Il caso Palamara e i tempi dell’apocalisse per la magistratura
Francesco Ricciardi
In mezzo a tutto questo, vi sono i diritti e gli interessi di tutti i cittadini.
Tuttavia, non vorremmo cedere nel credere che la magistratura possa essere un monolite, ed, infatti, al loro interno l’approccio al problema risulta, almeno in parte, diversificato. A tal riguardo, abbiamo voluto ascoltare la profonda ed articolata analisi di un sostituto procuratore che, se da un lato, non ha mai rivestito cariche politiche all’interno della Procura e non è al centro dell’attenzione mediatica, dall’altro è un magistrato molto valido che, con discrezione, si è occupato anche di inchieste scottanti e delicate.
Il Dott. Giuseppe Bianco, PM dagli anni ’90, ha lavorato alla DDA di Reggio Calabria ed a Firenze. E’ stato Premio Ambiente e Legalità 2006 dall’associazione Libera e Premio Lega Anti Vivisezione 2007 per le indagini in tema di reati ambientali. Si è occupato degli interessi della ndrangheta sul traffico di rifiuti e sui combattimenti clandestini di animali oltre che degli interessi della mafia agrigentina sulla Valle dei Templi, sulle riserve naturali siciliane ed in particolare quella dell’Isola dei Conigli a Lampedusa. Ora è sostituto procuratore a Roma ed autore del libro “Uomini e Droga” per i tipi della casa editrice ILA PALMA di Palermo e collabora con la rivista NOVA ITINERA.
In questi mesi la magistratura inquirente è al centro di inchieste sulla corruzione al suo interno che avrebbero rivelato indebite permeabilità alla politica nazionale di esponenti di essa, ambizioni e giochi di potere di pubblici ministeri tra i quali appare come protagonista l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara; insomma, proprio intorno ad organi che hanno il compito, in autonomia dalla politica ed altre pressioni esterne, di perseguirla la corruzione, come gli altri reati. Vorrei chiederle cosa ne pensa e se lei ha mai avvertito in Procura interferenze e/o pressioni del genere.
Le interferenze e le pressioni possono esserci ovunque . E poi in tutti i luoghi di lavoro c’è quella che gli antichi chiamavano “gelosia d’arte o di mestiere“. Lo sa bene chi ha letto Gogol e la bella letteratura russa. Nessun ambiente umano , nemmeno quello dei fiorai, è asettico.
Bisogna fare un po’ di storia. Il modello costituzionale non prevedeva nessuna carriera interna proprio allo scopo di evitare gli antagonismi. Gli incarichi direttivi venivano dati per anzianità senza demerito. Il problema è che non c’erano limiti di tempo e l’ eternità regale dei direttivi portava dei corollari non sempre piacevoli. Allora si ridussero ottimamente i tempi ad otto anni. Nel contempo però si sostituì il criterio dell’ anzianità senza demerito con il feticcio del merito il quale è un criterio del tutto evanescente. Nell’ ultimo quindicennio arrivò anche la gerarchizzazione delle procure, che rese i singoli dirigenti possibili interlocutori negoziali con il mondo della politica. E poi ancora l’ apertura degli incarichi direttivi ai colleghi ragazzini con appena otto anni di anzianità . E poi ancora qualcuno decise anche che perfino l’incarico fuori ruolo – a cui si accede per cooptazione fiduciaria – poteva essere un titolo. Il combinato disposto di queste riforme ha determinato lo svuotamento del modello costituzionale. Insomma: la Costituzione non prevedeva la carriera ma ce ne siamo inventati una , l’abbiamo aperta a quanti più aspiranti possibile ed abbiamo abbandonato ogni criterio guida. Il risultato è stato l’ aumento delle guerre interne e ,con tanti aspiranti e senza criteri di scelta , l’ unico metodo selettivo non poteva che essere il manuale Cencelli e la lottizzazione correntizia. Col tempo poi si è formato una specie di cursus honorum tutto casalingo, un po’ formale ed un po’ di fatto. Passa attraverso i piccoli incarichi locali di corrente e poi i posti fuori ruolo e poi i consigli giudiziari e poi la elezione negli organismi dell’ ANM e poi il passaggio al CSM e poi incarichi direttivi o semi direttivi. Più o meno e salvo eccezioni la scala è questa. Un sistema del genere postula la fidelizzazione, che poi viene valorizzata attraverso il negoziato. Col tempo il modello costituzionale è stato svuotato a colpi di prassi e di leggi ed ogni volta i trombettieri del Re dicevano che il Re era buono e santo. Ovviamente, un sistema del genere si costruisce attraverso generazioni di magistrati e svariate consiliature. Dire che Luca Palamara è il Dio Creatore di tutto al settimo giorno è palesemente offensivo per l’ intelligenza degli osservatori.
