I verbali degli stupri e i doveri dei giornalisti
Pubblico qui di seguito una lettera che ho inviato ieri al direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, e la sua risposta (entrambe uscite oggi sul Fatto):
Caro direttore,
ho letto il tuo editoriale sul Fatto di ieri e lo condivido parola per parola, tranne in un punto importante che credo sia necessario sottolineare. Scrivi: “Sugli stupri di Rimini e Firenze, tv e giornali hanno pubblicato i verbali, fin nei minimi e più raccapriccianti dettagli, degli indagati e addirittura delle vittime. (…) Secondo noi, è giusto così, visto l’interesse pubblico delle notizie”. No, caro direttore, non è giusto così. Non è giusto conoscere i dettagli di come una donna è stata violata.
Posso solo lontanamente immaginare cosa significhi per una donna che ha subìto violenza dover necessariamente raccontare anche i dettagli più dolorosi della sua esperienza agli inquirenti (cosa che spero avvenga con un supporto psicologico), ma non è affatto necessario né di pubblico interesse che quei dettagli vengano diffusi. Quei verbali dovrebbero essere custoditi con un riserbo massimo, con la cura e la delicatezza che si dovrebbe riservare alle parole di vittime di crimini così orrendi.
Come tu osservi, le testimonianze delle vittime sono coperte dal segreto. Chi ha diffuso e pubblicato le parole delle vittime degli stupri di Rimini non ha avuto il minimo riguardo nei loro confronti, ha ignorato la loro sofferenza, ha messo in secondo piano i loro bisogni. Non sono quelle le notizie di interesse pubblico.
A essere di interesse pubblico è, dovrebbe essere, il fenomeno delle violenze contro le donne, che accadono per lo più in famiglia e tra le mura domestiche – quindi forse in modalità meno suggestive per i media. Ma non i singoli episodi, non i singoli stupri, e non certamente i loro dettagli. Quelli no. Quelli servono solo ad alimentare la morbosità dell’opinione pubblica e, in fondo, quella cultura che considera le donne comunque oggetto, da violentare nella realtà, sulla carta o sul web.
Cinzia Sciuto
Cara Cinzia,
il mio “è giusto così” non si riferiva ai dettagli raccapriccianti, che io personalmente avrei omesso per rispetto della dignità delle donne vittime di violenza. Mi riferivo al grande risalto dato al caso, con i nomi degli indagati (nel caso di Rimini, mentre per quello di Firenze i nomi dei due carabinieri indagati sono rimasti per giorni e giorni incredibilmente coperti) e le cronache sulle indagini.
L’ho sempre sostenuto e lo ripeto qui: se un giornalista ha un verbale, anche top secret (come la testimonianza della vittima di uno stupro), ha non solo il diritto, ma il dovere di pubblicarlo, ben sapendo che poi potrà essere chiamato a rispondere della violazione del segreto investigativo. Però dovrebbe anche valutare il miglior modo per tutelare i dati sensibili e la privacy delle vittime e delle altre persone coinvolte, eliminando particolari che nulla aggiungono al diritto-dovere di cronaca.
Ciò che è scandaloso è che le violazioni del segreto vengano perseguite, anche con mezzi invasivi come quelli subìti da chi ha svelato gli altarini dell’affare Consip e della famiglia Renzi, solo quando c’è di mezzo un politico o un potente.
M. Trav.
(13 settembre 2017)
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