I fascisti fuori dal Salone: ha vinto la coerenza democratica
Paolo Flores d’Arcais
Halina Birenbaum, Christian Raimo, Wu Ming, Carlo Ginzburg, Zero Calcare, Roberto Piumini, Salvatore Settis, Tomaso Montanari. Sette e mezzo (Raimo, dopo essersi dimesso dal comitato di consulenza, ha dichiarato che avrebbe partecipato ai dibattiti), su centinaia e centinaia. Che hanno invece detto SÌ! Malgrado la presenza fascista.
Se quei sei e mezzo non ci fossero stati, oggi si sarebbe aperto un Salone dedicato a Primo Levi e con lo stand di una casa editrice che pubblica roba come “La morte a grinta dura – squadristi 1919-1923” e “La rivoluzione fascista”. Non ci sarebbe stata invece la casa editrice del Museo di Auschwitz, per ovvio e inderogabile schifo, e Halina Birenbaum, 90 anni, un numero tatuato sul braccio, uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz, anziché raccogliere la standing ovation con cui l’hanno accolta i visitatori del Salone, avrebbe tenuto la sua Lectio fuori del Lingotto.
Al “Comitato d’Indirizzo” presieduto da Maurizia Rebola, andava bene così, il diritto della casa editrice fascista era “indiscutibile”. Per fortuna il sindaco Chiara Appendino e il presidente della regione Sergio Chiamparino hanno capito che sarebbe stata una vergogna per l’intera città, e hanno imposto di disdire il contratto per l’indecente stand.
I tantissimi che hanno detto sì dovrebbero forse porsi ora qualche domanda e magari riconoscere come avessero ragione i pochissimi che hanno detto no. Temo che non lo faranno, perché ci vuole logica e coraggio per riconoscere i propri errori. Eppure senza quei pochissimi, quello che ora viene da tutti riconosciuto come uno sfregio inaccettabile alla città, si sarebbe invece tranquillamente consumato. Tra tanti dibattiti in cui “antifascismo” sarebbe risuonato a bizzeffe, sia chiaro, e spesso sinceramente, ma intanto Halina Birenbaum e il Museo di Auschwitz sarebbero restati fuori, e il fascistissimo Francesco Polacchi dentro.
Il quale gongola, la vendita dei suoi libri è schizzata alle stelle. E qualcuno di parte democratica cade nella trappola: demonizzando il fascismo gli abbiamo fatto un favore. È la solita logica del “male minore”. La stessa per cui MicroMega negli anni ha predicato nel deserto che le leggi che puniscono severamente l’apologia di fascismo e razzismo andavano applicate. “Così ne fate dei martiri”, si rispondeva. A forza di “non demonizzare”, “accettare il confronto”, “il fascismo si combatte discutendoci”, siamo arrivati a un ministro degli Interni che pubblica il suo libro presso i fascistissimi, che del resto sono sempre più presenti e inneggianti alle manifestazioni della Lega. I democristiani, che di porcherie ne hanno fatte in dose industriale, non sarebbero mai arrivati a tanto. Ipocrisia, si dirà: quasi sempre. Ma l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù.
Salvini, che palesemente governa da perfetto pre-fascista, stravincerà le elezioni, visto che l’“antifascismo” della chiacchiera e di establishment, per un quarto di secolo, da D’Alema a Renzi, gli ha regalato il monopolio della protesta e della rabbia contro l’orrore dei privilegi a hybris e delle diseguaglianze crescenti. Rabbia e indignazione sacrosante, che Salvini devia col razzismo della cacciata (e caccia) del/al migrante.
La logica del “male minore”, che considera sistematicamente estremismo l’intransigenza sui valori (e nel frattempo magari si riempie la bocca di azionismo e di Gobetti), prepara sempre i mali maggiori. Lo ho sempre pensato, ma soprattutto e ben prima di me lo ha scritto e analiticamente dimostrato una persona ben più autorevole di me: Hannah Arendt. Che del fascismo e del nazismo aveva visto la “resistibile” ascesa, divenuta irresistibile grazie ai tanti che inizialmente non si erano opposti, per “non demonizzare” e per “il male minore” (in Italia Benedetto Croce con Mussolini, per dire). Hannah ricordava queste cose negli anni del maccartismo, per mettere in guardia contro il fascismo che il maccartismo (“male minore” per troppi liberali) poteva portare con se. Farebbero bene a rileggerla i troppi che continuano a dire che col fascismo Salvini non ha nulla a che fare. Quel Salvini che difende il fascista reo confesso Francesco Polacchi in nome della libertà di opinione.
La libertà di opinione è un bene inestimabile e irrinunciabile. Ma razzismo e fascismo non sono opinioni, sono crimini.
(p.s. Il direttore di Huffington, Lucia Annunziata, mi dice di aver ricevuto una telefonata di Pietrangelo Buttafuoco, che annuncia che “questa volta non gliela lascerò passare”, insomma una querela per diffamazione nei miei confronti. Spero che la faccia davvero, così magari vedremo un tribunale della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista che gli darà ragione nel sentirsi diffamato per avere io riportato le sue parole, con cui paragonava il boia Hermann Göring (il vice Hitler) e sua moglie a Lancillotto e Ginevra, per aver io riportato una definizione (“orgogliosamente nazista”) del suo amico e collega Christian Rocca risalente al 2011 (per otto anni dunque non ha considerato quella definizione diffamatoria), e per aver io riassunto un suo romanzo, la cui eroina è una bellissima spia bionda nazista e i cattivi gli americani e i partigiani, praticamente con le stesse parole dei suoi recensori, sia quelli ostili che quelli favorevoli o entusiasti).
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