I soldi e la Parola di Dio
«I soldi sono niente, solo la Parola di Dio resta»: lo ha detto Benedetto XVI, in apertura del Sinodo internazionale dei vescovi a Roma, il 6 ottobre 2008, commentando «il crollo delle grandi banche». E ha inoltre ammonito, con tono profetico: «Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà». Dunque, papa Ratzinger ha scoperto la contingenza, la precarietà e la vanità del mondo. Vanitas vanitatum et omnia vanitas, vanità delle vanità e tutto è vanità!
Qohèlet maestro di Ratzinger? Magari! Scommetto che Dario Fo, pentito e contrito, riscriverebbe da cima a fondo “Mistero buffo”, dopo un doveroso pellegrinaggio a Roma, forse alla testa di una processione di migliaia e migliaia di relativisti, agnostici e atei divenuti tutti miracolosamente devoti. Un papa che applica la regola francescana, la povertà evangelica originaria! Che rinnega i grandi Papi-Re del passato, Gregorio VII, Innocenzo III, Bonifacio VIII! Una Chiesa che si spoglia delle sue immense proprietà e ricchezze mondane, finanziarie, mobiliari e immobiliari. Poveri e diseredati di tutto il mondo, presto, presto, che aspettate? Accorrete al Vaticano, alla mensa del Signore! Una vittoria postuma di dolciniani, catari, valdesi, e tanti, troppi eretici, perseguitati, bruciati, sterminati dalla Chiesa teocratica di cui Ratzinger è l’ultimo erede.
Ma scherziamo? Il papa è il papa. Vicario di Cristo, prima ancora che di Pietro. E per comando divino: «Tu sei Pietro, e su questa pietra…!». La sua autorità non poggia sulla sabbia, sul niente del mondo, ma sulla roccia petrosa e petrina del Vaticano. Lì è la Santa Sede, il caput mundi, il centro della Chiesa universale. Da lì il papa parla urbi et orbi. Da lì, via etere, si diffonde la Parola di Dio. Che attraverso il papa e la sua Chiesa entra nel mondo, nella storia, per forgiarla, orientarla, dotarla di senso. E che sarebbe la Parola di Dio se fosse rinchiusa nel foro interiore della coscienza privata dei fedeli? Niente, sabbia. Da ciò il Nuovo Primo Comandamento di Benedetto XVI: “Non escludere Dio dalla vita pubblica, politica!”. Ovvero: (bio)eticizzate la politica sui sacri precetti della Chiesa papale. La crisi finanziaria? Un’occasione per ricordare a smemorati e renitenti il ruolo di guida religiosa mondiale, anche in oeconomicis, del papa e della Chiesa di Roma.
«I soldi sono niente»? Niente per chi ha tutto, i ricchi e i potenti del mondo; ma, al contrario, tutto per chi non ha niente, i poveri, gli emarginati, i “nulla tenenti”, appunto. Dopo i cataclismi finanziari, i primi restano; gli altri sono travolti. A chi si rivolge il papa? Ai primi, per consolarli con la speranza oppiacea dell’aldilà? O ai secondi, per rassicurarli? Per i piccoli risparmiatori, col crollo delle borse e delle banche i soldi diventano niente, sabbia; per i pescecani no, perché li hanno messi al sicuro, con altre, più concrete forme di reinvestimenti. E per le famiglie di lavoratori? Il «niente» dei soldi, con la crisi finanziaria, rischia di convertirsi in “niente-soldi”, cioè nell’azzeramento di salari e stipendi. Un disastro!
«La Parola di Dio resta!». Ma Dio non parla forse per mezzo della parola, delle parole del papa e della Chiesa, come sinodi e concili, documenti, omelie ed encicliche hanno tante volte ripetuto? Dunque, ciò che resta è il magistero papale ed ecclesiastico. Ma davvero resta perché non si fonda sulle «cose visibili e tangibili», «vere» in apparenza, ma in realtà passeggere e transeunti, sabbia che acceca? Davvero si può fare a meno dei «soldi», che sono «niente»? E allora cominci la Chiesa a restituire, anzi a rinunciare ai soldi dell’8 per mille.
Che bel primo contributo sarebbe ad una «vera, buona e sana laicità»!
Ad una più coerente separazione della Chiesa dallo Stato!
Michele Martelli
(9 ottobre 2008)
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