascita della rete delle farmacie comunali, creazione di una filiera nazionale sanitaria ecc.). Ma sono solo degli esempi. Si dovrebbero infatti pianificare, come dicevo, tutte le fasi intermedie che potrebbero portare alla realizzazione del piano b.
Se il conflitto non venisse portato all’esterno, allora esso esploderà all’interno del paese. Perché pensare di realizzare in Italia una politica simile a quella realizzata in Grecia significa non avere la minima cognizione di come funziona la società umana. Significa infine prepararsi ad una successiva implosione dell’Europa, che è già contraddistinta da diversi regimi autoritari e da forze politiche di estrema destra (sovraniste, nazionaliste, neo-fasciste) che nel disastro sociale troveranno un fertilissimo terreno di coltura.
[2] C. Bresciani-Turroni, Mitteleuropa, l’impero economico dell’Europa centrale, in opuscolo 1917, Palermo.
[3] C. Bresciani-Turroni, Teoria dell’inflazione: studio sul deprezzamento monetario nella Germania del dopoguerra 1914-1923, a cura di F.C. Rosati, Milano, Giuffrè, 1978.
[4] J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Milano, Treves, 1920.
[5] Cfr. l’intervista di M. Monti condotta da Bianca Berlinguer: https://www.youtube.com/watch?v=dEG5CzM8ENQ
[6] Segnale di significativo cambiamento è un articolo a firma di due studiosi che hanno ruoli rilevanti nel PD di oggi: cfr. E. Felice, G. Provenzano, Perché la democrazia è in crisi? Socialisti e liberali per i tempi nuovi, “Il Mulino”, 6/2029, pp. 883-901.
[7] Le pagine finali de L’accumulazione del capitale di R. Luxemburg gioverebbero ai liberal, ai “radicali” nonché agli utopisti, per comprendere come la logica di potenza vive della distruzione di borghesie e di statualità ritenute nemiche e interessatamente ritenute civiltà “inferiori”.
[8] Per segnali interessanti cfr. G. Giraud, Per ripartire dopo l’emergenza Covid-19, 10 aprile 2020, www.laciviltacattolica.it.
[9] Tra gli articoli cfr. F. Cundari, Il neo sovranismo del governo Conte e il futuro dell’Italia, 8 aprile 2020, L’inkiesta.it.
[10] Un riassunto pacato, svolto al di fuori della polemica accesissima tra maggioranza e opposizione: “Il compromesso prevede che i paesi europei possano chiedere prestiti al MES, a tassi ben più bassi di quelli di mercato e con scadenze piuttosto lunghe, per un ammontare complessivo che non potrà superare i 240 miliardi di euro. Su insistenza dei paesi del Nord, non si utilizzerà quindi l’intera potenza di fuoco del Fondo che supera i 400 miliardi. Ciascun paese peraltro non può accedere a crediti per un importo superiore al 2% del Pil: per l’Italia significa che non ci si potrà spingere oltre i 36 miliardi.” A. Villafranca, L’accordo europeo ai raggi x, 10 aprile 2020, Ispionline.it
[11] Cfr. R. Hamaui, Così la Bce può salvare l’Europa, 10 aprile 2020, lavoce.info
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