I film della settimana: “Ju Tarramutu” di Paolo Pisanelli e “Red Shirley” di Lou Reed
Giona A. Nazzaro
Due pregevoli documentari presentati in anteprima italiana al 51° Festival dei Popoli in corso a Firenze.
JU TARRAMUTU di Paolo Pisanelli
I giornali e i media possono anche tentare di indurci a credere che L’Aquila sia tornata alla normalità. Fa parte del gioco, sporco quanto si vuole, ma fa parte, purtroppo, del “gioco”. Paolo Pisanelli, invece, gioca su un tavolo completamente diverso. Quello della trasparenza, della controinformazione che diventa informazione tout court, scendendo in campo al fianco di quanti ancora vivono in condizioni di disagio, che sono esclusi dalla vita della loro città e che sono stati beffati dalle trame affaristiche della “cricca” che fa capo a Bertolaso e ai suoi amici, che hanno lucrato sulla ricostruzione.
Ju Tarramutu, però, non ripropone le tesi di Draquila della Guzzanti. Il film di Pisanelli, mosso da un profondo senso civico di stare al fianco della popolazione aquilana, oltre a essere uno dei film italiani più appassionanti degli ultimi anni, cui nuoce, a voler essere severi a tutti i costi, un certo eccesso di enfasi espositiva, non si limita a registrare le disfunzioni di un governo che ha usato la catastrofe come operazione di lifting politico.
Pisanelli, attraverso il suo film, sperimenta, con la gente del posto, una forma di autentica democrazia partecipativa. Lo spazio del film di Pisanelli diventa letteralmente uno spazio pubblico, un’agorà, nella quale e dalla quale, far risuonare le voci della gente di L’Aquila, che dopo le bugie e la truffa del governo, ha deciso di prendere nelle proprie mani la gestione dei problemi della ricostruzione. Pisanelli, quindi, non solo filma e documenta, ma si concede anche il lusso di ricostruire, inventare, coinvolgendo nel “gioco del cinema”, coloro che hanno deciso di abitare il suo film.
In questo senso Ju Tarramutu è un film sconvolgente. Un esempio di solidarietà fattiva che di fronte all’impossibilità di tornare ad abitare le proprie case, permette se non altro di abitare un film. Se si pensa a come i media ufficiali hanno letteralmente espropriato gli aquilani della loro dignità e del loro dolore, oltre che del loro diritto di tornare ad abitare la loro città, il lavoro di Pisanelli si rivela in tutta la sua importanza.
Anche perché Pisanelli, pur lavorando nell’ambito del documentario, ha ben presente la migliore tradizione del cinema italiano. Ju Tarramutu è un film corale come avrebbe potuto dirigerlo un Giuseppe De Santis. Possiede infatti il medesimo pathos epico de La strada lunga un anno, anche se inevitabilmente corretto da schizzi di umorismo acido memore di Ciprì e Maresco.
È da molto, troppo tempo, che al cinema non si vedono le persone che abitano l’Italia. Un film come Ju Tarramutu, non solo è un vero e proprio atto di impeachment morale, etico e politico, ma dimostra che è ancora possibile ipotizzare di vivere e abitare una casa comune. E, soprattutto, che la democrazia partecipativa e ancora, e sempre, l’unica chiave di volta per tentare di capire come dagli individui possa sorgere ancora una volta una collettività forte e consapevole.
"RED SHIRLEY" di Lou Reed
Lou Reed intervista la cugina Shirley in occasione del suo centesimo compleanno. Nonostante il secolo di vita, la donna dimostra di avere ben presente le avventure e le lotte di tutta una vita. Dopo aver abbandonato la Polonia poco prima dell’invasione nazista su suggerimento dei genitori, la ragazza si trasferisce momentaneamente in Canada che abbandona dopo pochissimo tempo reputandolo troppo "provinciale".
Senza parlare una parola inglese, si trasferisce a New York dove tenta di orientarsi nel caos cittadino e di trovare un lavoro per sbarcare il lunario. A contatto con la dura realtà del lavoro e della condizione femminile in particolare, Shirley diventa poco alla volta una combattiva sindacalista, tanto da meritarsi l’appellativo di "rossa".
"C’era tanto da fare a quei tempi", racconta al cugino rockstar che ascolta commosso e divertito il racconto di una vita apparentemente lontana ma le cui conquiste sono diventate patrimonio collettivo della società statunitense e non solo. Sempre impegnata per i diritti dei lavoratori, si schiera al fianco del nascente movimento per i diritti civili. "Ero presente quando il dottor Martin Luther King ha pronunciato il suo discorso a Washington!" ricorda orgogliosa Shirley. "Stavo a pochi passi di distanza da lui!".
Attraverso l’ascolto un’intera parabola esistenziale diventa un frammento di storia orale che rimette in prospettiva valori sociali e politici. Ma non solo. La storia di Shirley è lo sfondo sul quale proiettare e inscrivere la musica di Lou Reed che in questo modo viene collocato in un contesto più ampio. L’uno diventa il riverbero dell’altra e viceversa.
Nell’incontro tra due mondi apparentemente distanti, si celebra il ritrovarsi di un comune sentimento di antagonismo politico ed estetico nel segno di una memoria che mentre ricorda si proietta ostinatamente verso il futuro rifiutando categoricamente la contemplazione passiva del passato.
(15 novembre 2010)
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