E dunque il caso Palamara?
L’ANM ha rifiutato di ascoltare personalmente Palamara nel corso del procedimento disciplinare che ha condotto alla sua espulsione, impedendogli di argomentare le sue difese persino con scritti difensivi: Perché, secondo Lei, questa scelta? La condivide?
Esistono forme di legacci che strangolano la vittima proprio perchè tenta di liberarsi. Qualunque decisione avesse preso questa ANM su Palamara, sarebbe stata subissata di critiche : se lo avesse assolto, sarebbe stata complicità. Se lo avesse condannato , si sarebbe parlato di vendetta o di bavaglio. E’ successa la seconda cosa. Il paradosso è determinato dal fatto che la dinamica correntizia che partorisce la ANM è basata proprio su quelle logiche tradizionali che ora sono censurate da tutti . Nulla da dire sui singoli : Senatores boni viri, senatus mala bestia. Ma se il problema sta nel metodo , chi appare come espressione dello stesso metodo avrebbe dovuto fare un passo di lato. La via regia sarebbe stata lo scioglimento di questa Anm e nuove elezioni, con candidati nuovi e senza incarichi direttivi. Recuperata almeno un po’ di immagine, si sarebbe potuto procedere con calma ed equilibrio. Ed immagino che questa fosse probabilmente la intenzione originaria. Rinviare ogni decisione a dopo le nuove elezioni. Poi con la seconda ondata di chat c’è stato il fuggi fuggi generale e si è scelta la scorciatoia. Che però è una allungatoia. Perché la condanna dei colleghi paradossalmente peserà più sulla testa del sistema correntizio che su quella dell’ imputato.
Qual è il suo rapporto con le associazioni dei magistrati? Caselli, in un intervista a questa rivista ha affermato che con l’entrata in vigore della Costituzione, “nella lunga marcia verso l’indipendenza” della magistratura le correnti hanno avuto un ruolo determinante per “incrinare l’estraneità dei giudici rispetto alla società civile e per cercare di introdurre in un corpo burocratico il rifiuto del conformismo” ma che, poi, “malauguratamente le correnti hanno subito una involuzione deteriore”, registrando così “una progressiva trasformazione in cordate di potere per il conferimento clientelare di incarichi e la nomina di dirigenti”. Lei come la pensa a riguardo?
Tutte le associazioni umane, i partiti, i movimenti hanno storie a più fasi. I meccanismi democratici non durano in eterno , sono soggetti alla usura del tempo e delle umane debolezze. Periodicamente occorre ritrovare il senso delle origini ma dubito che si possa farlo utilizzando un contenitore ormai inadeguato ed inservibile. Il modello attuale di autogoverno è un meccanismo ormai sostanzialmente agonico. Resiste come resistono le realtà oligarchiche . E’ semplice spirito biologico di sopravvivenza.
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Quello della separazione è un falso problema , peraltro portato avanti con argomenti assai discutibili. Il vero problema è il controllo dell’ azione penale. La Costituzione dice che l’ azione penale è obbligatoria. Si tratta però di un principio che, se aveva una forte giustificazione nell’ immediato dopoguerra, ora a distanza di quasi ottanta anni è stato ormai travolto dalla enormità dei numeri e dalla conformazione attuale della organizzazione interna della magistratura.
Non è un problema delle Procure ma dell’intero ordinamento giudiziario. In questi giorni tutti propongono riforme. Ma è solo un rito collettivo a scopo catartico con effetto catatonico. La politica attuale non ha né forza negoziale né capacità analitica né interesse reale a riportare l’organizzazione nel quadro costituzionale della NON carriera, anche perché una magistratura così delegittimata fornisce un perfetto alibi polemico per la politica di basso lignaggio. La stessa riforma Bonafede è solo un esercizio di ingegneria elettoralistica astratta e perfino bislacca. Sul versante della magistratura, il sistema correntizio non è in grado di autoriformarsi per la contraddizione dantesca che nol consente. Dubito che una spinta ossigenante possa venire dall’interno del nostro sistema. E’ un carro di Tespi, dove gli stessi personaggi fanno più parti in commedia: Girondini, Giacobini e poi ancora Girondini. Repubblicani e Vandeani in contemporanea. La riforma deve avere origine in una cultura completamente opposta. Il cambio sarà traumatico. Ma ogni parto è doloroso. Chi propone un parto indolore è un fanciullo sognatore e non ha capito che questi sono i tempi dell’Apocalisse.
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